Siamo in cima, il passaggio si fa di nuovo basso, nel tratto precedente la Camera del Re; cerco tutti i pezzi visibili dei meccanismi di chiusura, scanalature, saracinesche, segni di abrasione, ecc. Il soffitto è nero, come nel corridoio, per il fumo delle torce utilizzate per anni prima dell’arrivo della corrente elettrica.
Mi soffermo parecchio nella Camera del Re, mentre sono lì tanta gente entra ed esce, ma io resto perché aspetto più volte l’occasione di rimanere sola e anche Paolo, cerca di trovare il modo di fotografare col cellulare, ma è impossibile nella sala immersa in un buio quasi totale, l’occhio si abitua, col tempo, l’obbiettivo del telefonino no.
Misuro il sarcofago come posso, con una carta, perché, accidenti a me, ho dimenticato a casa il metro. Ma si può essere più dementi?
Tasto la superficie, all’esterno e all’interno del sarcofago, fino dove riesco ad arrivare e lo sento la superficie regolare, piana ma non liscia; forse i segni rimasti dall’uso del trapano tubolare a sabbia, strumento indicato da molti egittologi come perforatore per svuotare l’interno del blocco in granito massiccio.
Il canale di ventilazione a sud è usato davvero per la ventilazione, dentro ha una ventola in movimento e presenta gravi spaccature sulla parete circostante, immagino durante la ricerca del foro.
Il condotto a nord è aperto e mostra un tratto orizzontale ben visibile, evidentemente era importante sbucare nella stanza a quella certa altezza.
A questo punto mi viene in mente che ho nello zaino il portafogli con tutte le carte bancomat, chiave stanza, postepay, telefoniche, parcheggio, biblioteca, supermercato, ecc., ohibò, non riuscirò più ad entrare nella stanza dell’hotel, ma quel che è peggio, se è vero come si dice che la Grande Piramide sia in grado di smagnetizzare le bande magnetiche, non potrò nemmeno terminare la vacanza per mancanza di fondi liquidi e forse non potrò neppure tornare a casa!
In compenso le forbicine e il tagliaunghie della mia trousse per manicure saranno affilati come nuovi.
Rimango un po’ inquieta per il pensiero, termino le mie osservazioni e mi appresto ad uscire, l’aria sta diventando insopportabile.
Scendere è quasi più faticoso che salire, bisogna stare ancora più piegati, mandando i piedi avanti e tenendo giù bassa la testa, altrimenti si urta il soffitto, in più, in questo budello, si incrociano le persone che salgono e bisogna stringersi per riuscire a passare in due nella sezione.
Dopo tutto questo buio , l’aria viziata, l’umidità e il caldo, emergere dalla piramide è come rinascere, parafrasando il titolo dei famosi libri che parlano della Duat, l’effetto è quello di uscire alla luce del giorno.
Il pavimento dell'area sacra era ricoperto di blocchi di basalto nero e doveva essere anche ben levigato, in contrasto con le pareti bianche del calcare di Tura.
In alto a sinistra si vede come la parte in cui i blocchi di prezioso basalto sono stati asportati sia più bassa di circa mezzo metro.
Fossa per barca.
Anche noi come Bata siamo andati a vedere il Museo della Barca Solare.
E' molto bello, ordinato e preciso. Prima di entrare ci fanno indossare dei sacchetti in tela sulle scarpe, perché dentro c'è il pavimento in legno e si potrebbe rovinare!
Paolo vuole andare a scalare una piramide e per quanto io gli dica che è proibito, è incoraggiato dai molti visitatori, soprattutto ragazzini egiziani, che salutano e si fanno fotografare da sopra alla piramide satellite a sud di Cheope, così alla fine, prova, scatenando le ire dei poveri poliziotti turistici che fanno la guardia alle pietre; ormai lo sanno, si mostrano anche un po’ accondiscendenti, permettendo al pubblico di arrivare fino ad un certo punto, per poi mettersi a urlare e soffiare nei loro fischietti finché il visitatore importuno non scende.
Il resto della giornata lo passiamo qui, attorno alla Grande Piramide, scrutando i cimiteri sud e ovest, e ficcando il naso dappertutto, ove possibile, per fotografare, ragionare e memorizzare quanto sta davanti ai nostri occhi.