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Storia e Mnemostoria dell'Antico Egitto, ossia la storia per come recepita, nel tentativo di comprendere la storia per come stata.
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I VIAGGI DI BATA -2-

Ultimo Aggiornamento: 19/11/2006 19:41
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I VIAGGI DI BATA -2- [SM=x822715]

Lasciato sulla destra il villaggio degli artigiani di Deir El Medina (Vedi “I VIAGGI DI BATA -1-) s’imbocca un agevole sentiero che sale verso ovest.
Dopo alcuni minuti di cammino si arriva alla sommità di un piccolo colle ove il sentiero si biforca; il percorso di destra s’inerpica verso nord mentre quello di sinistra scende dolcemente sul fondo di una piccola valle.
Scendendo per questo secondo sentiero, dopo alcuni minuti, si notano sulla sinistra due stele scolpite nella roccia e una nicchia votiva, si tratta del santuario rupestre dedicato al dio Ptah e alla dea Mertseger, colei che ama il silenzio, personificazione della cima tebana.
Questo antico luogo di culto fu eretto dagli operai che scavarono le tombe nella Valle delle Regine lungo il sentiero che percorrevano periodicamente.
Proseguendo lungo il sentiero si arriva nello uadi principale che ospita la necropoli reale.

(continua)

[Modificato da -Kiya- 07/11/2006 23.58]

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LA VALLE DELLE REGINE

[SM=x822725] La Valle delle Regine, in arabo Biban el Harim, era chiamata dagli egizi Ta Set Neferu espressione ancora di dubbia interpretazione ma che si tende a interpretare come il luogo dei figli del Re.
La motivazione, generalmente accreditata circa la scelta del luogo da parte degli antichi egizi per la creazione di questa necropoli reale, sta nel fatto che il sito era considerato sacro, sia per la vicinanza della cima tebana, sia per il fatto che nel fondovalle si trova una grotta/cascata che suggerì la similitudine all’utero della Vacca Celeste (Hathor) dal quale nascevano le acque che annunciavano la rinascita dei defunti.
Sotto il profilo tipologico, le tombe presenti nella Valle delle Regine possono essere suddivise in due categorie:

1 - Le tombe della XVIII dinastia (1552-1295 a.c.) abbastanza simili a tombe di privati di alto rango, essenzialmente costituite da un pozzo sul fondo del quale si apriva una camera funeraria più o meno decorata con presenza o meno di annessi.

2 - Le grandi tombe dell’epoca ramesside ovvero risalenti alla XIX e XX dinastia (dal 1295 al 1069 a.c.) con una struttura molto più complessa, al punto da sembrare delle vere e proprie abitazioni sotterranee; queste sepolture riproducono il modello delle grandi tombe reali della Valle dei Re dello stesso periodo.

Da notare che le Grandi Spose Reali iniziarono ad avere diritto ad una loro inumazione nella valle solamente all’inizio della XIX dinastia (1295 a.c. circa), in quanto prima questo privilegio era riservato solamente ai figli dei faraoni; la prima Regina ad inaugurare questo periodo e quindi, a dare il nome alla valle fu Sat_Ra sposa di Ramses I e madre di Sethi I.
Alla fine del periodo ramesside si assistette ad una sistematica spoliazione delle tombe da parte di ladri profanatori attestata da documenti giudiziari dell’epoca.
Le tombe furono riutilizzate nel periodo della XXI dinastia e nel Terzo Periodo Intermedio, divenendo luogo di sepoltura di personaggi non reali, essenzialmente proprietari terrieri legati alla casta sacerdotale.
La Valle delle Regine continuò la sua decadenza durante l’impero romano divenendo un cimitero popolare, condizione che mantenne fino al IV secolo d.c., quando i copti occuparono il sito incendiarono, deturparono parecchie tombe e fondarono il monastero di Deir Rumi le cui rovine sono ancora visibili .
La Valle delle Regine ha delle caratteristiche idrogeologiche particolari e molte delle tombe presenti, non ultima quella di Nefertari soffrono, fin dalla nascita, di problemi legati alla struttura della roccia del luogo.
Gli antichi operai che più di 3.000 anni fa lavoravano nella valle alla costruzione delle tombe, si rendevano conto del problema e molto spesso erano costretti ad utilizzare la “Muna”, uno speciale intonaco, per ricoprire, a volte anche interamente, le pareti ed i soffitti degli ipogei.
In alcuni casi la roccia diveniva di qualità così scadente che, per motivi di sicurezza e al fine di non perdere inutilmente tempo, gli architetti preferivano interrompere i lavori per riprenderli da un’altra parte in un punto ove, si sperava, la roccia fosse più adatta; si spiega così il gran numero di tombe incompiute nella valle.
Sembra, inoltre, che in età successiva a quella ramesside, ci fu un periodo di piogge molto forti per la zona e la cosa, tenuto conto di quanto detto precedentemente, dovette avere effetti non benefici sulle tombe e sui suoi occupanti.
Il primo archeologo che condusse delle campagne di scavo sistematiche nella Valle delle Regine fu il direttore del Museo Egizio di Torino Ernesto Schiapparelli che vi lavorò dal 1903 al 1906 riportando alla luce tutte le più importanti tombe del sito tra cui la tomba della Grande Sposa Reale di Ramses II: Nefertari.
Fu solo nel 1970 che la valle fu oggetto di una serie di spedizioni da parte dei più importanti centri di ricerca di Francia, che effettuarono una ripulitura completa del sito con l’asportazione di tutto il materiale di riporto e di quello proveniente dagli scavi di Schiapparelli, permettendo un ritorno alle iniziali caratteristiche morfologiche della valle.
Queste spedizioni consentirono, inoltre, un rilievo completo del sito oltre allo studio di tutte le sepolture nella Valle delle Regine. [SM=x822725]

Se, arrivati alla biforcazione in cima al colle, si prende il sentiero che s’innalza ripido verso nord dopo circa dieci minuti di cammino si giunge a un bivio da dove un piccolo sentiero conduce a uno sperone roccioso da cui si può ammirare tutta l’area di Deir El Medina.
Poco oltre, guardando con attenzione, si scorgono dei resti di muri a secco, sono ciò che rimane della “Stazione del Colle”, l’antico posto di guardia dei guerrieri Megiau posti a guardia degli accessi delle necropoli reali.
Proseguendo per circa cinquecento metri, alla base di una falesia rocciosa, un altro sentiero conduce a un terrazzo naturale da cui si può ammirare il complesso dei templi di Deir El Bahari.
Salendo da questo terrazzo fino alla cresta di un piccolo colle poco sotto si notano le vestigia di numerose abitazioni, è il “Villaggio del Colle”, il luogo ove gli operai addetti al turno di lavoro nella Valle dei Re potevano disporre di abitazioni dove ripararsi dal caldo eccessivo e riposarsi dal gravoso lavoro senza dover tornare al villaggio di Ta Seet Maat.
Da qui il sentiero scende verso nord e, poco oltre, si oltrepassa la tomba di Thutmosis III e si arriva nel cuore della Valle dei Re, all’incirca nei pressi della tomba di Sethi I.


(continua)
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LA VALLE DEI RE [SM=x822723]

La Valle dei Re, chiamata dagli arabi Biban El Moluk, ovvero Le Porte dei Re, per i grandi ingressi alle tombe della XIX e XX dinastia (1295-1069 a.c.), è una profonda gola che si apre nella montagna e ha un orientamento Nord/Ovest ed era chiamata dagli antichi egizi Ta Sekhet Aat ovvero La grande Prateria.
Provenendo da Luxor, oggi si accede alla valle percorrendo una grande strada asfaltata che segue il tracciato dell’antico sentiero dell’era faraonica chiamato, allora, Il Cammino dove Ra Tramonta.
La valle è dominata dalla cima tebana chiamata El Qurn che anticamente era identificata con la dea Mertseger, Colei che ama il Silenzio.
Alcuni ritengono che la strana forma della cima tebana, che ricorda vagamente quella di una piramide, fu all’origine della scelta di questo posto da parte dei faraoni della XVIII dinastia (1552-1295 a.c.) per stabilirvi la loro dimora eterna.
Sicuramente a questo motivo di carattere religioso se né aggiungeva uno molto più pratico, ossia il fatto che questa valle era di difficile accesso e perciò i Megiau, uomini della guardia scelta del faraone e addetti anche alla sorveglianza delle necropoli reali, avrebbero facilmente potuto controllarne gli accessi e, eventualmente, fermare chi avesse voluto entrarvi senza permesso.
Si ritiene che il primo faraone a farsi inumare nella valle sia stato Thutmosis I (1506-1493 a.c.) ma la tomba di questo re conteneva, per la maggior parte, oggetti risalenti al regno di Thutmosis III (1478-1425 a.c.) del periodo successivo al regno di Hatshepsut (1478-1458 a.c.) e, pertanto, alcuni ritengono che proprio Thutmosis III abbia fatto realizzare questa tomba per trasferirvi il corpo di Thutmosis I che fino a quel momento si trovava nella tomba dell’usurpatrice Hatshepsut.
Qualora questa teoria fosse esatta si potrebbe supporre che ad inaugurare l’epoca delle inumazioni nella valle fu proprio Hatshepsut, la cui tomba (KV20) è senz’altro una delle più antiche.
La tomba di Hatshepsut è, inoltre, gigantesca, insolita, s’inoltra per oltre 200 metri nella montagna e termina in una camera funeraria di grandezza doppia rispetto la norma e nella quale trovarono posto due sarcofagi uno per Thutmosis I e l’altro per la stessa Hatshepsut sua figlia che avrebbe traslato la salma del padre dalla tomba originale.
Questo fatto ha indotto a teorizzare che la tomba in questione fosse, in origine, dello stesso Thutmosis I e che la figlia, che nutriva una vera e propria venerazione per il padre, se ne sia appropriata ingrandendo l’ipogeo originale al fine di trascorrere l’eternità con l’amato genitore.
Questa teoria però non tiene in considerazione il fatto che una volta sigillata la tomba, nessuno poteva disturbare il riposo del faraone; inoltre, dove avrebbero riposto la mummia e il corredo funebre di Thutmosis I per tutta la durata dei lavori?
Manca quindi all’appello la tomba originaria di Thutmosis I?
Il periodo d’inizio dello scavo degli ipogei nella valle è, in ogni caso, senz’altro quello del regno di Thutmosis I o di Hatshepsut e da allora, fino alla fine della XX dinastia (1069 a.c. circa), tutti i faraoni si fecero inumare nella valle e ai margini della montagna tebana eressero i loro templi memoriali.
Contrariamente a quanto si crede non tutte le tombe della Valle dei Re erano nascoste; solamente quelle della XVIII dinastia (1552-1295 a.c.) avevano l’ingresso celato, quelle della XIX e XX dinastia (1295-1069 a.c.) avevano un grande ingresso sontuosamente decorato che, come detto, diede origine all’attuale nome arabo della valle.
Al fine di prevenire eventuali atti predatori la guardia reale dei Megiau, oltre che sorvegliare la valle ed i suoi accessi, ispezionava periodicamente le tombe e verificava che i sigilli posti al momento della chiusura della tomba non fossero stati manomessi e informava eventualmente di ciò i sacerdoti preposti alle necropoli reali.
Purtroppo, tutte le precauzioni prese non sortirono gli effetti desiderati e, in un periodo difficile, insicuro e instabile come quello che ebbe inizio durante il regno di Ramses III (1186-1153 a.c.) e che proseguì fino alla fine della XX dinastia (1069 a.c.), le tombe dei grandi re e il loro contenuto furono prese di mira sempre più spesso da gente senza scrupoli che arrivò anche a mutilare le mummie stesse per impossessarsi dei tesori nascosti nelle loro bende.
Fu perciò deciso di non utilizzare più la valle come necropoli reale e, al fine di salvare dalla profanazione le mummie dei re, i sacerdoti le spostarono in luoghi più sicuri, come la cachette di Deir el Bahari; in questo nascondiglio furono rinvenute molte mummie, per la maggior parte di faraoni, tra cui quella di Ramses II.
Da questo momento la valle, non più sorvegliata dai Megiau, fu in balia dei saccheggiatori che poterono entrare ed uscire a loro piacimento dalle tombe spogliandole di tutto quanto interessasse loro; finché anch’essi non ebbero più alcun motivo di visitarle e tutta la valle fu dimenticata per alcuni secoli.
Durante l’epoca tolemaica la valle fu riscoperta e, per la prima volta, divenne meta “turistica”.
Sulle pareti di alcune tombe, ad esempio quella di Ramses IV, numerosi graffiti di epoca greca e romana si aggiunsero alle decorazioni fatte eseguire dai faraoni.
Anche i primi resoconti di viaggio risalgono a questa epoca;, Diodoro Siculo, ammirando le tombe dei re, affermò che il loro splendore lasciava poca possibilità di riprodurre qualcosa di altrettanto bello.
Trascorso questo breve periodo la valle ridivenne il regno del silenzio e fu di nuovo avvolta dall’oblio.
Il gesuita Claude Sicard, che soggiornò in Egitto dal 1708 al 1712, fu il primo a ritornare nella Valle dei Re e a riscoprirne le tombe.
In seguito il religioso Richard Pococke visitò la valle nel 1734 e ne disegnò la prima planimetria nella quale figuravano 18 tombe ma, già all’epoca, solamente la metà era accessibile.
Bisogna attendere il 1798 perché gli studiosi, al seguito della campagna napoleonica d’Egitto, traccino il primo rilievo scientifico dell’area della necropoli reale tebana e contestualmente scoprano la tomba di Amenhotep III nella Valle delle Scimmie o Valle dell’Ovest.
Nel 1817 il padovano Giovanni Battista Belzoni, cacciatore di antichità e tutt’altro che archeologo, scoprì le tombe di Ramses I, Sethi I e Ay, quest’ultima nella Valle delle Scimmie.
Tre anni più tardi, il primo dei grandi archeologi, l’inglese James Burton, scoprì la tomba del principe Meryatum, tornata alla ribalta in questi ultimi tempi come la tomba dei figli di Ramses II e divenuta famosa con la sigla che la contraddistingue KV5 (King Valley 5).
Questa numerazione fu introdotta da John Gardner Wilkinson che, tra il 1824 ed il 1830, dopo la decifrazione della scrittura geroglifica, lavorò nella valle ed attribuì alle varie tombe una numerazione, ancora oggi utilizzata, in ordine progressivo di scoperta e associò le varie tombe ai relativi proprietari decifrandone i nomi.
Negli anni successivi la valle fu visitata da numerosi studiosi, tra cui lo stesso Jean Fraçois Champollion decifratore della scrittura geroglifica, artisti e viaggiatori; la fama della valle nacque in quegli anni anche se non avvennero nuove scoperte fino al 1898 quando furono rintracciate le tombe di Thutmosis III e di Amenhotep II a opera di Victor Loret.
Da questo momento la fama della Valle dei Re quale deposito di ricchezze fu consacrata e numerose spedizioni pseudoscentifiche furono intraprese negli anni a venire, portando alla luce diverse tombe che, tranne la tomba di Yuya e Tuya (KV46), erano già state saccheggiate e depredate.
Nel 1922 Howard Carter fece la scoperta più famosa della Valle dei Re, ossia la tomba del faraone fanciullo Tutankhamon (KV62), ritrovamento che fece esplodere nel mondo intero l’egittomania.
Questo fu l’ultimo grande ritrovamento e solo pochissimi faraoni mancano all’appello se si confrontano le liste reali conosciute con le tombe della valle.
L’ultima scoperta, infatti, è in realtà una “riscoperta” e riguarda la già citata tomba KV5 che ha portato al ritrovamento, nello stesso ipogeo, di un centinaio di camere sepolcrali destinate, sembra, ai figli di Ramses II.
Si presume, di conseguenza, che i futuri sviluppi della ricerca nella Valle dei Re riguarderanno situazioni analoghe che, però, potrebbero realizzarsi solamente con finanziamenti adeguati e indirizzati al restauro e al successivo recupero delle tombe che ora, in gran parte e giustamente, sono chiuse al pubblico sia per motivi conservativi sia per motivi di sicurezza dei turisti stessi. [SM=x822723]

(continua)
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LA COSTRUZIONE DI UNA TOMBA REALE [SM=x822744] [SM=x822726]

Fin dall’incoronazione il primo pensiero di un faraone era quello di garantirsi l’immortalità e per far questo aveva necessità di una tomba, luogo ove avveniva la sua trasformazione e rigenerazione.
Gli architetti e il faraone stesso, già nel primo anno di regno, studiavano il progetto, sceglievano il luogo, le decorazioni e i testi sacri che avrebbero adornato la tomba e permesso la resurrezione del faraone/dio.
Si passava, subito dopo l’approvazione del faraone, alla fase esecutiva e quindi gli operai e gli artisti del villaggio di Ta Set Maat, organizzati in un’equipe divisa in due squadre, quella “di destra” e quella “di sinistra”, iniziavano lo scavo nel luogo prescelto.
La giornata lavorativa era di circa otto ore, presumibilmente suddivisa in due metà per sfruttare il periodo meno caldo; ogni turno durava circa 9/10 giorni ai quali ne seguivano alcuni di riposo.
Durante le festività i lavori erano sospesi e gli operai potevano usufruire di permessi personali o familiari.
Ogni squadra comprendeva cavatori, stuccatori, disegnatori, ogni genere di artigiani e operai necessari per il perfetto funzionamento e sincronismo dei lavori; era composta da un minimo di 30/40 uomini fino ad un massimo (anche in funzione delle dimensioni della tomba) di 120 persone.
I primi ad iniziare i lavori erano i cavatori seguiti dagli stuccatori che provvedevano a lisciare le pareti con uno strato di “Muna”, un tipo di stucco ottenuto da un impasto di argilla e calcare, al quale era sovrapposto un intonaco più fine.
Poi entravano in opera i decoratori che quadrettavano la parete e provvedevano a disegnare in rosso, le figure e i testi previsti; i decoratori erano sottoposti alla verifica degli scribi detti “correttori”, i quali provvedevano alle eventuali modifiche utilizzando un apposito carboncino nero.
Infine il lavoro passava nelle mani degli scultori che trasformavano i disegni in bassorilievi che, in seguito, i pittori avrebbero colorato utilizzando colori che ancor oggi, in molti casi, possono essere ammirati.
I testi sacri, incisi e dipinti sulle pareti delle tombe reali, riportano, generalmente, alcuni capitoli del “Libro dei Morti” che sarebbe più corretto chiamare con il suo nome ossia “Libro dell’Uscita del Giorno”.
Esso consiste, nella versione completa, di più di cento capitoli di varia lunghezza gran parte dei quali deriva dalle iscrizioni delle piramidi della V dinastia dette “Testi delle Piramidi”.
Nelle illustrazioni delle tombe reali sono utilizzati solamente alcuni capitoli del “Libro dei Morti”, in particolare la così detta “confessione negativa” in cui il defunto dichiara di non aver fatto determinate cose.
Tutte le iscrizioni riguardano la trasformazione dell’anima nella regione della Duat e riportano formule magiche che permettono al defunto di superare tutti gli ostacoli per uscire al giorno ossia resuscitare a nuova vita.

(continua)
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LA TOMBA DI THUTMOSIS III (1478 – 1425 a.c.) [SM=x822726]

Le tombe della Valle dei Re non sono, come si potrebbe erroneamente credere, di uguale struttura ma si differenziano in almeno due gruppi, quello della XVIII dinastia (1552-1295 a.c.) che ha come tratto caratterizzante il fatto che la tomba, arrivata all’anticamera, o vestibolo, piega di circa 90° per poi finire nella camera sepolcrale fornita di più o meno annessi, e quelle della XIX e XX dinastia (1295-1069 a.c.), dette “Siringhe “, in quanto scendono in linea retta verso la camera sepolcrale pur mantenendo, lungo il percorso, l’apertura di annessi.
All’interno di questi due gruppi ogni tomba mantiene le sue prerogative che la rendono unica.
La tomba di Thutmosis III è situata in fondo alla valle in una piega della roccia e per raggiungere il suo ingresso, posto a circa 30 metri di altezza, si utilizza una scala di metallo al termine della quale ci si trova su di uno strettissimo terrazzino naturale da dove una stretta e breve scala scende fino al primo corridoio.
Percorrendo una seconda scala, in fondo al primo corridoio, si arriva in un secondo corridoio al termine del quale è posto il pozzo rituale di forma quadrangolare.
Questi pozzi, presenti anche nelle tombe delle dinastie seguenti, hanno una funzione non ancora del tutto chiarita e alquanto dibattuta; è molto probabile che avessero sia una funzione rituale, cioè raffigurassero la caverna del dio Sokai, antica divinità protettrice del faraone, sia la funzionalità pratica di proteggere la camera funeraria dalle eventuali profanazioni o da allagamenti che si fossero resi possibili in seguito a piogge torrenziali, tutt’altro che improbabili nella zona.
Oltrepassato il pozzo si entra nel vestibolo, sorretto da due colonne, ove, ruotando di 90°, ci si ritrova di fronte a una scalinata che immette nella camera sepolcrale che ha forma di cartiglio con due colonne e nella quale si aprono le porte di quattro annessi.
Le pareti della camera sepolcrale sono illustrate con la versione completa del “Libro dell’Amduat”, chiamato dagli antichi egizi “Libro della Camera Nascosta”; è una raccolta di testi magici e religiosi e si tratta del testo più antico trascritto sulle pareti delle tombe della Valle dei Re ; sulle colonne sono trascritti alcuni passi tratti dalle “Litanie di Ra”:
La camera funeraria contiene uno stupendo sarcofago di quarzite rossa finemente inciso e riportante un’immagine della dea Nut; al momento della scoperta della tomba (1898) il coperchio fu ritrovato a terra spezzato, mentre la mummia era già stata rintracciata in precedenza (1881) nel nascondiglio di Deir el Bahari.

(continua)
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LA TOMBA DI HOREMHEB (1323 – 1295 a.c.) [SM=x822726]

Horemheb, scriba reale, generale delle armate e insignito del titolo di ERPA (Principe) fu, divenuto faraone, un grande ristrutturatore dell’amministrazione pubblica nonché dei quadri militari oltre che un restauratore del culto di Amon e, in epoca ramesside fu inserito nelle liste reali subito dopo Amenhotep III (da questa lista vennero omessi Akhenaton, Smenkhara, Tutankhamon e Ay).
Fu un innovativo costruttore e lo si vede anche dalla sua imponente tomba che ci introduce già in quella che sarà l’architettura delle sepolture delle dinastie seguenti.
Questa tomba ha, infatti, rispetto quelle della XVIII dinastia (1552-1295 a.c.), due importanti novità stilistiche ed architettoniche; la prima riguarda la scomparsa dell’angolo retto tra il vestibolo e la camera sepolcrale, la seconda è l’introduzione della tecnica del bassorilievo in sostituzione delle semplici pitture parietali in uso sino allora.
Dall’ingresso si scende una prima scala che immette nel primo corridoio seguito da una seconda scala e un secondo corridoio che giunge sino al pozzo rituale.
Superato il pozzo, si accede a una sala con due pilastri da dove, imboccata un’ulteriore scala, si scende nel terzo corridoio alla fine del quale una quarta scala giunge nel vestibolo; da lì si accede alla grande camera sepolcrale a sei colonne con quattro annessi laterali e uno di fondo.
Il sarcofago di quarzite rossa, stilisticamente simile a quello dei suoi predecessori, che oggi si trova ancora in loco, fu trovato con il coperchio spezzato e all’interno resti umani di individui diversi ; non è stato quindi possibile identificare i resti del faraone.

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LA TOMBA DI RAMSES III (1186 – 1154 a.c.) [SM=x822726]

L’ubicazione della tomba di Ramses III era conosciuta fin dall’antichità e fu esplorata, per la prima volta in epoca moderna, nel 1768 da James Bruce che la battezzò “La Tomba degli Arpisti” per uno splendido bassorilievo raffigurante due arpisti ciechi; questo nome è talvolta utilizzato ancora oggi.
D’imponenti dimensioni, la tomba ha la pianta tipica delle tombe reali della XX dinastia (1188-1069 a.c.) seppure con alcune particolarità sia nella distribuzione degli ambienti, in particolare degli annessi, sia nelle pitture parietali, che hanno conservato i loro colori.
Una scala conduce all’ingresso e a un primo corridoio con due annessi, uno per lato, che si conclude con una porta che immette direttamente in un secondo corridoio illustrato con brani tratti dalle “Litanie di Ra” e nel quale si aprono otto piccoli annessi, quattro per lato, decorati con soggetti insoliti quali la processione degli dei protettori dell’Egitto, il mobilio funerario, le armi del re, le offerte al dio Hapi quale personificazione del Nilo portatore d abbondanza.
Queste raffigurazioni intendevano garantire, magicamente, la presenza di questi oggetti, mettendo il defunto al riparo da spoliazioni a quel tempo frequenti.
Il corridoio seguente esegue una brusca deviazione verso sinistra rispetto all’asse della tomba, al fine di evitare la tomba di Amenemesse (faraone della XIX dinastia che regnò dal 1202 al 1199 a.c.).
Il corridoio, decorato con testi del “Libro dell’Amduat” ed alcuni brani del “Libro delle Porte”, conduce al pozzo rituale e quindi a una sala a quattro colonne con raffigurazioni delle razze umane conosciute e scene d’offerta a Ra-Harakhti, Khepri e Atum.
Nell’annesso di questa sala è raffigurato Ramses III che tende la piuma di Maat a Osiride, quale simbolo di mantenimento dell’ordine e della giustizia durante il suo regno.
La parte visitabile di questa tomba finisce qui ma un corridoio discendente porta dalla sala a quattro pilastri al vestibolo e quindi in una camera funeraria a otto pilastri e fornita di vari annessi, ove si trovava il sarcofago di quarzite rossa che venne venduto al re di Francia e attualmente si trova al museo del Louvre, il cui coperchio, recuperato da Belzoni, si trova oggi in Inghilterra presso il Fitzwilliam Museum di Cambrige, mentre la mummia di Ramses III, ritrovata nella cachette di Deir el Bahari, è al museo del Cairo.



Spero di aver esposto in modo chiaro, seppur conciso, gli argomenti trattati e rimango a disposizione per rispondere a domande inerenti l’argomento.

Ciao, BATA.
[SM=x822715]


(Fine)
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08/11/2006 00:04
 
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.Bata. Carissimo,

mi sono permessa di intervenire sul tuo topic, spezzandolo, al fine di renderne più agevole la lettura.


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Cara Kiya, hai fatto benissimo.

Eventualmente fammi sapere come spezzettare e provvederò personalmente.

Ciao, BATA. [SM=x822715]
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paragrafo per paragrafo, come ho fatto io, va benone [SM=x822713]
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Dedico EgiTToPhiLìa a colui che ha saputo insegnarmi che cos'è l'umiltà, senza parole, ma coi gesti e con l'esempio quotidiano.
Un'altra delle ragioni per cui l'ho amato, e lo amo, più di chiunque altro. Oggi ch'egli vive ancora, e per sempre, dentro il mio cuore, dedico EgiTToPhiLìa a...
... mio padre.

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