Gli Antichi Egizi non possedevano strumenti simili, per dir così, al compasso moderno.
Non si è ancora trovato il riscontro documentario. Questo è quanto sostengono gli egittologi. È vero. Non esiste. Meglio: non esiste il concetto di compasso come s’intende oggi. Trovato, questo sì. È sempre stato, anzi, sotto gli occhi di tutti. Si distingue in centinaia di raffigurazioni. Stele, papiri, statue, iscrizioni, geroglifici: pochi non riportano, in qualche maniera, il segno di questo strumento. La sua effigie è abbinata, di solito, ad una croce.
Il simbolo cruciforme è l’"Ankh", la cosiddetta "croce della vita". Il "compasso di Dio" è invece lo "scettro Uas". (34)
Il bastone "Uas" si compone di tre parti. Ha una forcella in basso. Il corpo centrale è l’asta vera e propria. Ha una parte terminale che è costituita da una barretta inclinata rispetto alla verticale del bastone.
Le molteplici rappresentazioni iconografiche, non consentono di comprenderne immediatamente il funzionamento. La giustificazione è abbastanza semplice.
La tecnica di rappresentazione pittorica egizia, oltre a seguire i canoni di cui si è detto, adottava verosimilmente un sistema che è stato definito dal Lange e dallo Schafer "Legge della frontalità".
In estrema sintesi, il procedimento è vicino, in una certa misura, alle moderne proiezioni ortogonali.
L’immagine che s’ottiene impiegando questa tecnica, è un curioso incastro dei vari ribaltamenti assiali cui il soggetto da raffigurare è sottoposto. È, in sostanza, una miscela prospettica di diversi punti di vista assommati.
Le riproduzioni del corpo umano, ad esempio, subiscono strane torsioni del busto rispetto alla testa ed ai piedi. Sono le classiche illustrazioni "all’egizia".
Le immagini segnalano in ogni caso la realtà; o la sua essenza. Il discorso vale anche per gli oggetti.
Nel caso del bastone Uas, si può pensare ad una torsione di 90° tra la forcella inferiore rispetto alla barretta diagonale superiore. (35)
L’asta, riconsiderata in questo modo, assume un significato diverso. Diventa altro. Non è più solamente un simbolo di potere. Lo scettro, in questa prospettiva, riscatta il suo autentico valore. Recupera la sua dimensione primigenia.
Lo scettro Uas così ricostruito diventa effettivamente un dispositivo per tracciare cerchi. In quale modo?
Semplice: s’innesti la forcella in un perno fisso a terra. S’appoggi ora l’asta al suolo. La barra obliqua, diviene l’apparato tracciante. Facendo ruotare l’asta s’otterrà un cerchio. È elementare.
Non vi sono dubbi in tal senso.
Si è visto però, come l’euritmico sistema geometrico "RA" è strutturato sulla "corona circolare". Le circonferenze quindi sono due; isocentriche per di più. Allora, i conti non tornano?
Mettiamo nuovamente alla prova l’arcano bastone. La barretta angolata che corona lo scettro Uas è "bivalente". È sufficiente, infatti, capovolgere il bastone. Di conseguenza s’invertirà la barretta rispetto alla prima posizione assunta. Mantenendo sempre la forcella innestata sullo stesso perno, la rotazione darà origine ad una seconda circonferenza. È facile intuire che questa sarà leggermente più grande della precedente.
Non servono tante parole per intendere il significato di tutto ciò. L’immagine è piuttosto chiara.
È la corona circolare del sistema. È il cerchio da cui tutto ha principio. È la genesi, il "Tepzepi".
"...Fui colui che nacque come un circolo...". È l’Antico Egitto. Il cerchio si chiude.
(Conferenza 8/9 Giugno 2002, San Marino)
Note:
34. Lo scettro Uas era l’insegna del "nomos" (provincia) di Tebe. Tebe era appunto "Uaset", la "città dello scettro".
35. Un’indicazione di notevole importanza a questo proposito, è rilevabile dalla statuetta di Ptah rinvenuta nel tesoro di Tut-Ankh-Amon. Lo scettro Uas che Ptah impugna, è esattamente impostato secondo la sagomatura che si è segnalato.