-Kiya-, 20/10/2009 23.56:Curiosità: Il gruppo statuario riprodotto sulla copertina, rappresenta Tutankhamon accanto ad Amon. Il monumento fu commissionato per sottolineare la volontà del Sovrano (o del cosiddetto "Consiglio di Reggenza"...) di ripristinare il vecchio culto Tebano, dopo la parentesi Amarniana. Lo stesso è successivamente stato oggetto di usurpazione da parte di Re Horemheb, che fece sostituire i cartigli di Tutankhamon con quelli contenenti il suo nome. Questo capolavoro dell'arte Egizia (credetemi, dal vivo è bellissimo!) si trova nella Collezione del Museo Egizio di Torino, all'interno dello Statuario (II sala). Al momento è tra i reperti che allestiscono la mostra in Giappone, quindi non si trova in sede. Se mi è permessa un'osservazione, oserei dire che parlare di sostituzione dei cartigli potrebbe non essere del tutto corretto. Gli stessi non sembrano affatto ritoccati, ragion per cui credo sia più corretto ritenere che il monumento sia rimasto incompiuto alla morte di Tut e che Horemheb abbia potuto completarlo, apponendovi i suoi nomi. E' incontestabile, comunque, che i lineamenti della statua del Re riproducano le fattezze del volto di Tutankhamon.
Nell’analizzare una civiltà scomparsa come quella egizia ci troviamo chiaramente di fronte al prodotto di una visione mentale differente dalla nostra, non perché la “mente antica” avesse qualcosa di speciale, ma a causa dei mutamenti culturali successivi di grande peso – l’inclusione dell’Egitto nel mondo ellenistico, la sua conversione al cristianesimo, l’avvento dell’Islam – che hanno, molto tempo addietro, distrutto il pensiero egiziano antico in quanto processo vivo e hanno portato alla perdita della maggior parte della letteratura egiziana; pertanto molto di ciò che veniva immediatamente capito per mezzo di simboli o di associazioni di parole è svanito per sempre. La differenza principale è determinata quindi dalla storia. Le religioni e le filosofie orientali, ad esempio, sono sopravvissute, adattandosi per assumere un proprio posto nel mondo moderno; sono diventate in tal modo accessibili anche agli estranei e dai loro ranghi sono emersi predicatori per insegnare ai profani, così da non sembrarci bizzarre perché possiamo, come si faceva già nell’antichità, percorrere in ogni senso i loro processi di pensiero senza renderci troppo conto della loro stranezza, poiché il loro linguaggio e le loro immagini sono ormai parte del sistema mediante il quale noi occidentali classifichiamo la realtà. Barry J. Kemp si propone innanzitutto di esaminare la civiltà egiziana tracciandone una storia di idee e di comportamenti poiché l’archeologo non deve mai dimenticare, anche se le fonti di cui dispone, ossia i resti materiali delle antiche società, gli dicono ben poco di esplicito sull’argomento, che la storia dell’umanità non è che la somma di individuali strategie di sopravvivenza istintive, a volte contrarie alla nostra razionalità, alle quali ancora oggi ci affidiamo nel nostro quotidiano; gli antichi egiziani offrono diversi esempi a questo proposito: essi non conoscevano l’economia come scienza astratta, eppure si comportavano intuitivamente da “uomo economico”; lo stesso facevano nel campo politico. Kemp si propone anche di sondare la natura dell’antico stato egiziano con la sua ricchezza di strumenti – mito, simbolo, istituzione – che hanno condizionato le menti e diretto la vita del popolo, utilizzando quella cospicua documentazione che l’Egitto fornisce su due visioni importanti e complementari: un’esplicita ideologia della regalità e di una cultura corporativa unificante che ha conferito allo stato la propria identità, e un modello implicito di società ordinata, sostenuta dalla burocrazia.
Hatshepsut76, 23/05/2011 11.01:Man mano sto proseguendo verso la fine del testo...