Il mio commento:
Tipico saggio di scuola americana.
I testi si leggono bene e sono scritti in un linguaggio facilmente comprensibile, insomma, ci sta anche sotto l’ombrellone.
Proprio come in un vero libro giallo, l’autore si sofferma sulla descrizione dell’ambientazione, sui caratteri dei protagonisti, sulle prove attualmente in nostro possesso per ricostruire un evento delittuoso avvenuto oltre 33 secoli fa.
Innanzi tutto bisogna sottolineare che non esiste alcuna prova del fatto che Tut sia stato vittima di un delitto, anzi, ancora adesso, a distanza di anni dalla scoperta della sua tomba, la causa della morte è ancora oggetto di congetture, non ostante le recenti analisi a cui la mummia è stata sottoposta.
Avvalendosi della consulenza di medici ed esperti in vari settori, Brier analizza le radiografie e le analisi eseguite in tempi diversi sui resti del sovrano e scopre una conformazione anomala nell’ossatura cranica, all’estremità inferiore dell’osso occipitale.
Potrebbe essere dovuta ad un trauma accidentale, ma più facilmente potrebbe essere stata causata deliberatamente.
Tale formazione presenta segni di evoluzione, quindi non avrebbe causato l’immediata morte del re, ma certamente uno stato di prostrazione che può essere a sua volta indicato come causa in secondo grado del decesso.
Quindi l’autore procede all’analisi dei rapporti fra il re e le persone che lo circondavano a corte, alla ricerca del possibile assassino.
La situazione politica al termine dell’esperienza amarniana non è esaminata con la precisione che richiederebbe, per cui non appare molto chiaro quanto potesse essere intricata e quante persone potrebbero aver avuto la possibilità o l’interesse ad eliminare il sovrano.
Anche se non vengono esaminate tutte le possibilità, le deduzioni sono comunque logiche e corrette, così l’autore raggiunge l’ovvia conclusione e rivela il nome dell’assassino, o quanto meno del mandante.
Comunque Brier sa bene che le sue sono solo congetture ed auspica per il futuro la ripresa delle indagini, con nuove analisi approfondite, alla luce del progresso tecnologico in ambito forense, anche se alcune di queste (vedi DNA) sono di tipo distruttivo.
Sono trascorsi quasi 10 anni dalla prima edizione del libro e qualche progresso effettivamente è stato compiuto.
Nel 2005 è stata eseguita una TAC, che non ha comunque accertato la causa del decesso, né tanto meno la sua ipotetica dolosità e/o premeditazione; è stata però esclusa la possibilità del colpo alla nuca in favore di una ferita alla gamba destra, in prossimità del ginocchio, che potrebbe rappresentare la lesione più invalidante subita dal re durante la vita.
Preso atto di tali aggiornamenti molte deduzioni di Brier rimangono tutt’ora valide, assieme alle notizie sulle vicende che seguirono il ritrovamento della tomba KV62, perché bisogna ammetterlo, Brier avrà anche l’aria del cronista di “nera”, ma rimane uno studioso serio e preparato, che per quanto possibile si reca alle fonti delle sue informazioni per verificarle personalmente e toccare con mano gli oggetti di cui tanti parlano senza averli mai visti.
E’ uno dei pochi egittologi al mondo a poter vantare di aver tenuto in mano l’anello di Ay e Amkhesenamon, di aver aperto i sarcofagi delle figlie premature di Tut, di aver ottenuto lastre, cartelle cliniche, e altri referti, fino all’autopsia in originale.