00 06/02/2012 18:54
Toby Wilkinson, nel suo libro "La Genesi dei Faraoni", spiega abbastanza approfonditamente per quali motivi, nonostante le apparenze, la civiltà faraonica, già dai suoi inizi sia di tipo patriarcale.
Analizzando i petroglifi, le raffigurazioni dipinte, le decorazioni della ceramica, i modellini trovati nelle tombe e tutto quanto possa raccontare qualcosa sugli antenati degli egizi, giunge alla conclusione che si trattasse di popolazioni seminomadi, principalmente dediti all'allevamento, attività connessa con ordinamenti di tipo patriarcale.
Mentre le tradizioni matriarcali di solito sono ritrovate presso popolazioni dedite all'agricoltura.
Forse questa è una visione un po' semplificatoria rispetto alla complessa storia della nascita dello stato egizio, con tutte le sue componenti eterogenee e le sue particolarità accumulate da millenni di frequentazioni africane.
Da qualche parte arrivò anche una componente (o più?) con tradizioni matriarcali perché ve ne sono tracce che emergono ogni tanto durante tutta la storia dinastica.
Ad esempio l'usanza di legittimare l'ascesa al trono di un sovrano attraverso le nozze con la sorella, è proprio tipica delle società matriarcali: in realtà il capo è sempre un uomo, ma non nasce con diritto di successione, egli lo acquisisce solo dopo il matrimonio con la prima figlia femmina del capo precedente (cioé di sua moglie).
Nelle forme più antiche non c'è nemmeno bisogno di matrimonio, il capo è il fratello della primogenita depositaria del lignaggio.
E' da notare come la matriarcalità di queste società non riesca comunque a renderle "femministe" o meglio "genocrate", ma rimangano sostanzialmente "maschiliste" e "androcrate".
Tutto ciò può sembrare "politica" e non "religione".
Ma tutti noi sappiamo quanto esse siano drammaticamente compenetrate, al punto di non poter distinguere, nemmeno ai giorni nostri, dove finisca l'una e cominci l'altra.