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Obblighi verso i resti umani nelle Università e nei Musei.

Ultimo Aggiornamento: 23/02/2011 01:56
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di ATON
Thiatj

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13/05/2010 19:44
 
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Considerazioni generali e personali
Resti umani, quali mummie, scheletri o parti di essi, sono conservati presso Università e Musei, ovunque nel mondo.
Alcuni di questi giacciono dimenticati, altri sono ridotti alla stregua di attrazione. Quelli appartenenti a personaggi storici noti del passato spesso vengono sottoposti ad indagini ed analisi non sempre superficialmente invasivi.

Un recente esempio di test genetico condotto su resti umani lo abbiamo ben chiaro, se abbiamo seguito le vicende relative alla mummia di Tutankhamon e a quelle della sua famiglia.
Per accertare la presenza di specifiche patologie o per confermare l’identità di una persona, sia anche essa defunta da parecchio tempo, millenni, sono sufficienti piccole quantità di DNA. Nel caso di Tutankhamon e della sua parentela, i ricercatori hanno dichiarato d’essere stati in grado di rivelare le identità di mummie fino ad ora sconosciute e di individuare la probabile causa di morte del giovane Re. Ma proprio il fatto che analisi di questo tipo possano essere condotte su personaggi appartenenti alla sfera storica ha sollevato non poche questioni.

Prendendo spunto proprio dalle analisi condotte per stabilire la paternità e le cause di morte del Faraone Fanciullo, Malin Masterton, studentessa di Bioetica e collaboratrice del Centro per la Ricerca Etica e Bioetica Svedese, il prossimo 29 maggio discuterà la sua Tesi di Dottorato affrontando la questione relativa allo stato morale di coloro che ci hanno preceduti nel passato e alla protezione dei loro resti.
“In Svezia, quanto meno le persone in vita sono protette da leggi specifiche in materia di integrità genetica. Ma non abbiamo alcun dovere nei riguardi di Tutankhamon o di altre persone decedute nell’antichità, eppure forse valrebbe la pena di valutare se quell’obbligo sussiste ancora”, afferma la dottoranda.

Ma quale integrità e quali interessi sussistono a morte sopraggiunta?
Malin Masterton sostiene che alcuni elementi dell’identità di una persona sopravvivono alla sua morte. E guardare all’identità individuale è come assistere a un racconto – la storia di una vita – tanto indipendente, quanto convergente all’esistenza di altre persone. Analizzando l’aspetto da questo punto di vista, è quindi facile concordare nell’affermare che anche i defunti hanno un nome e una reputazione da proteggere.

Se anche i morti, alla stregua dei vivi, hanno in certa misura integrità e reputazione, occorre riconoscere loro di possedere anche uno status morale a pieno diritto e quindi ammettere il possibile rischio di recargli offesa. La Masterton ritiene che si abbiano tre doveri nei confronti dei defunti. Innanzitutto il dovere di verità, quando ci accingiamo a descriverne la fama. Quindi quello di rispettare la loro integrità personale, nei contesti di ricerca. E, infine, abbiamo il dovere di ammettere quali ingiustizie abbiamo commesso e danni loro arrecato eseguendo, ad esempio, scavi archeologici clandestini.

Malin Masterton sostanzialmente avanza la proposta di riconoscere definitivamente ai defunti uno status morale basato sul rispetto per la vita umana.
I contenuti della sua Tesi si rivelano significativi per la gestione dei resti umani nel caso di personaggi storicamente noti, nonché in riferimento a tutti quelli rimasti nell’anonimato, conservati presso le Università, le Istituzioni e i Musei del mondo intero. Occorre, in tal senso, ricordare gli innumerevoli casi in cui intere popolazioni indigene hanno mal reagito apprendendo dei trattamenti riservati ai resti dei loro antenati.
Eventuali richieste di rimpatrio e di sepoltura non devono, quindi, essere ignorate, bensì tenute in strettissima considerazione, sia da parte degli Archeologi che da parte delle Istituzioni Museali coinvolte.

Nella sua Tesi, la Masterton discute orientamenti etici per la gestione dei resti umani e formula proposte in merito alle revisioni. Alla base di queste revisioni vi è un dato di fatto: i defunti continuano a preservare la loro identità, che perviene a noi come narrazione.
“Occorre riflettere - afferma ancora Malin Masterton - sull’approccio da adottare nei riguardi di tutti quei resti umani che non possono più essere favoriti da rappresentanti ancora in vita che ne possano sostenere la causa.”




Considerazioni personali

Una storia narrata è pur sempre una storia vissuta.
Possiamo forse negarlo? E possiamo forse negare che, trovandoci ad ammirare di una mummia chiusa in una teca di vetro, quello che stiamo osservando non è un oggetto o un reperto qualsiasi, ma ci troviamo al cospetto di una persona?
Un individuo che è nato, è cresciuto e ha vissuto. Che possedeva emozioni, ragione, sentimenti, proprio come noi.

Prendendo spunto da quanto riportato qui sopra e dall’aver, in più di un’occasione, accennato alla questione qui su EgiTToPhiLìa, vorrei affrontare con voi la questione della conservazione e dell’esposizione delle mummie, presso i Musei o altre Istituzioni. Mummie che in molti casi giacciono abbandonate, dimenticate, sconosciute nei magazzini o sono malamente esposte, a soddisfazione della pubblica curiosità.

Ho già chiarito come la penso in proposito e su quale fronte mi schiero. Ma non ho mai avuto occasione di approfondire il mio punto di vista.
Non mi garba immaginare che un giorno i cimiteri moderni possano essere convertiti in esposizioni a cielo aperto. Tanto meno concordo con il trattenere i corpi dei defunti provenienti dall’antichità e/o da altre culture (o i loro resti in genere), per soddisfare la curiosità di un pubblico che, con sempre maggior frequenza, le trasforma in “oggetti” di scherno e che sovente ne ignora significato e valore intrinseco.
Non trovo alcuna ragione valida nell’assimilare un corpo ad un vaso, a un sarcofago, una statua o qualsiasi altro oggetto inanimato e privarlo così di quel rispetto che è condizione fondamentale di diritto.

Comprendo le necessità dello studio e ne condivido le finalità, quando a beneficiarne è la Conoscenza. Necessità che, tuttavia, dovrebbero essere a loro volta più severamente regolate e sottoposte a limiti oggettivi evitando che la ricerca scientifica lasci il posto al mero interesse commerciale, che il metodo scientifico venga meno e la Conoscenza non registri più alcun accrescimento.

Esiste un’etica, la quale consente di gestire la propria individuale libertà, ma pur sempre limitatamente, e con il dovuto riguardo, all’altrui rispetto.

Esiste una moralità. Un insieme di comportamenti a cui occorre attenersi e valori che ogni singolo individuo ha il diritto di preservare.
Principi su cui abbiamo basato la nostra vita, nel personale e nel sociale. Principi che sono il risultato di aspre lotte, come è storicamente ampiamente documentato.

Di tutti, il valore più grande è la dignità. E per preservare la dignità individuale deve esserne garantito il rispetto.

La dignità è forse soggetta a termini di scadenza?
E’ lecito affermare che questa venga meno con la morte?

Qual’è la funzione della memoria e quale scopo ha l’alimentare il ricordo di coloro che furono, narrarne le gesta?
In termini attuali, risponderemmo che tutto questo è fatto in funzione della Storia, della conoscenza collettiva. Ma non è così da sempre. Gli antichi Egizi, ad esempio, ignoravano il concetto di storicità.

“Pronuncia il suo nome ed egli vivrà in eterno”.

E’ questo che ci hanno tramandato. Principio in cui credevano fermamente.

Ci hanno riferito del ba (essenza, personalità) garante della rinascita.
Ci hanno narrato del ka, custode di ricordi e sentimenti della vita terrena.
Ci hanno suggerito di conoscere il significato di “moralità”: per loro era ib, “cuore”, indispensabile per la vita oltre la morte.
Hanno perfezionato all'estremo le tecniche di imbalsamazione e hanno costruito tombe monumentali, rispettando regole ferree, affinchè a un corpo fosse garantita conservazione il più a lungo possibile.

Abbiamo noi il diritto di ignorare tutto questo o di relegarlo alla stregua di “superstizione”, ormai decaduta e superata?
Ricostruire ciò che è andato distrutto non è in nostro potere. Ma possiamo ancora limitare i danni.
La morte pone un limite alla durata della vita, ma non ne cancella l’esistenza e un corpo preservato è lo scrigno di quell’essenza.


Infine, accolgo con piacere l’apprendere che negli ambienti Accademici ci si affacci in questa direzione, cominciando forse ad alimentare una campagna di sensibilizzazione a mio avviso necessaria e dovuta.
Concordo pienamente con Malin Masterton quando afferma che un defunto conserva pur sempre una personale identità e che il suo diritto e il suo status morale non viene meno al sopraggiungere della morte. Ancor di più condivido la sua opinione in riferimento al rimpatrio dei resti umani nel loro luogo d’origine. E’ lì che dovrebbero stare, opportunamente conservati, preservati e avvolti nella quiete a cui aspirarono in vita e di cui noi, esseri moderni e civilizzati oltre misura (da leggere con la dovuta ironia…) non abbiamo alcun diritto di privarli nella morte.

Maria Sansalone (-Kiya-)

[Modificato da -Kiya- 13/05/2010 20:19]
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