questo pomeriggio tardi, verso il calar del sole, Reneka mi ha portato a visitare il Maometto.
Lo si raggiunge dopo un breve percorso a piedi, subito dopo Borgone, un sentiero in salita che si inoltra su per la montagna.
Lungo il percorso sono evidenti le tracce che richiamano a un passato lontano. Cinte murarie che sorgono per un'altezza di circa 40 cm dal terreno, circondano il complesso roccioso che fa da spalla alla pietra sulla quale si trova l'incisione.
Un piccolo recinto di legno, di recente costruzione, limita i desideri dei curiosi invadenti. Alle nostre spalle si ergeva la costa della montagna, al centro una piccola radura e lì, a poco più di un paio di metri, si trova il masso che custodisce il Maometto.
L'immagine che ha vinto la battaglia col tempo, risulta molto erosa, ma ancora sufficientemente visibile da potervi distinguere il toro, sul cui dorso si erge in piedi una figura maschile. Colui che viene identificato con Giove Dolicheno, divinità venerata dai soldati romani dell'epoca.
A mio parere si tratta di un uomo. Un uomo che rivestì una grande importanza che, per qualche ragione,l venne lì ricordato con quella stele. Un Re forse? Egli, infatti indossa un lungo mantello e porta le braccia al cielo, in posa di venerazione, direi.
Tra le mani non vi c'è più traccia dei serpenti che si suppone stringesse. Quanto meno non sono visibili da quella distanza.
L'iscrizione risulta sovrapposta. Ossia, ciò che vediamo oggi: la figura umana circondata dall'immagine tipica del tempio romano, è l'evidente frutto di iscrizioni apposte in tempi diversi. Prova ne è l'azione dell'erosione, più profonda sulla figura umana, rispetto all'immagine del tempio, di evidente fattura postuma.
Ritengo quindi che i Romani possano essersi "appropriati" successivamente del rilievo che rappresenta l'individuo, già esistente in tempi precedenti alle loro soste in quelle zone.
I segni di cui accennavo all'inizio del topic si rilevano tutt'intorno. Di fronte a sinistra, vi è un altra parete rocciosa, sulla quale si rilevano dei fori perfettamente levigati e di misure irregolari. A colpo d'occhio si direbbero delle nicchie approntate per accogliere delle lampade votive, ma sono poste in basso rispetto al suolo. La caratteristica che salta subito all'occhio è che tale roccia è prevalentemente di colore rossastro, ricordando in questo il granito rosa.
Scendendo verso valle, sulla destra, poco scostato dal sentiero principale in terra battuta, si snoda un breve sentiero secondario, lungo pochi metri, sopraelevato rispetto al terreno circostante e cintato da piccole rocce. Un percorso "costruito" in tempi lontani che conduce in prossimità di un masso, lungo circa 5/6 metri, largo circa 4, anchesso dello stesso colorito del precedente, forse fin più scuro, ma sempre rossastro. Su questo masso, un monolite, sono state lavorate due forme circolari, aventi diametro di circa 2 metri. Qualcuno sostiene che siano due macine, ma nè fori, nè l'erosione tipica dell'uso è presente. Sembrerebbero più che altro bozze di basamenti per gigantesche colonne, orientate in modo strano, almeno così pare (presentano infatti pendenze opposte). O forse addirittura una volta le colonne si erigevano su quel masso che potrebbe essere stato la pavimentazione di una costruzione più complessa (ma questo è solo un parere personale).
Nel luogo si respira una calma quasi sovrannaturale. Questa sera c'era solo il vento a far sentire la sua voce, ma anch'esso pareva quieto, mentre faceva ondeggiare gli alberi che fanno da tetto lungo il cammino. Tutt'intorno solo siepi e vegetazione che lascia credere che altro possa celarsi sotto il fogliame e gli arbusti che fungono quasi da naturale protezione.
Affascinante, tutt'altro che inquietante... lascia dentro chi vi si reca un grande desiderio di sapere cosa quel posto ha significato per gli antichi costruttori. E cosa ancora nasconde...
Anzi, vi dirò... ho in casa un libro dedicato alla storia di Torino. Credo proprio che ora mi ci butterò a capofitto a caccia di spunti...