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"Iside e Osiride" di Plutarco

Ultimo Aggiornamento: 09/01/2011 17:28
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18/10/2008 16:35
 
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Titolo: Iside e Osiride
Autore: Plutarco
Prezzo e disponibilità: verifica

Dati: 1985, 225 p., brossura, 6 ed.
Curatore: Cavalli M.
Editore: Adelphi (collana Piccola biblioteca Adelphi)



Iside e Osiride (Piccola biblioteca Adelphi)





In sintesi: Il capolavoro "Iside e Osiride" si incentra sull'interpretazione del mito; questo non significa, naturalmente, che il mito debba essere inteso in senso assoluto, ma che si debba interpretare nel suo significato di fondo: da un lato Iside, simbolo del bene e della sapienza, e dall'altro Osiride, il giovane dio che ha riscattato gli Egiziani dalla barbarie, dando al paese leggi e civiltà, che viene ucciso e disperso dal nemico Tifone, simbolo del male, nelle sue varie membra che divengono sepolcri e templi, perenne richiamo dell'uomo al divino.
[Modificato da -Kiya- 09/01/2011 17:28]
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- ShemsetRa -
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18/10/2008 22:53
 
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Vorrei tanto leggerlo integralmente, sono sicura che merita, ma non posso comprarlo, lo cercherò in biblioteca.
Tu l'hai letto Hat?
19/10/2008 01:59
 
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non ancora, sono alle prese con il testo sulla poesia e letteratura nell'antico Egitto della Bresciani, ma sarà sicuramente il testo successivo! [SM=g999103]
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19/10/2008 11:30
 
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Io l'ho letto a frammenti, ma confermo che è una di quelle letture che va approfondita, tenendo pur sempre conto di influenze intrinseche al pensiero greco

;)
27/06/2009 23:19
 
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grazie per l'aiuto con il reinserimento della copertina, Sorellina! [SM=g999103]
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28/06/2009 13:11
 
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Iside e Osiride: alcune riflessioni.
Vorrei condividere alcuni spunti che la lettura di questo splendido testo mi ha suggerito. Dato che si tratta di un mio "scritto" abbastanza lungo, se siete d'accordo, ne riporto un brano per volta, sperando che possa essere utile e che susciti i vostri commenti. Ecco la prima parte:
Dell'autore penso non sia necessario dire granché, a parte la sua collocazione storica: nato nel 46 d.C a Cheronea, visse ad Atene ma viaggiò molto, in Grecia, in Asia e a Roma, dove conobbe Nerone. Sembra sia morto, nella sua città natale, intorno al 120 d.C.
In questa sua opera Plutarco affronta svariati temi, fra cui risulta evidente la comparazione tra miti egiziani e greci, nel tentativo di trovare punti di incontro fra le due civiltà. Come dice D. del Corno, nell'introduzione al testo, il mondo classico viene rivisitato “come un passato sottratto al tempo, incanutito nell'acquisizione di una saggezza che assume la dimensione dell'eterno”. Ci sono, in questo testo, vari aspetti che meritano un approfondimento e, fra questi, vorrei iniziare dal concetto di verità, che richiede una valutazione e una definizione precise.
Verità é, per Plutarco, il dono più grande che il dio abbia fatto all'uomo e il più sacro; dall'alto della sua immortalità, la divinità troneggia per sapienza e ragione e, come dice Omero, Iliade XIII,354-355, “Zeus per primo nacque e di più seppe”. L'immortalità, come viene vissuta dai mortali, richiede una conoscenza, un approfondimento del pensiero razionale che fa, del nostro esistere, una vita compiuta. Senza pensiero, senza conoscenza, l'immortalità non é più vita, ma si riduce ad uno scorrere del tempo a cui non é possibile dare significato. Viene spontaneo accostare questa visione dell'eterno a quella del messaggio cristiano, in particolare al “logos” giovanneo, in cui le forze del bene e del male lottano in eterno. Plutarco dice che il male straccia e cancella la sacra scrittura, così come Cristo, per i cristiani, viene stracciato e annullato nella morte, prima di risorgere all'eternità. Davanti a questo mistero, l'uomo deve raccogliere “dentro la sua anima, come in un'urna, la sacra parola degli dei”, sapendo che “il divino comporta elementi oscuri e nascosti nell'ombra ed elementi chiari e luminosi”. Nasce così l'esigenza di percorrere una strada difficile, la strada dell'iniziazione, che porta alla comprensione e al compimento delle verità rivelate. Le ragioni che spingono l'essere umano verso il trascendente, per gli Egiziani sono ragioni morali, a volte ragioni pratiche, ma nulla di superstizioso o di irrazionale. Plutarco spiega a Clea:”tali concezioni non somigliano affatto a quelle fantastiche invenzioni, tanto vuote ed inconsistenti, che poeti e scrittori, producendo da se stessi, proprio come i ragni, delle novità prive di sostanza, continuano a tessere e ad allungare: perché all'interno dei miti é racchiuso invece un tentativo di spiegare i propri dubbi e le proprie esperienze. Il mito non é altro che il riflesso di una realtà trascendente”.
Ancora D. del Corno dice:”la vitalità forte ed emozionante dei simboli in cui l'uomo colloca la propria aspirazione a sopravvivere, e soprattutto a trovare una ragione per la propria sofferenza, del corpo e dei sentimenti”.
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28/06/2009 17:09
 
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Per conoscere Plutarco bisogna "indagare" Platone, la cui opera influenzò profondamente l'ideologia del filosofo di Cheronea.
La sua opera, qui affrontata, altro non è che il frutto dello studio del "Timeo" Platoniano, considerato che Plutarco probabilmente non giunse mai in Egitto e non ebbe, quindi, l'opportunità di apprenderne "la sapienza" da fonti dirette. Come il "Timeo", il "De Iside et Osiride" è strutturato in forma di Dialogo.
Oltretutto, egli visse in un'epoca in cui il Credo Egizio risultava già ampiamente "corrotto", a seguito del contatto con quello Greco. Un'altra ragione che lo spinse a ritenere fosse possibile individuare dei punti di contatto tra la mitologia dell'una e dell'altra civiltà. Nonostante questo, dobbiamo esergli profondamente grati, poichè grazie a lui possediamo il racconto più completo relativo al mito di Iside e Osiride.

Sul concetto di "verità" Plutarco fu alquanto combattuto. Probabilmente influenzato anche dalla scuola Aristotelica, in proposito passa dalla convinzione che la verità sia praticamente irraggiungibile, al ricercare , come Platone, un messaggio preciso nei miti Egizi, nel tentativo di dar vita a una teoria che fosse in grado di spiegare come dalla verità si dipana ogni aspetto della vita umana: la conoscenza, la storia, la religione, la coscienza... per questo, per il fatto che la Verità fosse alla base della vita, il suo raggiungimento richiedeva un impegno profondo.

Come si legge dalla quarta di copertina, quest'opera è un'omaggio al mito, ma soprattutto intende proporne una chiave di lettura, a conferma della convinzione che nel mito, nel suo simbolo, si celasse la Verità, una verità unanime, poichè come egli stesso sostiene "non ci sono dei diversi per popoli diversi", sottolineando con particolare fervore la necessità di una corretta interpretazione, finalizzata a non cadere nella superstizione.
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28/06/2009 18:47
 
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Sicuramente l'accostamento di Plutarco a Platone spiega, almeno in parte, il frequente alternasi nel testo della dualità antitetica, tipicamente platonica, fra la razionalità e la passionalità e quindi anche fra il mondo del Bene e quello del Male, rappreserntati da Osiride e Seth. C'é tuttavia, a mio avviso, in Plutarco, un'ansia di trovare legami stretti fra mondo religioso egizio e greco, nel tentativo di accomunare le grandi civiltà e il relativo loro sentire in una visione universalistica della conoscenza e del sapere. Questo, ovviamente, va a scapito della realtà storica, in quanto la visione religiosa e pratica delle due civiltà presenta differenze notevoli. Anche i Tolomei hanno tentato questa conciliazione, con il tentativo di introdurre una divinità che ne accomunasse le caratteristiche, cioé Sarapide. Ma ciò che mi sembra più interessante in questo testo é la parte centrale, dedicata al mito di Iside e Osiride e alla sua interpretazione in chiave naturalistica, astrologica e, in primo luogo religiosa(immortalità dell'anima).
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28/06/2009 20:03
 
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Il fatto che nel "De Iside et Osiride" Plutarco si rivolge a Clea, Sacerdotessa di Dioniso e probabilmente di Iside in quel di Delfi, lascia presupporre che l'opera sia stata scritta in età avanzata, cioè quando era già divenuto Sacerdote di Apollo. Questo certamente lo spinse ad approfondire in merito al Credo Egizio, attratto dalla sua spiritualità. Ne apprese certamente che gli Egizi affermavano di aver ricevuto dagli Dèi il dono della scrittura e quindi l'opportunità di accedere alla Sapienza.

Rivolgendosi a Clea, in effetti, egli sostiene che la sapienza fosse il dono più grande che l'uomo potesse ricevere dagli Dèi, sottolineando così un forte legame con quanto stava alla base della spiritualità Egizia.
Il mito di Iside e Osiride dovette divenirgli particolarmente caro, in virtù delle connotazioni che possedeva. Osiride era colui che tramandò l'agricoltura e che mise gli uomini in condizione di poter sopperire ai loro bisogni. Agli occhi di Plutarco, Iside rappresententava la morigeratezza, ed era dai Greci ritenuta la figlia di Ermes o di Prometeo, in ogni caso di una divinità legata alla conoscenza.

Se a tutto ciò andiamo ad aggiungere il principio della Maat, l'equilibrio fra il bene e il male, che accompagnò l'antico Egitto e la sua organizzazione lungo tutto il corso della sua esistenza, nonchè le pratiche sviluppate per la conservazione del corpo in previsione di un'esistenza immortale, questa propensione e questa volontà di assimilazione con l'Egitto espressa da Plutarco, non stupisce.

[Modificato da -Kiya- 28/06/2009 20:04]
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