Storia e Mnemostoria dell'Antico Egitto, ossia la storia per come recepita, nel tentativo di comprendere la storia per come stata.
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Parigi: I canopi più famosi del Louvre non ospitano i resti di Ramesse II

Ultimo Aggiornamento: 19/03/2007 20:57
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di ATON
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19/03/2007 20:57
 
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Dall'inizio del secolo scorso sono stati considerati i pezzi più importanti del più grande museo del mondo. Oggi, grazie allo spietato responso del carbonio 14, si svela che i resti di Ramesse II, custoditi al Louvre di Parigi, non sono di Ramesse II. Insomma il fiore all’occhiello del Louvre è in realtà una bufala o, se si preferisce, un’illusione, un miraggio, un fantasma. Nei quattro vasi che recano il simbolo del sovrano c’è, in realtà, quel che rimane di un oscuro funzionario vissuto, per di più, molto dopo il faraone che fu vittorioso contro ittiti e assiri. Il giallo di Ramesse II arriva da lontano, inizia esattamente 3.220 anni fa, nel 1213 avanti Cristo, anno della morte di quello che è universalmente considerato il più grande faraone dei tremila anni della storia antica dell’Egitto. A Ramesse II, detto il grande, vengono riservati gli sfarzosi tributi dovuti al faraone, dio in Terra, sovrano del Nilo. Secondo il complesso rituale dell’imbalsamazione il corpo del re veniva «smontato» per essere meglio conservato: il cervello era tolto dal cranio passando attraverso il naso con un lungo, sottile uncino; cuore, fegato ed altri organi venivano estratti dal tronco e immersi in unguenti. Il corpo si cospargeva di essenze ed era avvolto in bende di lino. Tutto il resto veniva diligentemente posto in vasi detti canopi. Tutto perché nulla della persona andasse perso e il sovrano potesse così proseguire, completo di tutte le parti del suo corpo, nella vita ultraterrena. Eppure allora accadde qualcosa di strano: il cuore di Ramesse il grande non fu tolto dal corpo, infatti esami condotti sulla mummia conservata al Cairo, negli anni Settanta rivelarono che quell’organo importantissimo non era mai stato estratto dalla cassa toracica del faraone. La mummificazione di Ramesse non fu eseguita come forse era presumibile che fosse fatta. La sabbia dei millenni si stese sulle tracce del corteo funebre del grande faraone che riposò in pace fino alle scorribande di Napoleone in Egitto. Sì, perché il generale ritornò con qualche discutibile vittoria militare, un po’ di sabbia negli stivali, ma carico di reperti dell’antico Egitto che, nell’Ottocento, fecero nascere in Europa una vera mania per la civiltà scomparsa. Decine di archeologi, sedicenti tali e semplici predoni invasero la valle del Nilo a caccia di oggetti da portare nel Vecchio Continente. Con questa ondata di marmi, ciondoli, gioielli e mummie arrivarono a Parigi anche quattro vasi canopi con sopra il cartiglio, cioè il geroglifico, con il nome di Ramesse II. Le urne di ceramica, sulle quali oltre al nome del re spicca un’invocazione agli dei Amon e Mut, presero un posto d’onore al museo del Louvre nel 1906, un secolo fa. Per lungo tempo i vasi sono stati ammirati come pezzi eccezionali, anche se di dubbi ce ne sono stati. E anche parecchi. I reperti avevano fatto storcere il naso a più di uno studioso e nel 1976 prese solidamente corpo l’ipotesi che al Louvre, di Ramesse, ci fosse, nella migliore delle ipotesi, solo il fantasma. Le analisi sulla mummia conservata al Cairo, ma che per un intervento di restauro fu inviata proprio a Parigi, al Musès de l’Homme, rivelarono infatti la presenza del cuore, che non era mai stato rimosso. Da allora sui quattro vasi conservati al Louvre cadde pesantemente il velo del dubbio. Che proprio in queste ore è divenuto certezza. Sono giunte infatti a un responso definitivo le analisi al carbonio 14 effettuate dallo staff dell’università Louis Pasteur di Strasburgo, sotto la supervisione del chimico Jacques Connan. «Questi risultati mettono fine ad un controversia lunga un secolo - ha detto lo studioso - Le analisi molecolari effettuate sui resti organici trovati nelle urne indicano che i reperti non sono contemporanei al regno di Ramesse II». Il chimico ha spiegato che il materiale preso da una delle urne è un unguento a base di di olio di conifera e di grasso animale risalente al 1035 a.C., con un margine di errore di 50 anni. Ramesse è morto nel 1213, dopo il regno più lungo della storia dell’Egitto, 67 anni, quindi 128-228 anni prima che quei vasi fossero riempiti. Un’altra sostanza presente nelle urne, a base di resina vegetale, è molto più recente, risale, al 270 a.C. circa. Connan è sicuro che non si tratta dei vasi canopi di Ramesse II, ma solo di recipienti usati per conservare degli unguenti nel tempio dedicato al faraone. I due vasi avrebbero poi effettivamente contenuto i resti imbalsamati di un corpo umano, ma di una persona sconosciuta vissuta molto dopo il celebre faraone, in periodo Tolemaico, appunto attorno al 270 avanti Cristo. Così il grande faraone, magnanimo ed amorevole con sudditi e figli (ne aveva più di cento), ma spietato con i nemici è riuscito nell’ennesima impresa: beffare, tremila anni dopo la sua morte, il ventesimo secolo.

[fonte: www.iltempo.it, autore: Antonio Angeli]
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