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Erodoto descrive esplicitamente la gran ricchezza del re come costituita di monete: ma sappiamo che al tempo della XIX dinastia le monete non esistevano, si tratta quindi di una aggiunta posteriore; più facilmente l’originale avrà trattato di ricchezze generiche, che noi possiamo immaginare paragonabili a quelle rinvenute nelle tombe intatte.

Per questo il re ebbe bisogno di una stanza apposita per stiparle.
Particolare curioso è la struttura del paragone: Rhampsinit sarebbe stato ricco come nessun altro dopo di lui.

Stranamente il re viene paragonato ai suoi successori, come se dovessero essere quelli più interessati ad eguagliarne la ricchezza, oppure ad ereditarla, mantenedola e in più, facendola fruttare; non viene fatta menzione dei re precedenti, come se fosse fatto ovvio che dovessero naturalmente essere più ricchi o più poveri, tanto da non costituire termine di paragone.

Guardando in prospettiva la storia egizia, sembrerebbe proprio che la XIX dinastia segni un punto di non ritorno, dopo il quale i re non furono mai più tanto ricchi e tanto potenti.

Esiste anche un paradosso: se il re Rhampsinit prese la decisione giusta, facendo sposare la figlia al suddito furbo (e nulla ci fa intendere che non fosse suddito egizio), e la fiaba proprio questo vuole portarci a pensare, per quale motivo il suo successore, non riuscì ad eguaglirne la ricchezza, né a superarla?

Con grande soddisfazione per la categoria, devo prendere atto della furbizia dell’architetto, prima di tutti gli altri: è infatti ammirevole come, durante l’esecuzione di un lavoro perfetto, trovi il modo per lasciarsi una via di salvezza, nel caso possa averne avuto bisogno, lui in prima persona oppure i suoi figli.

La sua doveva essere una professione di gran prestigio, ma il sentore che le cose potessero cambiare o precipitare c’era già, allora come ora.

Il bravo tecnico non ebbe bisogno di sfruttare durante la sua vita il segreto di cui era artefice, perché evidentemente continuava a procurarsi da vivere con l’onesto lavoro e il prestigio di cui godeva presso il re, ma alla morte scelse di tramandare il suo sapere ai figli.