L'eroe astuto

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pizia.
00mercoledì 11 febbraio 2009 04:55
Temi egizi nella saga popolare alpina.
Il prigioniero del castello di Sporo.
Ho letto questa favola nel libro di Quirino Bezzi, "Lungo le rive del Noce", 1988.

Il castellano simpatizzava per il governatore del Tirolo, ma la zona era assoggettata al potere del Vescovo di Trento, detentore del potere temporale nella regione per conto della Chiesa.

A peggiorare la rivalità già in atto fra “guelfi” e “ghibellini” si aggiungeva la simpatia del popolo verso il Vescovo, considerato uomo giusto e onesto.

Il castellano, con la complicità di alcuni compari attirò nella sua fortezza il Vescovo e durante un banchetto lo sequestrò, rinchiudendolo nelle segrete del castello.

La scomparsa del buon signore fu presto notata, mentre l’altro si mostrava più spavaldo del solito, sicuro di aver ormai eliminato il suo rivale.
Ma la gente complottava per liberare il prigioniero.

Fu interpellato un paesano famoso per la sua furbizia e abilità, l’eroe di questa storia.
Evidentemente per ottenere il successo nell’impresa occorreva più abilità che forza fisica, non potendo sostenere, la parte in causa, un attacco frontale o un assedio.

Quando il castellano si recò in viaggio, lasciando il castello alla custodia delle guardie, partì il contrattacco e l’eroe entrò in azione.

Caricò una botte di vino su un carro trainato da un mulo, quindi si avviò presso la fortezza; giunto nelle vicinanze incastrò il carro in un fosso, cominciando a lagnarsi rumorosamente in modo da essere notato dalle guardie, lamentandosi per la propria sventura, preoccupato per il suo prezioso carico.

Accorsi presso il carro per aiutare il conducente cominciarono a servirsi di vino e a bere, lasciandosi andare presto all’ebbrezza e bevendo molto di più di quanto sarebbe stata una giusta ricompensa, così caddero nel sonno.

L’effetto dell’alcool era rinforzato dai semi di papavero che l’astuto contadino aveva precedentemente messo nel vino.
Chiamò i suoi compari e forzarono la porta della prigione, liberando il Vescovo.

Seguirono festeggiamenti nei villaggi e grande rabbia del castellano quando tornò a casa; inoltre così si guadagnò l’aperta ostilità del Vescovo di Trento.

Questa storia ha un’illustre antenata nella leggenda popolare egizia, avete presente La favola del ladro?

In questa l’eroe doveva recuperare il cadavere del fratello e condisce il vino da far bere alle guardie col giusquiamo anziché col papavero, ma la furberia è la stessa e la struttura del racconto anche.

Leggendo il libro della Brunner Traut “Favole, miti e leggende dell'antico Egitto”, mi sono meravigliata della certezza con cui l’autrice attribuiva alla tradizione derivata da quest’antenata egizia anche leggende ritrovate in varie parti del mondo, dal Nord-Europa all’India e stentavo a crederlo.

Finché io stessa non ho trovato similitudini innegabili e non facilmente spiegabili altrimenti.

Così ho trovato un nuovo significato per il detto latino “verba volant”, un altro aspetto della parola detta, della tradizione orale: essa viaggia molto velocemente ed echeggia lontano dal luogo d’origine attraverso chissà quali segrete rotte.

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