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Obblighi verso i resti umani nelle Università e nei Musei.

Ultimo Aggiornamento: 23/02/2011 01:56
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Considerazioni generali e personali
Resti umani, quali mummie, scheletri o parti di essi, sono conservati presso Università e Musei, ovunque nel mondo.
Alcuni di questi giacciono dimenticati, altri sono ridotti alla stregua di attrazione. Quelli appartenenti a personaggi storici noti del passato spesso vengono sottoposti ad indagini ed analisi non sempre superficialmente invasivi.

Un recente esempio di test genetico condotto su resti umani lo abbiamo ben chiaro, se abbiamo seguito le vicende relative alla mummia di Tutankhamon e a quelle della sua famiglia.
Per accertare la presenza di specifiche patologie o per confermare l’identità di una persona, sia anche essa defunta da parecchio tempo, millenni, sono sufficienti piccole quantità di DNA. Nel caso di Tutankhamon e della sua parentela, i ricercatori hanno dichiarato d’essere stati in grado di rivelare le identità di mummie fino ad ora sconosciute e di individuare la probabile causa di morte del giovane Re. Ma proprio il fatto che analisi di questo tipo possano essere condotte su personaggi appartenenti alla sfera storica ha sollevato non poche questioni.

Prendendo spunto proprio dalle analisi condotte per stabilire la paternità e le cause di morte del Faraone Fanciullo, Malin Masterton, studentessa di Bioetica e collaboratrice del Centro per la Ricerca Etica e Bioetica Svedese, il prossimo 29 maggio discuterà la sua Tesi di Dottorato affrontando la questione relativa allo stato morale di coloro che ci hanno preceduti nel passato e alla protezione dei loro resti.
“In Svezia, quanto meno le persone in vita sono protette da leggi specifiche in materia di integrità genetica. Ma non abbiamo alcun dovere nei riguardi di Tutankhamon o di altre persone decedute nell’antichità, eppure forse valrebbe la pena di valutare se quell’obbligo sussiste ancora”, afferma la dottoranda.

Ma quale integrità e quali interessi sussistono a morte sopraggiunta?
Malin Masterton sostiene che alcuni elementi dell’identità di una persona sopravvivono alla sua morte. E guardare all’identità individuale è come assistere a un racconto – la storia di una vita – tanto indipendente, quanto convergente all’esistenza di altre persone. Analizzando l’aspetto da questo punto di vista, è quindi facile concordare nell’affermare che anche i defunti hanno un nome e una reputazione da proteggere.

Se anche i morti, alla stregua dei vivi, hanno in certa misura integrità e reputazione, occorre riconoscere loro di possedere anche uno status morale a pieno diritto e quindi ammettere il possibile rischio di recargli offesa. La Masterton ritiene che si abbiano tre doveri nei confronti dei defunti. Innanzitutto il dovere di verità, quando ci accingiamo a descriverne la fama. Quindi quello di rispettare la loro integrità personale, nei contesti di ricerca. E, infine, abbiamo il dovere di ammettere quali ingiustizie abbiamo commesso e danni loro arrecato eseguendo, ad esempio, scavi archeologici clandestini.

Malin Masterton sostanzialmente avanza la proposta di riconoscere definitivamente ai defunti uno status morale basato sul rispetto per la vita umana.
I contenuti della sua Tesi si rivelano significativi per la gestione dei resti umani nel caso di personaggi storicamente noti, nonché in riferimento a tutti quelli rimasti nell’anonimato, conservati presso le Università, le Istituzioni e i Musei del mondo intero. Occorre, in tal senso, ricordare gli innumerevoli casi in cui intere popolazioni indigene hanno mal reagito apprendendo dei trattamenti riservati ai resti dei loro antenati.
Eventuali richieste di rimpatrio e di sepoltura non devono, quindi, essere ignorate, bensì tenute in strettissima considerazione, sia da parte degli Archeologi che da parte delle Istituzioni Museali coinvolte.

Nella sua Tesi, la Masterton discute orientamenti etici per la gestione dei resti umani e formula proposte in merito alle revisioni. Alla base di queste revisioni vi è un dato di fatto: i defunti continuano a preservare la loro identità, che perviene a noi come narrazione.
“Occorre riflettere - afferma ancora Malin Masterton - sull’approccio da adottare nei riguardi di tutti quei resti umani che non possono più essere favoriti da rappresentanti ancora in vita che ne possano sostenere la causa.”




Considerazioni personali

Una storia narrata è pur sempre una storia vissuta.
Possiamo forse negarlo? E possiamo forse negare che, trovandoci ad ammirare di una mummia chiusa in una teca di vetro, quello che stiamo osservando non è un oggetto o un reperto qualsiasi, ma ci troviamo al cospetto di una persona?
Un individuo che è nato, è cresciuto e ha vissuto. Che possedeva emozioni, ragione, sentimenti, proprio come noi.

Prendendo spunto da quanto riportato qui sopra e dall’aver, in più di un’occasione, accennato alla questione qui su EgiTToPhiLìa, vorrei affrontare con voi la questione della conservazione e dell’esposizione delle mummie, presso i Musei o altre Istituzioni. Mummie che in molti casi giacciono abbandonate, dimenticate, sconosciute nei magazzini o sono malamente esposte, a soddisfazione della pubblica curiosità.

Ho già chiarito come la penso in proposito e su quale fronte mi schiero. Ma non ho mai avuto occasione di approfondire il mio punto di vista.
Non mi garba immaginare che un giorno i cimiteri moderni possano essere convertiti in esposizioni a cielo aperto. Tanto meno concordo con il trattenere i corpi dei defunti provenienti dall’antichità e/o da altre culture (o i loro resti in genere), per soddisfare la curiosità di un pubblico che, con sempre maggior frequenza, le trasforma in “oggetti” di scherno e che sovente ne ignora significato e valore intrinseco.
Non trovo alcuna ragione valida nell’assimilare un corpo ad un vaso, a un sarcofago, una statua o qualsiasi altro oggetto inanimato e privarlo così di quel rispetto che è condizione fondamentale di diritto.

Comprendo le necessità dello studio e ne condivido le finalità, quando a beneficiarne è la Conoscenza. Necessità che, tuttavia, dovrebbero essere a loro volta più severamente regolate e sottoposte a limiti oggettivi evitando che la ricerca scientifica lasci il posto al mero interesse commerciale, che il metodo scientifico venga meno e la Conoscenza non registri più alcun accrescimento.

Esiste un’etica, la quale consente di gestire la propria individuale libertà, ma pur sempre limitatamente, e con il dovuto riguardo, all’altrui rispetto.

Esiste una moralità. Un insieme di comportamenti a cui occorre attenersi e valori che ogni singolo individuo ha il diritto di preservare.
Principi su cui abbiamo basato la nostra vita, nel personale e nel sociale. Principi che sono il risultato di aspre lotte, come è storicamente ampiamente documentato.

Di tutti, il valore più grande è la dignità. E per preservare la dignità individuale deve esserne garantito il rispetto.

La dignità è forse soggetta a termini di scadenza?
E’ lecito affermare che questa venga meno con la morte?

Qual’è la funzione della memoria e quale scopo ha l’alimentare il ricordo di coloro che furono, narrarne le gesta?
In termini attuali, risponderemmo che tutto questo è fatto in funzione della Storia, della conoscenza collettiva. Ma non è così da sempre. Gli antichi Egizi, ad esempio, ignoravano il concetto di storicità.

“Pronuncia il suo nome ed egli vivrà in eterno”.

E’ questo che ci hanno tramandato. Principio in cui credevano fermamente.

Ci hanno riferito del ba (essenza, personalità) garante della rinascita.
Ci hanno narrato del ka, custode di ricordi e sentimenti della vita terrena.
Ci hanno suggerito di conoscere il significato di “moralità”: per loro era ib, “cuore”, indispensabile per la vita oltre la morte.
Hanno perfezionato all'estremo le tecniche di imbalsamazione e hanno costruito tombe monumentali, rispettando regole ferree, affinchè a un corpo fosse garantita conservazione il più a lungo possibile.

Abbiamo noi il diritto di ignorare tutto questo o di relegarlo alla stregua di “superstizione”, ormai decaduta e superata?
Ricostruire ciò che è andato distrutto non è in nostro potere. Ma possiamo ancora limitare i danni.
La morte pone un limite alla durata della vita, ma non ne cancella l’esistenza e un corpo preservato è lo scrigno di quell’essenza.


Infine, accolgo con piacere l’apprendere che negli ambienti Accademici ci si affacci in questa direzione, cominciando forse ad alimentare una campagna di sensibilizzazione a mio avviso necessaria e dovuta.
Concordo pienamente con Malin Masterton quando afferma che un defunto conserva pur sempre una personale identità e che il suo diritto e il suo status morale non viene meno al sopraggiungere della morte. Ancor di più condivido la sua opinione in riferimento al rimpatrio dei resti umani nel loro luogo d’origine. E’ lì che dovrebbero stare, opportunamente conservati, preservati e avvolti nella quiete a cui aspirarono in vita e di cui noi, esseri moderni e civilizzati oltre misura (da leggere con la dovuta ironia…) non abbiamo alcun diritto di privarli nella morte.

Maria Sansalone (-Kiya-)

[Modificato da -Kiya- 13/05/2010 20:19]
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13/05/2010 22:50
 
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Innanzitutto farei una distinzione tra mummie sbendate e non :sull'opportunità di esporre le prime nutro anch'io forti dubbi, mentre trovo accettabile vedere un corpo avvolto nelle bende e magari conservato in un sarcofago (esempio:Kha e Merit).

Sono estranea all'ambiente accademico, ma penso che i ricercatori moderni non usino tecniche particolarmente invasive, e la paleopatologia è una branca a mio avviso interessantissima.Ciò che mi lascia perplessa è il fatto che vengano dissotterrate numerose mummie che poi giacciono abbandonate nei magazzini:perchè turbare il loro sonno, se non servono alla scienza?

Sinceramente non vedo la necessità di rimpatriare le mummie attualmente presenti nei musei, perchè non credo che per l'egiziano medio questa sia una priorità.Secondo me è sufficiente lasciare in loco le mummie che ancora giacciono sotto la sabbia d'Egitto. Ovvero:visto che non c'è modo di rimediare ai danni fatti in passato, cerchiamo di non farne altri.
Credo, infatti, che il vero scempio di mummie sia stato fatto nei secoli scorsi, in cui si è giunti addirittura ad usarle come combustibile...meglio non pensarci.
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13/05/2010 22:53
 
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Apprendo con soddisfazione che qualcuno finalmente volge la sua attenzione di studio all'aspetto etico che riguarda la "profanazione" dei defunti.
Ho virgolettato la parola profanazione per sottolineare che ci stiamo occupando della manomissione concreta di persone vissute prima di noi.
Questo oltraggio cui sottoponiamo quei corpi, secondo me, non può prescindere dalla considerazione che esiste un alibi.
Questo alibi, cioè la maggiore conoscenza della persona per ciò che riguarda quello che caratterizzava lo svolgimento della sua vita, ha una sua nobiltà perchè ci avvicina all'essenza vitale di colui che attualmente mostra esclusivamente il deteriorato contenitore del suo essere.
Io penso che cercare in un corpo quanto possibile per individuare elementi utili a costruire l'uomo che lo possedeva non sia poi tanto esecrabile, la conoscenza completa della identità di un defunto, a mio parere, gli rende omaggio poichè ne prolunga la vita e permette che egli sia ancora attore di rapporti umani.
L'oblio cui molti sono destinati fà tacere per sempre quelle anime e forse non è giusto lasciare che il tempo e il disinteresse cancelli le emozioni di chi non c'è più solo perchè non esiste in vita chi le condivideva.

Altre profanazioni, tipo la polvere di mummia, non meritano nemmeno il nostro giudizio, come non meritano giudizio gli abbandoni negli ammuffiti depositi dei musei di innumerevoli corpi di sconosciuti ai quali invece sarebbe dovuta una pia sepoltura che lasci a noi solo l'immaginazione della loro esistenza.
Sapere che esistono corpi accatastati come "baccalà", nascosti nei magazzini mi fà orrore mentre mi piace pensare che, per esempio, quello sconosciuto del predinastico a Torino viene tuttora onorato. Nonostante qualcuno, tra coloro che lo guardano, non abbia grande interesse per lui altri invece si soffermano e portano il proprio pensiero indietro nel tempo per incontrare la sua vera vita.

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- MerytMaat SitenAton -
13/05/2010 23:21
 
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Con me sfondate una porta aperta, ritengo che il rispetto per la dignità della persona debba essere il principio ispiratore di ogni azione umana.
Concordo sul fatto che si possa e debba studiare - con le dovute cautele e senza devastazioni - i poveri resti che emergono dal passato, giusto per saperne di più e forse poterne scrivere (e in taluni casi, riscrivere) la storia, ma non si deve mai dimenticare che sono PERSONE e come tali vanno trattate.
Ho visto come sono ben tenute le mummie reali nel Museo del Cairo, ma per quelle poche mummie
quante altre non sono state assunte a pari dignità? Abbiamo ancora molto da imparare da Kemet...
Mi rendo conto che in un mondo dove si calpestano i diritti dei viventi, quelli dei defunti possano contare ancora meno...ma forse è ora che qualche voce si levi in loro difesa.





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13/05/2010 23:23
 
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Re:
Grazie per aver espresso il tuo pensiero, Meryt.
Ho trattato l'argomento nella speranza di accendere un dibattito che potrebbe rivelarsi interessante e meritevole di approfondimenti e per poter apprendere le vostre posizioni in proposito.
Non ho nulla da eccepire sulle condizioni in cui vertono le mummie esposte al Museo di Torino, fatta eccezione per quella appartenente al Predinastico che mostra, a mio avviso, alcuni segni di sofferenza.
Tuttavia, non essendo specializzata in materia non posso giudicare tecnicamente se le sue condizioni di conservazione sono ottimali, oppure no.
E' fatto noto, però, che quelle esposte, a Torino come altrove, non sono le uniche in nostro possesso. Ce ne sono altre e sono in numero consistente.
Non resta che sperare che queste trovino la dovuta collocazione in tempi accettabili, se proprio non potranno essere rimpatriate.
Su quest'ultimo punto vorrei specificare che, esprimendo il mio desiderio che le mummie possano essere restituite all'Egitto, non ho minimamente tenuto in considerazione eventuali priorità degli attuali abitanti del Paese. Quello che dico non è: dobbiamo restituire le mummie all'Egitto, affinchè possano esporle nei loro Musei. Auspicherei piuttosto (per quanto io stessa ne riconosca la difficoltà di realizzazione) che vengano create aree da destinare alla sepoltura, opportunamente controllate, dove quei poveri resti possano riposare in pace.

Conosco Egiziani che condividono la mia posizione, ma sono in numero relativamente basso, rispetto alla totalità.
Mi astengo volutamente dal giudicare.
Le mie considerazioni sono totalmente improntate verso il rispetto dell'antica civiltà Egizia, verso l'importanza che questi riconoscevano alla loro Terra e al loro bisogno di credere di potervi giacere, a morte terrena sopraggiunta.

Volendo riflettere tutto questo nello specchio della modernità, sostanzialmente è la medesima "condanna" che faccio a chi espone (e lucra) su reliquie santificate.
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13/05/2010 23:25
 
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Noto solo ora, ma con vivo piacere, gli interventi di Roberta e Anna. Me li leggerò con attenzione, prima di procedere con eventuali repliche ;)
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13/05/2010 23:30
 
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Re: Re:
-Kiya-, 13/05/2010 23.23:

Le mie considerazioni sono totalmente improntate verso il rispetto dell'antica civiltà Egizia, verso l'importanza che questi riconoscevano alla loro Terra e al loro bisogno di credere di potervi giacere, a morte terrena sopraggiunta.




A questo mi ispiravo quando dicevo che abbiamo ancora molto da imparare da Kemet...
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13/05/2010 23:51
 
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Re:
roberta.maat, 13/05/2010 22.53:


Altre profanazioni, tipo la polvere di mummia, non meritano nemmeno il nostro giudizio.....




Sono scempi che ci paiono distanti anni luce, eppure ancora terribilmente e tristemente attuali. Senza toccare in modo specifico l'ambito medico o la credenza del potere guaritore della polvere di mummia, basta pensare che tutt'oggi si registrano episodi di commercio sul mercato nero di parti di corpi umani mummificati. Accade, ad esempio, in Perù, nella zona funeraria di Chaucillay (nei pressi di Nazca), in cui si trovano numerose mummie ivi rinvenute e conservate in loco insieme ai loro corredi, con tutti gli accorgimenti necessari. O almeno così dovrebbe essere....
Lì il mestiere di tombarolo è tuttora praticato, tant'è che gli operatori turistici consigliano spassionatamente, ai loro clienti che si aggingono a visitare l'area, di astenersi dall'incentivare i commerci illeciti, evitando di acquistare i reperti proposti loro dai ladri.








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14/05/2010 00:04
 
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Re:
NEFERNEFERURE, 13/05/2010 23.21:

Con me sfondate una porta aperta, ritengo che il rispetto per la dignità della persona debba essere il principio ispiratore di ogni azione umana.
Concordo sul fatto che si possa e debba studiare - con le dovute cautele e senza devastazioni - i poveri resti che emergono dal passato, giusto per saperne di più e forse poterne scrivere (e in taluni casi, riscrivere) la storia, ma non si deve mai dimenticare che sono PERSONE e come tali vanno trattate.
Ho visto come sono ben tenute le mummie reali nel Museo del Cairo, ma per quelle poche mummie
quante altre non sono state assunte a pari dignità? Abbiamo ancora molto da imparare da Kemet...
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Ci troviamo sullo stesso ordine di idee.
Aggiungerei che studi e indagini storiche non necessariamente presuppongono l'esposizione. Si può portare avanti la ricerca senza che le mummie siano poi trattate come "specchietti per le allodole" all'interno di mostre ed esposizioni.
Pensiamo, ad esempio, all'affluenza registrata dalla KV62 nella Valle dei Re, nettamente superiore rispetto a quella registrata dalle altre tombe visitabili.
Onestamente dubito che ogni visitatore si sia detto: "voglio rendere omaggio a un sovrano d'Egitto". Ma non dovrebbe essere questo, eventualmente, lo spirito che anima chi si reca al cospetto di Tutankhamon?
Come ho più volte ribadito, sono stata in Egitto una sola volta, finora.
In quell'occasione mi rammarico di non essere riuscita ad accedere alla Sua tomba. Ma la motivazione che alimentava, e tuttora alimenta, questo desiderio, concedetemelo, è ben altra che non la curiosità di vedere il corpo del "faraone della maledizione"..... In tutta onestà, non ho visitato nemmeno la Sala delle Mummie al Museo del Cairo. Questo non per impossibilità organizzativa, ma proprio perchè già allora non riuscivo ad ammettere un gesto che aveva un forte sapore di empietà.

Tutt'oggi, quando torno a Torino, scelgo giorni tranquilli (nei limiti del possibile) per recarmi al Museo, per poter evitare di assistere a scene che mi muovono a rabbia davanti alla teca che espone le Tre Sorelle, presso le quali resto sempre qualche minuto, in rispettoso silenzio.



[Modificato da -Kiya- 14/05/2010 09:33]
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14/05/2010 09:27
 
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Non vorrei essere giudicata dissacrante e trovo complesso organizzare a parole il mio pensiero.
Il corpo ci appartiene, esso è l'immagine esteriore di ciò che siamo, merita rispetto ed è lo strumento per cui riusciamo a comprendere il diritto alla individualità conferendo i diritti che sono propri degli uomini.
Deve essere questo un punto fermo per allontanarsi dal materialismo più estremo che sovente spinge a confondere membra essiccate con vasi di coccio.
Vorrei aggiungere però che anche un coccio riprende a vivere se collocato nel tempo e nello spazio là dove, pure inerte, partecipava alla vita. Il cercare di riportare un corpo nella dimensione che frequentava da vivo restitusce l'essenza che il tempo e l'oblio vogliono cancellare.
Nessuno di noi butterebbe una scatola di ricordi cari ma se questa finisse in mani estranee perderebbe il suo valore e la sua fine sarebbe inevitabile. Ancora più facile sembrerebbe disfarsi di quel corpo secco e fasciato, testimone della caducità della carne, seppellendolo lontano dalla vista dei simili che nulla sanno di lui. Un atto di pietas che riteniamo tutti un dovere......tuttavia obblighiamoci a pensare talvolta che se guardiamo una bacheca stiamo permettendo a quel defunto di essere ancora QUALCUNO.
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