Martedì 25 Novembre 2008
Ore 23.15
Di nuovo a Giza oggi, in fondo siamo qui per questo.
Stamattina abbiamo preso un taxi fra quelli sempre in attesa di fianco all’uscita dell’hotel e in pochi minuti arriviamo davanti al cancello di ingresso.
Il prezzo giusto per la corsa è 20 lire, ma si possono avere richieste variabili dalle 10 alle 30 lire, tutte accettabili, in rapporto al tipo di taxi, all’ora della giornata, al giorno della settimana.
Il primo giorno qui siamo riusciti a vedere solo la zona attorno a Khufu, oggi ci dedichiamo a Khafra e Menkaura, i biglietti vanno acquistati tutti qui, alla biglietteria dell’ingresso, ad esclusione di quello per il Museo della Barca Solare, venduto in loco.
Mi dicono che la Piramide di Menkaura è chiusa.
In basso a sinistra l'ingresso attuale, in corrispondenza, ma un po' più in alto lungo la faccia della piramide, un altro ingresso antico, non avvicinabile dai turisti
Ci avviamo subito in quella direzione, costeggiando il lato est della Grande Piramide, quindi raggiungiamo l’entrata, situata circa a metà della base rivolta a nord della piramide di Khafra, al livello del terreno e ci tuffiamo nel corridoio discendente, la cui sezione ha dimensioni sempre attorno al metro; la costruzione colossale è grande quasi quanto l’altra piramide, nella quale, entrando, si sale per raggiungere la sala del sarcofago.
All'angolo nord-ovest della piramide di Khafra si vede bene come sia stato scavato il substrato roccioso per ottenere un piano orizzontale su cui fondare la costruzione
Fa una certa impressione entrare così in basso e ancora scendere.
La fatica è la stessa, il caldo forse è anche peggiore e l’aria più umida e irrespirabile, io sono spinta da ragioni più che sufficienti, ma non capisco le persone che entrano senza essere più che convinte.
Ancora una volta mi raccomando, non entrate se non lo ritenete necessario per i vostri studi!
In fondo c’è veramente poco da vedere nelle piramidi, le persone passano velocemente nei corridoi e vanno, ansiose di arrivare alla fine perché il percorso è stretto e basso, va fatto tutto con la schiena e le gambe piegate, inoltre la particolare sezione di questa costruzione, con un corridoio discendente, un tratto orizzontale ed un corridoio ascendente che culmina nella camera del sarcofago crea una sorta di sifone in cui l’aria è particolarmente stagnante.
Meglio non pensarci quando si è là sotto e far lavorare occhi e memoria.
Cammino lentamente e mi fermo spesso per guardare qualche particolare; si vedono i vari innesti di altri corridoi e pozzi di collegamento, dei quali approfitto per tirarmi su dritta in piedi; si vedono le varie stanze non accessibili ai turisti chiuse da cancelli; è un peccato non poter vedere tutto, ma solo il minimo indispensabile, il percorso per raggiungere la camera di sepoltura e poi dietrofront!
Eccomi arrivata.
Appena entrati si para davanti l’enorme scritta lasciata da Belzoni sulla parete di fronte all’ingresso.
Certo non fa onore agli italiani il muro insozzato in maniera così evidente e in madrelingua; attorno le pareti sono state pulite, -mi rifiuto di credere che nessun altro abbia emulato il gesto-, così quella scritta, volutamente lasciata, risalta ancora di più, un “murales” di sette metri per mezzo!
Considerando la mia altezza di 1.60 metri, penso sia difficile per me comprendere la fatica impiegata dal Belzoni per entrare, non aiutato da luci elettriche e passerelle scalinate di legno.
Il mio impegno è stato davvero una minima parte di ciò che dovette affrontare il nostro compaesano protoarcheologo (per non dire predone), per arrivare lì e sostarvi abbastanza a lungo da poter prendere appunti, misurare, disegnare e scrivere col nerofumo il suo nome sulle pietre…
Nella stanza principale ci sono due piccoli condizionatori, ma sono spenti, vengono accesi dalla guida egiziana di un gruppo arrivato appena dopo di noi.
Il risultato non è molto differente, non rinfrescano né muovono l’aria a sufficienza.
Almeno nella Grande Piramide il condotto usato per l’aerazione qualche effetto lo ha.ù
Mentre la comitiva va via cerco di riempirmi gli occhi di ciò che vedo; la luce è fioca, ma ormai gli occhi sono abituati e posso guardarmi attorno, e sopra, e sotto, alla ricerca dei particolari.
Guardo il soffitto fatto di lastre contrapposte, 17 per falda, e penso di non aver guardato a sufficienza l’altro soffitto, quello della Camera del Re e non avrò un’altra occasione per vederlo, almeno a breve termine.
Per fortuna molti egittologi ci hanno fornito di accurate descrizioni, così potrò ripassare a casa, sui libri.
Il pavimento è strano, è realizzato su due livelli, il sarcofago si trova ancora incassato nella parte più bassa.
E’ aperto, vuoto, circondato da altre lastre di granito.
Arriva un’altra comitiva di turisti spagnoli, con guida egiziana, stanno pochi minuti, vanno via.
L’egiziano indugiasi rivolge a noi, vuole che io vada sotto il centro della piramide, ma non mi presto, così si rivolge a Paolo; credo voglia farsi dare dei soldi, ci propone di fare delle foto, ma rispondiamo di no e dopo un po’ di insistenze va via.
Pensate un po’ alla falsità di queste persone: non potendo pretendere soldi in quel frangente dal gruppo al suo seguito (ha provato anche con loro a proporre foto ma invano), tentava l’approccio con noi!
Dopo circa mezz’ora, su insistenza del coniuge, meno motivato di me, decido di uscire.
Da sud
Il nostro giro prosegue lungo il lato ovest di questa piramide, per avvicinarci all’altra.