00 21/03/2012 13:30
E’ la parola più comune nei territori di guerra. Muri alzati per separare confini, spazi, lingue, culture, religioni.

In Egitto, in un anno di proteste l’esercito egiziano ha costruito muri su muri per bloccare le strade, chiudere le uscite, delimitare le zone, separare la gente.

In molti punti questi muri ostruiscono il traffico complicando la vita economica e sociale. E, cosa non meno grave, appesantiscono le giornate delle persone e i rapporti umani.

L’estetica di questi muri è brutta: sono cubetti di pietra ammucchiati per le strade, a volte a diversi metri di altezza, oppure sono sacchi di sabbia, grigi, come è grigia tutta la distruzione che la guerra porta con sé.

Alcuni egiziani, estrosi come solo i creativi sanno essere, hanno pensato di abbellire questi muri trasformando il grigio in colore, e li hanno dipinti.

E’ nato così il progetto “No Walls”, con un intento sociale oltre che estetico: dipingere quei muri fino a renderli invisibili, come se non esistessero.

E così passeggiando al centro del Cairo ci si può imbattere in un gruppo di bambini che guardano meravigliati l’arcobaleno.

Più in periferia, i versi di un’antica poesia egiziana accompagnano la passeggiata dei passanti.

Altri muri sono diventati finestre, sguardi sul mondo, mentre il filo spinato è scomparso dietro raggi di sole e il grigio è sfumato nell’azzurro del cielo.

La blogger Suzee Morayef ha documentato la “rivoluzione creativa” di questi artisti per le vie del Cairo, grazie ai quali la città ha ripreso un po’ dei suoi colori originari.

Si chiamano El Moshir, Gad, Ammar Abu Bakr, Alaa Awad, Laila, Meged: avevano scommesso sull’arte e hanno vinto. In Palestina successe diversamente, perché quando l’artista di strada inglese Bansky vi si recò per dipingere il muro dell’apartheid, un anziano signore gli si avvicinò per dirgli che loro, i palestinesi, non volevano che quel muro diventasse bello. Le generazioni future dovevano vederlo così come era stato costruito, per capire quanto dolore avesse procurato.

Ma i giovani del Cairo la pensano diversamente. Per Mohamed El Moshir dipingere su quei sacchetti di sabbia vuol dire raccontare una storia, la storia dell’Egitto contemporaneo, e dimostrare che tutto ciò che distrugge, in un’altra prospettiva può anche servire a costruire.

C’è un dipinto significativo, tra i tanti disegnati sui muri egiziani. Mostra un uomo che fugge da una biblioteca in fiamme, portando con sé dei libri.

E’ un disegno artistico ma è anche una testimonianza: è la storia vera di chi ha rischiato la vita per mettere in salvo i libri preziosi conservati nella biblioteca del Cairo.

Quando martedì i murales sono stati completati, dopo una settimana di intenso lavoro, gli artisti e gli attivisti hanno festeggiato per strada con Hasaballah, un gruppo di musicisti tradizionali, invitati a cantare e suonare per celebrare l’apertura delle strade e la vittoria dell’arte e del colore sul grigio militare.




www.atlasweb.it/2012/03/21/egitto-i-muri-del-cairo-e-la-rivoluzione-nei-graffiti-...