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Storia e Mnemostoria dell'Antico Egitto, ossia la storia per come recepita, nel tentativo di comprendere la storia per come stata.
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Sacrificio

Ultimo Aggiornamento: 04/11/2008 13:49
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- ShemsetRa -
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01/11/2008 11:13
 
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Il significato della parola
Ad occhio riesco a comprendere che la parola "sacrificio" deriva dal latino sacrum e facere e potrebbe voler dire "rendere sacro".
Nel linguaggio corrente però un sacrificio è la rinuncia a qualcosa, mentre il valore etimologico della parola è più esattamente indicata da "consacrato", anche se, pure questo concetto, etimologicamente potrebbe essere ricondotto, più sottilmente, ad altro.

Sotto alcuni aspetti i due significati del sacrificio potrebbero coincidere, solo noi, a distanza di millenni facciamo caso alla differenza, ma forse, quando il sacrificio nacque le due cose coincidevano.

Seppellire i morti è certo stato un primevo atto di grande pietas dell'uomo verso sé stesso, ma cominciare anche ad aggiungere qualcosa è certo il segno di un nuovo pensiero.
Quando l'uomo aveva poco e niente, mettere quel poco nella tomba di un morto doveva certo essere un gran sacrificio per tutti, davvero la comunità si privava di parte del cibo, di strumenti, di armi, di cose preziose, utili ed indispensabili per farne dono ad un membro della comunità che se ne andava.

Era ovviamente ferma la convinzione che tali cose dovessero servire nel posto in cui sarebbe andato, altrimenti non si sarebbe fatto così grosso sacrificio; inoltre, in quel particolare momento della storia dell'uomo, la divinità non esisteva ancora, quindi non sarebbe nemmeno giustificato parlare di sacrificio nel senso etimologico della parola, ma solo nel senso di "privazione".

Naturalmente penso all'Egitto e all'Africa in generale e porto a confronto i corredi delle varie sepolture di tutti i tempi, ma presso le altre civiltà nasce analogamente l'idea di sacrificio?
Perché in ogni punto della terra in cui ci sono tracce di colonizzazione umana antichissima ci sono tombe e dentro a queste c'è della roba?
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01/11/2008 14:48
 
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Per cercare il vero significato della parola "sacrificio" dobbiamo fare una riflessione. Così come scritta è evidente il suo senso nella accezione latina ma dobbiamo spingerci più indietro per comprendere effettivamente perchè si usa questa parola quando dobbiamo indicare una operazione che spesso astrae dalla offerta materiale.

Se ricerchiamo l'origine della parola sacro scopriamo che la radice sak indoeuropea, significa attaccare, aderire, avvincere e che la radice in sanscrito sac sta per seguire, accompagnare e, estendendo, adorare.

Mi pare giusto a questo punto osservare che il significato di privazione sia molto lontano dalla realtà e che si sia giunti a questa interpretazione per successive modalità di impiego della parola confezionata oggi in lingua latina.
[Modificato da roberta.maat 01/11/2008 14:50]
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01/11/2008 17:26
 
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Era ovviamente ferma la convinzione che tali cose dovessero servire nel posto in cui sarebbe andato, altrimenti non si sarebbe fatto così grosso sacrificio; inoltre, in quel particolare momento della storia dell'uomo, la divinità non esisteva ancora, quindi non sarebbe nemmeno giustificato parlare di sacrificio nel senso etimologico della parola, ma solo nel senso di "privazione".



Questo tuo pensiero mi fa riflettere...

perchè affermi che in quel momento storico la divinità non esisteva ancora? Forse interpreto, però, male il tuo riferimento temporale...
direi che potremmo parlare di "divinità" fin da quando l'uomo comincia ad avere percezione del sovrannaturale (inteso come tutte quelle manifestazioni della natura che non sapeva spiegare altrimenti).
Possediamo tracce riconducibili all'esistenza di miti cosmogonici che sono state datate a 30.000 anni fa (pitture rupestri del Pleistocene).
E' pur vero che, però, le prime testimonianze concrete di un credo religioso sono assai più recenti, risalgono infatti a 5000 anni fa. Quindi parlare di riti cosmogonici, 30.000 anni fa èpotrebbe apparire ancora alquanto azzardato.

Tornando all'importanza dei corredi funerari, credo che già l'esistenza di pratiche specifiche volte ai defunti fosse indice dell'esistenza di un credo e che questi, a sua volta, giustificasse il privarsi di alimenti, oggetti, utensili, praticamente fondamentali e indispensabili, nonchè scarsi in termini di disponibilità, per dotare il congiunto di quanto gli sarebbe servito nell'altra vita.
Credo anche che ciò sia coinciso con la nascita dell'esigenza di credere in un'altra vita, altrove, in altri luoghi, nemmeno terreni, ma pur sempre una continuità. Anche un modo per tutelare la propria tranquilla esistenza, tenuto conto che il credere in un'altra vita, presuppone anche la possibilità che, da essa, i defunti potessero "vedere", e giudicare, quale trattamento gli fosse stato concesso. Per questo era fondamentale che fossero soddisfatti. Da qui e dall'esigenza di sconfiggere l'idea della morte (niente di più attuale, oltretutto) il desiderio/necessità di dotare il defunto del suo corredo. Una sorta di garanzia, oltretutto, che, probabilmente, pacificava le coscenze all'idea che un giorno, avrebbero ricevuto il medesimo trattamento.
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01/11/2008 18:28
 
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Scusate.....ma perchè vogliamo assolutamnte dare priorità al concetto di privazione e non a quello di offrire,accompagnare ? Il gesto di dare, secondo me, nasce prima e il privarsi ne è casomai una conseguenza.
01/11/2008 18:51
 
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i miei complimenti a pizia per l'interessante argomento tirato in ballo, e a Roberta per la ricerca della radice...
Personalmente il concetto di sacrificio che qui si vuole analizzare, mi ha riportato alla mente l'Inno cannibale, che si trova all'interno dei Testi delle Piramidi, alle formule (credo che la traduzione del termine Utterance sia grosso modo questa) 273-274. Ho trovato in parte il testo in italiano, e lo propongo qui di seguito:

Il cielo si è coperto di nubi, si sono oscurate le stelle e sono scossi gli Archi.
Tremano le ossa degli Akeru ma cessano i movimenti quando hanno visto (il re)
Unas che sorge possente,
un dio che vive dei suoi padri, che si nutre delle sue madri.
(…)
Unas è il toro del cielo, dal cuore furioso, che vive dell’essenza di ogni dio,
che mangia le loro viscere, quando essi arrivano, col ventre pieno di magia,
nell’Isola della Fiamma,
(…)
Unas è il signore delle offerte, che annoda la fune,
che prepara lui stesso il suo pasto.
Unas mangia gli uomini, e vive degli dei,
è il signore dei tributi, che distribuisce le offerte(?).
(Il demone) Imi-kekau afferra le teste e le lega per Unas.
Il Serpente dalla testa scintillante le sorveglia e le difende.
(Il demone) Hericerut li lega.
Khonsu, dai coltelli di ogni tipo, le decapita e tira fuori per lui quello che è dentro il corpo
è il messaggero che Unas manda per punire.
Scesemu li fa a pezzi e alla sera ne fa cuocere dei pezzi sul suo focolare.
Allora Unas mangia le loro magie e ingoia i loro spiriti.
I grandi sono per il suo pasto mattuttino,
i medi sono per il suo pasto serale,
i piccoli sono per il suo pasto notturno,
i vecchi e le vecchie sono per la sua fumigazione.
(…)
(Il re) Unas è pieno di forza quando le loro magie sono nel suo corpo.
il suo valore non si allontanerà più da lui perché ha
ingoiato il sapere di ogni dio,
la durata della vita di Unas è l’eternità,
il suo termine la perpetuità,
in questa sua dignità secondo la quale si fa ciò che si vuole
e non si fa quello che si detesta,
lui che risiede entro i limiti degli orizzonti, eternamente e per sempre.


Mi incuriosisce il pensiero di Roberta; cioè vedere nel sacrificio non una privazione, ma un accompagnare il defunto... Tutto sommato non vedo perché non dovrebbe essere così, e mi chiedo se - sempre ammettendo che il cannibalismo fosse una sorta di sacrificio - la/le persone in vita non mangiassero il corpo per nutrirsi, e quindi per farsi accompagnare, in vita dalle facoltà che possedeva il defunto...
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02/11/2008 00:24
 
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Re:
roberta.maat, 01/11/2008 18.28:

Scusate.....ma perchè vogliamo assolutamnte dare priorità al concetto di privazione e non a quello di offrire,accompagnare ? Il gesto di dare, secondo me, nasce prima e il privarsi ne è casomai una conseguenza.




indubbiamente è così. Siamo noi, con i nostri giudizi e con la nostra mente "inquinata" ad analizzare la questione da un punto di vista che molto probabilmente non coincide con quello di allora.
Con ogni probabilità il loro gesto non era accompagnato dall'idea di sacrificio, per quanto effettivamente lo fosse. Corredare le sepolture con quanto poteva servire divenne intrinseco, consueto, dovuto.
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02/11/2008 22:11
 
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Osservavo che manifestazioni di pietas verso i defunti esistono già prima dei 100mila anni fa e non solo da parte di Homo Sapiens propriamente detto, ma anche da parte di altri ominidi attualemte estinti.
Si tratta però solo di sepoltura dei morti e di varie prove di cure affettive verso i defunti, non della coscienza vera e propria di una divinità.
Di ciò riferisce anche il Barca, nel suo libro sui "Sovrani egizi predinastici".

Invece le prove di una scoperta o invenzione della divinità sono più recenti e caratteristiche della specie a cui apparteniamo noi.

Wild Heart mi aveva parlato del ritrovamento di indizi di culto verso una divinità serpente risalenti a circa 70mila anni fa, avevo letto in proposito un articolo su Newton e forse ne aveva parlato anche Pharaon.
Non so quanto siano accettate le conclusioni degli studiosi coinvolti in quell'indagine, comunque mi sembrano date abbastanza coerenti con una possibile storia dell'evoluzione del pensiero metafisico nell'uomo.
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02/11/2008 22:40
 
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Re:
Hatshepsut76, 01/11/2008 18.51:

... e mi chiedo se - sempre ammettendo che il cannibalismo fosse una sorta di sacrificio - la/le persone in vita non mangiassero il corpo per nutrirsi, e quindi per farsi accompagnare, in vita dalle facoltà che possedeva il defunto...



La traduzione che riporti, se non erro, è la medesima che compare nel testo della Bresciani, "Letteratura e poesia dell'antico Egitto". Purteroppo non ho a portata di mano il volume, se qualcuno tra voi volesse dare uno sguardo alle note dell'autrice, credo si possa approfondire in maniera interessante (lo faremo in un 3d dedicato, qui egittophilia.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=... ad esempoi).

Personalmente io credo che l'inno sia una grande metafora. Sarebbe un enorme controsenso, seguendo i principi della concezione egizia a riguardo della preservazione del corpo, l'idea che se ne potessero cibare.
Inoltre, leggendo il testo si evince che si rivolge ad un Unas defunto e che lo stesso si ciba dell' heka, ovvero della magia, di cui gli dèi avevano pieno il ventre. Credo che si tratti quindi di indagare il significato magico intrinseco che quelle parole dovevano rendere.

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02/11/2008 23:12
 
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tornando in tema e concordando con l'intervento di Roberta, propenderei per denominare il gesto di corredare il defunto di beni che lo avrebbero accompagnato nel suo viaggio, con il termine "offerta", che, in fondo va a riprendere, in modo più appropriato, il termine impiegato dai medesimi, htp.

La propriamente detta "formula di offerta" è infatti per così dire uno standard. La troviamo nelle iscrizioni sempre in forma di:

ḥtp dỉ nsw

ovvero

dono/benedizione dato dal Re


è chiaro che, in questo contesto, mi rifaccio a un'epoca più tarda, l'epoca faraonica, propriamente detta. Ma credo si possa affermare che la stessa prese spunti da tradizioni precedenti, in cui il Capo Tribù ad esempio, poteva essere virtualmente invistito quale "offerente".

Ho paura che, cammin facendo, però, abbiamo perso di vista il reale intento che pizia intendeva proporre con questa discussione. La pregherei quindi di risottolinearlo...
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- ShemsetRa -
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02/11/2008 23:59
 
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Seguo con interesse il vostro argomentare, mi piace la piega che prendono le discussioni con voi.
Il mio pensiero iniziale, vago e informe, si modella aggiungendo una parola qua e una là.
Ammetto di aver iniziato pensando al predinastico e volgendo lo sguardo indietro per capire il fenomeno indagandone l'origine, mentre voi correte avanti per raggiungere il Nuovo Regno e la XVIII dinastia, per scendere magari ancor più nel particolare e cercare di applicare il discorso alla teologia amarniana, ma tutto fa.

Meglio, così non rischiamo di cadere nell'errore di quanti, parlando della civiltà egizia, forniscono linee direttive e generali talmente statiche da far sembrare una civiltà plurimillenaria immobile come pietrificata.
E' importante capire com'era prima e com'è diventata dopo, perché anche la considerazione critica dei motivi dell'abbandono di un'usanza a favore di un'altra, oppure della modificazione della stessa, possono chiarire aspetti dell'interirità umana.

Questa è la cosa che mi interessa di più in fondo, capire com'è l'uomo dentro.
Sociologi, antropologi, filosofi, teologi, paleontologi e altri da secoli discutono su questi argomenti, ma usano, per la loro indagine, strumenti diversi, quali la mente umana contemporanea, le culture sopravvissute, pochi resti preistorici, la civiltà vicino-orientale.
Ben pochi hanno sfruttato la storia della civiltà egizia, per molti motivi.
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