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La casa del tesoro di Rhampsinit

Il re Rhampsinit possedeva un tesoro immenso in monete, mai più eguagliato dai suoi successori, e volendo custodirlo nel palazzo fece costruire dal suo architetto una stanza apposita, molto sicura, tutta in pietra.

L’architetto pose la stanza in modo che avesse un lato lungo un muro esterno e nella muratura in pietra pose un concio in modo che potesse essere tolto agevolmente da un paio di persone e forse anche da una.
Conservò il segreto tutta la vita e quando si trovò vicino alla morte chiamò i suoi due figli e lo rivelò a loro in modo che, in caso di bisogno avrebbero potuto servirsene per ottenere il favore del re.

L’architetto morì e i suoi figli pensarono di sfruttare subito il segreto di cui erano a conoscenza, così si recarono nottetempo nel palazzo e portarono via cospicue quantità di denaro dal deposito del re; questi si rese conto ben presto del prelievo continuo, ma nessuno riusciva a capire come potesse accadere perché i sigilli della porta rimanevano intatti e nessuno veniva visto andare o venire.

Decise di mettere dei lacci presso le giare colme di ricchezze, all’interno della stanza, accorgimento che si rivelò funzionale, perché uno dei ladri vi restò subito impigliato; non potendosi liberare, pregò il fratello di tagliargli la testa, per non cadere entrambi nelle mani delle guardie.

L’indomani il re si trovò davanti allo spettacolo raccapricciante del corpo del ladro senza testa, ma ancora non riuscì a capire come avesse fatto ad entrare e come tutto potesse essere in ordine, tranne il calo continuo delle ricchezze.

Decise di esporre il corpo del morto, nella speranza di poterlo identificare se qualche parente fosse venuto a piangerlo e a reclamarlo.

La madre, non potendo sopportare la perdita, minacciò il figlio superstite di svelare la verità al re se non avesse trovato il modo di riportare a casa il resto della salma, così escogitò il seguente espediente.

Con una carovana di asini caricati con otri pieni di vino, si finse un mercante e passò nella zona delle mura in cui il cadavere era sorvegliato dalle guardie, poi tolse qualche tappo e finse disperazione correndo da una parte all’altra come non sapendo da che parte cominciare per limitare le perdite; le guardie accorsero e cominciarono a riempire le loro caraffe col vino che usciva, mentre qualcuno andò anche a prendere qualcosa da mangiare così si diede inizio ad un banchetto durante il quale persino il carovaniere calmò la sua agitazione e partecipò di buon grado, offrendo ancora dell’altro vino.

Alla fine le guardie un po’ ubriache si addormentarono, ma il furbo ladro no, ebbe tempo, non visto da nessuno, di recuperare il cadavere del fratello e riportarlo a casa alla madre.

Il re andò su tutte le furie per essere stato nuovamente ingannato.
Prese una drastica risoluzione: ordinò alla figlia di accompagnarsi con tutti gli uomini che incontrasse chiedendo loro, prima di concedersi, di raccontare quale fosse l’impresa più scellerata della loro vita, e se avesse trovato il responsabile lo avrebbe trattenuto, chiamando le guardie.

E la figlia obbedì!

Ma il furbo ladro tagliò un braccio al cadavere, da portare con sé e andò a far visita alla donna, la quale, seguendo gli ordini del padre interrogò preventivamente il cliente; egli rispose, raccontando entrambe le sue bravate, la figlia del re lo afferrò prontamente, ed egli porse il braccio del morto, sfuggendo alla presa.

Prendendo atto dell’astuzia dell’uomo il re sparse in giro la voce che gli avrebbe dato in sposa sua figlia se si fosse presentato.

Così egli fece e il re mantenne la sua promessa, gli diede sua figlia in sposa, sostenendo che gli egizi fossero il popolo più intelligente e dunque il più intelligente di loro meritava di esserne il re.
[Modificato da pizia. 01/05/2008 11:40]