Diario tragi-comico delle prime due giornate.
Lunedì 20 e martedì 21 marzo 2006
Dopo il solito viaggio di andata che si prolunga per tutta la giornata, finalmente si arriva a Luqsor che è già notte. La prima cosa da fare è far avanzare di un'ora le lancette dell'orologio, che vuol dire dormire un'ora di meno. Ma non importa. Siamo tutti euforici, appena in albergo ceneremo e poi a nanna, pronti per la prima visita del mattino successivo. Ma la cena non è prevista... anche se l'unica cosa immessa nello stomaco è stato lo spuntino sull'aereo quasi 6 ore prima. Per fortuna l'albergo (il migliore di tutto il viaggio) mette in mostra una vetrinetta con alcuni dolcetti che, nella normalità, sarebbero stati ignorati sprezzantemente, ma che nell'occasione vengono accolti come la manna caduta dal cielo per Mosè e soci.
Anche se l'ora è tarda e la truppa stanca, sarebbe delittuoso non fare una passeggiatina sul lungoNilo fino al tempio di Luqsor, a poche centinaia di metri dall'hotel. Detto e fatto. Purtroppo nessuno si era premurato di avvisare le autorità che eravamo in arrivo, così il tempio era oscurato.
Al rientro tutti nelle camere non prima di aver digerito un annuncio terrificante: sveglia alle ore 5 per immergerci nel deserto sud-orientale (Uadi Hammamat) a "leggere" i petroglifi rupestri lasciati dai nostri antenati egiziani fin dal periodo protodinastico per terminare ai giorni nostri.
Al mattino, a colazione, occhi spenti, visi cerei e una domanda inquietante che si aggirava per i tavoli: tu hai dormito? Una sola risposta: NO! Ma non importa: sursum corda, inizia l'avventura. Ed ecco il primo annuncio della giornata che, se accolto dalla maggioranza del gruppo con colpevole indifferenza, lascia la sottoscritta "percossa ed attonita di fronte al nunzio". A mezzogiorno niente sosta per il pranzo, anzi, niente pranzo! Ma scherziamo? Micca siamo venuti in Egitto per mangiare! La soluzione? Intascare con indifferenza, celandosi alla vista dei solerti camerieri, il minimo indispensabile al sostentamento dei nostri corpi, visto che quello dell'anima è già assicurato da padre Alberto da Giussano (l'egittologo). E così vediamo passare sotto il nostro naso piatti contenenti grattacieli di panini, brioches, marmellate e fettine di formaggio. La nostra comitiva, all'occhio volutamente distratto dei camerieri, deve essere apparsa più una congrega di cannibali appena rientrati da un ritiro spirituale che un gruppetto di egittofili alla ricerca del sapere perduto.
Terminata l'abbuffata di stomaci e zainetti, tutti in carrozza. Insomma, proprio una carrozza no, un pullman nemmeno... trattasi di un pullmino a 20 posti... peccato che i passeggeri fossero 22! Infatti: 20 vacanzieri, la silent guida (che più silent non si può) e l'accompagnatore dal nome impronunciabile ma dalla stazza che ci ha ricordato gli antichi ippopotami che mietevano morte e distruzione lungo il Nilo nei tempi antichi. Ma i veri ippopotami stavano in acqua, cioè si lavavano...
Ecco allora riapparire gli strapuntini, che nemmeno nelle gite parrocchiali si usano più. Morale: la mummia di Tutankhamon nel suo sarcofago stava più larga!
Si parte! Ecco allora apparire i nostri angeli custodi che, per tutto il viaggio, ci hanno salvato dagli attacchi terroristici dei fondamentalisti islamici che, col passa parola, stavano proprio aspettando il nostro gruppuscolo per mettere in atto le loro rivendicazioni anti-occidentali. Ovviamente tutto questo era solo nella mente delle alte sfere governative, in quanto la scorta era più un modo per far guadagnare qualche soldino ai militari che per la nostra protezione.
Comunque sia si parte e ci si immerge subito nel deserto pietroso, formato da rocce di basalto scuro, implacabili sotto il sole e con la temperartura che, se a Luqsor era di 35 gradi, in quella landa desolata si aggira sui 50, senza ombra alcuna. Dopo oltre 120 chilometri di sconquassamenti (gli ammortizzatori o erano rotti o mai esistiti), arriviamo finalmente di fronte alle meravigliose rappresentazioni incise sulla pietra dagli egizi. Ma gli antichi, popolo assai furbetto, non le hanno lasciate al piano terra ma, in previsione di posteri curiosi e incivili che le avrebbero sicuramente danneggiate, le hanno graffite nei piani alti, senza preoccuparsi però di installare un ascensore per andarle a leggere. E così, novelli stambecchi, ci siamo arrampicati con mani e piedi su e giù per la montagna nera e assolata.
Dopo di che, tutti in carrozzella e si riparte per andare a visitare la vecchia miniera d'oro degli egizi, documentata dalla prima mappa della storia ed ora conservata al museo egizio di Torino. La mappa, ovviamente, non la miniera.
Dopo un'altra decina di chilometri (e passa), già nell'ora del mezzogiorno, con i raggi del dio Aton che implacabili benedivano il nostro passaggio (almeno le manine protese avrebbero potuto farci un po' di vento...), arriviamo in un recinto dove la cosa che più è saltata all'occhio è stata un'accozzaglia di ferri vecchi e carrelli arrugginiti.
Trattasi della vecchia miniera d'oro, sfruttata negli anni precedenti la rivoluzione nasseriana dagli inglesi, e poi dagli stessi fatta saltare quando, cacciati dalla terra occupata, se ne sono tornati nella perfida Albione.
Ma allora cosa c'era rimasto da vedere della miniera? Semplice: il buco d'ingresso! Peccato che questo si trovasse a centinaia di metri da terra e per raggiungere il quale abbiamo dovuto sorbirci ghiaia tagliente e sole cocente! Al ritorno, per riprenderci dalla faticaccia, pensiamo di apparecchiare la tavola e consumare il pasto del mezzogiorno, ovviamente metaforicamente. In sostanza, aperti i nostri sacchettini, chi aveva preso la brioscina aveva vinto un terno al lotto perché coloro che invece avevano optato per il panino col formaggino...
Tutti in macchina per il ritorno, non prima di esserci fermati ad ammirare un vecchio pozzo romano a bordo strada. Ed all'improvviso ecco comparire dal nulla alcuni personaggi che, con fare arrabbiato, pretendono di farci pagare... il biglietto! D'ora in poi sarà sempre così!
Rientrati in albergo, una mezz'oretta in piscina e poi visita al tempio di Luqsor, splendidamente illuminato nell'ora del tramonto. L'ultima visita è al museo di Luqsor: una magnificenza sia per i reperti che contiene che per l'ambientazione degli stessi.
Peccato per l'arrivo improvviso di alcune centinaia di ragazze egiziane in visita, anche loro, nelle sale museali. Ho detto peccato non perché non sia giusto che anche i locali possano ammirare questi splendori, ma perché ho avuto la sensazione (poi confermata nel prosieguo del viaggio) che a loro poco importasse il contenuto del museo - ed il suo significato - considerati la confusione, il caos, nonchè gli sghignazzamenti davanti ad una mummia reale di queste indelicate ragazze.
Ritornata la pace, l'ultimo mio sguardo è stato per i tre busti del faraone Akhenaten. La sua espressione assorta, mistica, sognante, dolce e sensuale mi ha accompagnata per tutto il resto della serata, addolcendola e mitigando le fatiche sostenute.