Le popolazioni mesopotamiche avrebbero costruito delle navi con cui discendere il corso dei fiumi Tigri e/o Eufrate, giungendo nel Golfo Persico per circumnavigare la Penisola Arabica, quindi approdare sulla costa africana del Mar Rosso.
Da lì, tirando in secca le navi, le avrebbero trascinate lungo le uadi verso ovest, fino alla Valle del Nilo, senza trovare resistenza alcuna da parte degli indigeni, mentre avrebbero dovuto affrontare delle battaglie con gli abitanti per la conquista delle città più grandi, come Nubt (Naqada) e Nekhen (Hierakonpolis).
Negli ultimi decenni del secolo scorso, a fronte di numerose nuove spedizioni di approfondimento, di campagne di scavo, di maggiore conoscenza della storia egizia, anche di quella più antica, alcuni studiosi cominciarono a sollevare critiche alla teoria della “new race”, trovando nelle stesse popolazioni africane preesistenti, energia sufficiente per determinare l’avvento di uno stato unico, grande, forte e destinato alla leggenda come quello egizio faraonico.
L’esito di questi studi ha raggiunto il pubblico dei non-tecnici grazie al libro di Toby Wilkinson, “La genesi dei Faraoni”, in cui viene esposta un’interpretazione magico-religosa delle scene con le barche incise sulle pareti rocciose del Deserto Orientale, ben adattabile anche a quelli di area sahariana, tesi che terrebbe conto anche dell’evoluzione posteriore del motivo delle barche nell’arte e nella religione egizia.
Secondo Wilkinson le navi ritratte sulle rocce furono realizzate in tempi molto antichi, dalla fine del periodo Naqada I a tutto il Nqada II, come risulterebbe da confronti tipologici, stilistici e tecnici condotti sulle raffigurazioni analoghe ritrovate in abbondanti esempi di ceramica, altrimenti datata con metodi più sicuri, ad esempio stratigrafici, chimici o fisici.
Le navi mesopotamiche che dovrebbero esserne state i modelli però, iniziarono ad essere costruite almeno 500 anni più tardi, quindi se la teoria dell’invasione da est nasce dalla similitudine nella forma delle barche, dovremmo pensare semmai il contrario, cioè che siano stati gli egizi a colonizzare la Mesopotamia.
Purtroppo non possediamo prove definitive a favore dell’una o dell’altra teoria, infatti ci sono molti reperti a testimonianza del notevole influsso culturale, figurativo e tecnico dell’Oriente sull’Egitto, e altri studiosi che preferiscono giustificare certe singolarità con l’arrivo di una “new race”; ad esempio David Rohl nel 2002 ancora si schiera con Winkler ed Emery, sostenendo di aver trovato nei racconti epici sumeri, cronache di viaggi di conquista attraverso i mari e le montagne.
Per Wilkinson comunque, l’arte egizia, dal suo nascere fino alla fine, non tende alla raffigurazione fotografica di cose viste, né alla rappresentazione didascalica di racconti, ma è strumento magico, esattamente come la scrittura, per concretizzare idee metafisiche molto difficili da comunicare in altri modi: la magia, la morte, l’anima, il sacro, il mistero…