Mito o rito: cosa nacque prima?

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-Kiya-
00sabato 12 aprile 2008 18:38
quella che può sembrare una domanda semplice, in realtà non trova una risposta altrettanto immediata.
Me ne sono accorta cercando di dare una consequienzialità a questi due elementi, mentre preparavo il materiale per una mia tesina.

Qual'è il vostro parere a riguardo?
Hotepibre
00domenica 13 aprile 2008 00:33
...nacque prima l'uovo o la gallina? Se saprai rispondere a questo, allora avrai anche la riusposta alla tua domanda che, tuttavia, presenta qualche spiraglio in più.

Io credo che il mito sia alla base del rito; il primo, infatti, nasce dalle lunghe veglie attorno al fuoco, quando i vecchi narravano fatti veri, magari, che poi si trasformavano in leggende, in miti... una sorta di DNA delle idee di un popolo... con l'andar dei secoli quei fatti reali ormai trasformati in miti, tramandati oralmente, si adattavano costantemente, venivano rimaneggiati, corretti, diventavano così evanescenti che acquistavano connotazioni che andavano oltre il mondo terreno collocandosi in quello religioso e, di qui, la nascita del rito, ovvero la ripetizione simbolica del mito.

D'altro canto, la nostra messa non è forse la trasposizione rituale di una vera cena, ovvero di un mito tramandato di geenrazione in generazione?
roberta.maat
00domenica 13 aprile 2008 10:23
Buongiorno ! Hotep ha esposto un'idea che è sicuramente condivisibile, però potremmo anche leggerla al rovescio, mi spiego :
I vecchi, i saggi, i giusti si riuniscono intorno al focolare e discutono raccontano e fanno programmi, da questi "cenacoli" scaturisce il pensiero e l'azione che significa la vita della comunità. In questo rituale si costruiscono involontariamente i miti.
-Kiya-
00domenica 13 aprile 2008 15:01
anche io sono propensa a ritenere che il rito precedette il mito e che quest'ultimo nacque proprio per rafforzare il primo.

Per chiarire, è necessario operare una scissione, considerando dapprima il rito come indipendente dal mito (epoca primitiva, riti funebri e riti del fuoco, della pioggia, della caccia etc... - tutto quanto insomma rappresentava un momento di aggregazione ) e la successiva evoluzione che riti e miti ebbero, grazie al potere della parola. Da quel momento in poi in effetti è difficile stabilire quale dei due rafforzava l'altro.

Inoltre non possiamo sottovalutare il fatto che sono esistiti (ed esistono tuttora) riti senza mito e miti senza rito aggregato.
Hotepibre
00domenica 13 aprile 2008 21:16
Re:
roberta.maat, 13/04/2008 10.23:


...
I vecchi, i saggi, i giusti si riuniscono intorno al focolare e discutono raccontano e fanno programmi, da questi "cenacoli" scaturisce il pensiero e l'azione che significa la vita della comunità. In questo rituale si costruiscono involontariamente i miti.



...la costruzione di un mito non può, secondo me, nascere da una discussione e men che meno dal far programmi.

Il mito deve nascere dal racconto quasi "bovinamente" subìto, a bocca aperta attorno a quel fuoco, là dove il racconto del saggio, del vecchio, ha un duplice scopo: narrare per distrarre nelle lunghe sere senza televisione ( [SM=x822711] ), e costituire esempio per i più giovani da cui trarre insegnamenti morali, ma anche pratici ("... il tal Eroe fece così per uccidere il nemico...").

Una discussione da cui scaturisca "il pensiero e l'azione" è già di per se l'opposto del mito, è qualcosa che si costruisce, che verrà domani ed il cui risultato, quindi, è tutt'altro che scontato.

Quell'azione preparata, però, proprio il giorno dopo, quando si sarà conclusa positivamente, diverrà uno dei tanti racconti da narrare attorno al fuoco e, quindi, origine per un altro mito!

E' chiaro che il mito, a sua volta sarà soggetto a passaggi successivi che, anche perchè tramandato oralmente, varieranno di volta in volta a seconda del narratore.
Quando poi si arriverà alla trasposizione scritta di quel "mito", probabilemte la scelta cadrà sul racconto più bello o, magari, semplicemente sull'unico che lo "scrittore" conosce.

...dal mito "mitizzato", ovvero velato dalla poesia del racconto ripetuto, al rito ufficializzato, destinato solo ai miti più "poetici", o "tragici", o comunque coivolgenti non in senso assoluto, ma relativo a quella specifica tribù, o popolo, o addirittura nazione, direi che il passo è breve.


-Kiya-
00domenica 13 aprile 2008 21:52
Forse ho inserito la questione in modo troppo superficiale, dando modo di interpretare in modo diverso da quanto intendevo.
L'aver accostato il rito al mito, chiedendo quale fosse nato per primo, non intendeva limitare il riferimento all'esclusivo rito religioso, ma intendeva riferirsi al rito in senso ampio, inteso, appunto, come aggregazione.
In tal senso vanno contemplati i riti più svariati, compresi quelli definibili "civili", come ad esempio quelli della caccia o anche "militari" (usando tale termine forse in modo anacronistico, me ne rendo conto)
roberta.maat
00domenica 13 aprile 2008 22:28
Il mio pensiero non è stato sufficientemente espresso......riprovo specificando che il rito è padre del mito secondo me.

Ho scritto del rito dell'aggregazione intorno al fuoco perchè suggerito da Hotep ma di azioni ripetitive, da qui la ritualità, ne esistevano molte. Prima fra tutte la caccia poi la cura dei defunti e ancora tutte le situazioni in cui si riscontra la tendenza ad avicinare un uomo con l'altro per la comune esigenza.


...la costruzione di un mito non può, secondo me, nascere da una discussione e men che meno dal far programmi.

Il mito deve nascere dal racconto quasi "bovinamente" subìto,



Dalle aggregazioni (magari intorno al fuoco dato il fascino evocato dall'immagine) dove necessariamente spunta un saggio,un anziano un leader si crea il racconto si "mitizza" un evento,lo si carica di significati e si cercano spiegazioni all'inspiegabile.

Il "rito" assume sempre più valore perchè nell'immaginario esso contiene il mito.
Nel tempo poi Riti e Miti perdono i confini di identificazione perchè l'uno è complementare all'altro.
-Kiya-
00lunedì 14 aprile 2008 20:12
nessun altro desidera intervenire sull'argomento?
Hotepibre
00martedì 15 aprile 2008 11:12
Re:
-Kiya-, 13/04/2008 21.52:

Forse ho inserito la questione in modo troppo superficiale, dando modo di interpretare in modo diverso da quanto intendevo.
L'aver accostato il rito al mito, chiedendo quale fosse nato per primo, non intendeva limitare il riferimento all'esclusivo rito religioso, ma intendeva riferirsi al rito in senso ampio, inteso, appunto, come aggregazione.
In tal senso vanno contemplati i riti più svariati, compresi quelli definibili "civili", come ad esempio quelli della caccia o anche "militari" (usando tale termine forse in modo anacronistico, me ne rendo conto)



...no, direi che la tua questione era ben posta, ed infatti,se verifichi, le risposte da me fornite esulano dall'equazione "mito=rito religioso". [SM=x822713]

Il ricorso all'immagine del racconto attorno al fuoco voleva proprio evocare quel che era la realtà ancestrale delle società (sia pur tribali) in cui i miti nascevano.

Attorno a quel fuoco non si parlava di divinità, non ancora, si narravano storie di caccia, di guerra, o anche semplicemente avvenimenti degni di essere tramandati... magari anche la contesa tra due fratelli per il potere su una tribù, o la rivalità tra due amanti per una stessa donna.

Cosa potesse trasformare un mito in un rito, è difficile dire così come è impossibile dire quali e quanti miti si siano persi nei millenni; io credo derivasse principalmente dalla bravura del narratore e dalla sua capacità di tramandare il racconto.
In questo contesto si inquadrano, ad esempio, le durissime prove di iniziazione cui venivano sottoposti, ad esempio gli aspiranti sciamani, che -rappresentando la saggezza e la magia- erano poi anche i primi narratori... gli adepti (che rischiavano la vita spesso per dimostrare di essere i prescelti), quando ancora la scrittura non esiteva, dovevano avere MEMORIA, saper ricordare, saper ripetere all'infinito e "ad occhi chiusi" i gesti, o i racconti, del maestro poichè da essi derivava il benessere del popolo (sia magico che morale, magari con le semplici narrazioni).

Saper ripetere i gesti alla perfezione, ovvero la ritualizzazione dei gesti, era necessario poichè non si sapeva quanto la loro esatta esecuzione influisse sul risultato finale: il modo di lanciare le ossa per le predizioni, o la esatta sequenza dei prodotti che venivano usati per una mistura curativa, o le giuste parole di una misteriosa formula, o la verifica del momento propizio del giorno, o dell'anno... o seguire un "messale" per ripetere all'infinito il rituale di una "cena" avvenuta millenni prima!

Ma era importante anche il racconto, che ripetuto all'infinito diventava "mito" anche se, magari, arricchito di volta in volta di particolari che potevano, prima o poi (ma non necesariamente) farlo evolvere nella sfera del misticismo... se nella contesa tra i due fratelli per il potere su una tribù, l'uno arrivava ad uccidere l'altro (e di esempi ne abbiamo a iosa: Caino e Abele, Romolo e Remo o, se preferite, Osiride e Seth...), questo poteva essere interpretato "semplicemente" come un "omicidio" (è il caso dei primi due esempi) o trasposto nel mondo magico-religioso perchè consdierato, magari, epocale per quella specifica tribù (e potrebbe essere il caso dei "nostri" Dei Osiride e Seth).
roberta.maat
00martedì 15 aprile 2008 12:31

Ma era importante anche il racconto, che ripetuto all'infinito diventava "mito" anche se, magari, arricchito di volta in volta di particolari che potevano, prima o poi (ma non necesariamente) farlo evolvere nella sfera del misticismo... se nella contesa tra i due fratelli per il potere su una tribù, l'uno arrivava ad uccidere l'altro (e di esempi ne abbiamo a iosa: Caino e Abele, Romolo e Remo o, se preferite, Osiride e Seth...), questo poteva essere interpretato "semplicemente" come un "omicidio" (è il caso dei primi due esempi) o trasposto nel mondo magico-religioso perchè consdierato, magari, epocale per quella specifica tribù (e potrebbe essere il caso dei "nostri" Dei Osiride e Seth).



Non mi sembra chei due primi esempi siano "semplicemente un omicidio" infatti per Caino nasce un vero e proprio mito . Il Dio dice che chi farà del male a Caino sarà punito 7 volte- un episodio che ha tutte le caratteristiche per esprimere simbologicamente un pensiero.
Romolo fu rapito in cielo e divinizzato......questo ci è stato tramandato almeno.

E' molto probabile che io non abbia compreso quanto Hotep sostiene perchè nonostante abbia letto più volte le sue parole non trovo una sicura distinzione con quello che ho scritto io.
Se Hotep ha voglia e un pò di tempo potrebbe rispiegarmi perchè l'argomento mi ha catturata.
Hotepibre
00martedì 15 aprile 2008 14:45
Re:
roberta.maat, 15/04/2008 12.31:


Ma era importante anche il racconto, che ripetuto all'infinito diventava "mito" anche se, magari, arricchito di volta in volta di particolari che potevano, prima o poi (ma non necesariamente) farlo evolvere nella sfera del misticismo....



Non mi sembra che i due primi esempi siano "semplicemente un omicidio" infatti per Caino nasce un vero e proprio mito. Il Dio dice che chi farà del male a Caino sarà punito 7 volte- un episodio che ha tutte le caratteristiche per esprimere simbologicamente un pensiero.
Romolo fu rapito in cielo e divinizzato......questo ci è stato tramandato almeno.

E' molto probabile che io non abbia compreso quanto Hotep sostiene perchè nonostante abbia letto più volte le sue parole non trovo una sicura distinzione con quello che ho scritto io.
Se Hotep ha voglia e un pò di tempo potrebbe rispiegarmi perchè l'argomento mi ha catturata.



La parte importante non era tanto quella relativa al fatto in se, ma a quello che ho sopra lasciato di quanto avevo scritto prima.
Il caso di Caino ed Abele, pur trasposto in mito narrato, per di più, in quello che è uno libro "sacro" come la Bibbia, è, di fatto, un mito, ma non è trasceso a livello sacro o rituale. Si è fermato nel mondo degli uomini e poco importa se se ne parli in un libro sacro.
Non è stato mai ritualizzato, si è fermato nel "fatto in se", ovvero in un omicidio, appunto; che poi ci siano state "conseguenze" dettate dal Grande Capo in persona diventa marginale nel discorso che stavo seguendo sul "mito/rito".

Ben diverso il "mito" di Osiride e Seth che dal mondo degli "umani" evolve nel mondo degli "Dei" con una ben precisa ritualizzazione.

A voler proprio cavillare, anche il caso di Romolo e Remo è anomalo visto che ci sarà, anche in quel caso, una "divinizzazione" che, sebbene molto poco nota, evolverà in "riti" di tipo religioso.

Ma non nel caso di Caino e Abele in cui il mito c'è, ma NON c'è la ritualizzazione.
roberta.maat
00martedì 15 aprile 2008 17:00
Credo che sia nato un grosso equivoco e siccome sono puntigliosa e cavillosa vorrei di nuovo prendere parola.
Dunque sembra davvero un cane che si morde la coda.
I primi rituali furono le aggregazioni motivate da molteplici esigenze materiali e immateriali ,fisiche e psichiche.
La ripetitività di questi eventi e l'acquisizione l'apprendimento e la conoscenza che cresceva tra i partecipanti rendeva sempre più "rituale" questo evento. In questi consessi,dove tutto veniva riportato come vissuto in prima persona o per sentito dire, presumibilmente nasceva il mito.
Il mito poi necessita di ulteriori rituali che lo ricordino, lo tengano in vita e lo tramandino.
Non penso rito-mito solo nella accezione religiosa e mi pare che il meccanismo possa essere riconosciuto in vari ambiti.

Chiedo perdono per l'accanimento epistolare ....ma a volte mi prende così e..... poi mi accorgo che non è facile esprimere tutto con la scrittura.
Hotepibre
00martedì 15 aprile 2008 17:14
Re:
roberta.maat, 15/04/2008 17.00:

Credo che sia nato un grosso equivoco e siccome sono puntigliosa e cavillosa vorrei di nuovo prendere parola.
Dunque sembra davvero un cane che si morde la coda.
I primi rituali furono le aggregazioni motivate da molteplici esigenze materiali e immateriali ,fisiche e psichiche.
La ripetitività di questi eventi e l'acquisizione l'apprendimento e la conoscenza che cresceva tra i partecipanti rendeva sempre più "rituale" questo evento. In questi consessi,dove tutto veniva riportato come vissuto in prima persona o per sentito dire, presumibilmente nasceva il mito.
Il mito poi necessita di ulteriori rituali che lo ricordino, lo tengano in vita e lo tramandino.
Non penso rito-mito solo nella accezione religiosa e mi pare che il meccanismo possa essere riconosciuto in vari ambiti.

Chiedo perdono per l'accanimento epistolare ....ma a volte mi prende così e..... poi mi accorgo che non è facile esprimere tutto con la scrittura.



OK, ma non ho capito qui qual'è la domanda (se c'è una domanda) o se è una tua affermazione!


roberta.maat
00martedì 15 aprile 2008 19:03

OK, ma non ho capito qui qual'è la domanda (se c'è una domanda) o se è una tua affermazione!



Non c'era una domanda precisa ma una mia affermazione che derivava dall'aver inteso che siamo su due punti di vista diversi. Rileggendo un pò tutto forse non abbiamo visioni diametralmente opposte !
-Kiya-
00mercoledì 16 aprile 2008 13:50
non pensiate che ho abbandonato perchè priva di interesse, tutt'altro!
come detto in apertura, sto elaborando uno scritto su questo argomento, nel quale esporrò il mio punto di vista.
Sto raccogliendo materiale a conferma di quanto affermerò.

Lo leggerete nella mia sezione monografica appena ultimato ;)
Drago Mavericks
00domenica 4 gennaio 2009 14:43
Sfrutto questo topic per illustrare il sincronismo del binomio “mito” – “rito” presente nella Medea di Euripide.

Poiché Giasone tradisce Medea, sposando Glauce, figlia di Creonte (re di Corinto), la stessa Medea pianifica una vendetta cruenta e meschina, eseguendo il rituale dell’infanticidio.
In tal modo, infatti, lo sposo infedele verrà deprivato del sangue ereditario.

Il comportamento di Medea è singolare, poiché il masochismo (sinonimo di frustrazione interiore) si trasforma in sadismo distruttivo (sinonimo di crudeltà esteriorizzata).
Sotto un profilo esistenziale, dunque, al “mito” di Medea corrisponde il “rito” dell’autodistruzione umana.

E’ interessante notare come nella psicologia aristotelica, la composizione dei fatti sia di capitale importanza, poiché la tragedia greca rappresenta l’imitazione di un’azione.
E l’azione, al tempo stesso, denota il fine ultimo della vita.

Fra “mito” e “rito”, dunque, l’intreccio è interconnesso.
Ma è difficile stabilire quale possa prevalere.
-Kiya-
00domenica 4 gennaio 2009 14:53

Il comportamento di Medea è singolare, poiché il masochismo (sinonimo di frustrazione interiore) si trasforma in sadismo distruttivo (sinonimo di crudeltà esteriorizzata).
Sotto un profilo esistenziale, dunque, al “mito” di Medea corrisponde il “rito” dell’autodistruzione umana.

E’ interessante notare come nella psicologia aristotelica, la composizione dei fatti sia di capitale importanza, poiché la tragedia greca rappresenta l’imitazione di un’azione.
E l’azione, al tempo stesso, denota il fine ultimo della vita.



Mi sfugge il senso di quanto affermi, potresti approfondire questo concetto, che trovo interessante?
In particolare, se il masochismo di Medea diviene sadismo e tramite questo si manifesta, allora non sarebbe corretto sostenere che l'uno (il secondo) è conseguenza dell'altro (il primo)?
La corrispondenza è in realtà un'azione scaturita da un'elaborazione.
Il concetto relativo a "tragedia", intende affermare che attraverso essa l'uomo (in questo caso Aristotele) esprimesse il senso ultimo della vita, ovvero la morte?
Drago Mavericks
00domenica 4 gennaio 2009 17:04
Secondo Aristotele, la qualità non rappresenta il fine della vita, poiché la qualità stessa (nella sua essenza) risulta protesa a demarcare il carattere del personaggio.
Al contrario, nell’esistenza umana, il binomio “felicità – infelicità” è il prodotto derivato dall’azione compiuta la quale, di conseguenza, è il fine unico della vita.
In sintesi, l’essere umano è qualificato per mezzo del carattere (qualità) ma risulta incline al conseguimento dello scopo per mano dell’azione, da cui scaturisce la discrepanza “felicità – infelicità”.
Il personaggio della tragedia greca, dunque, non svolge un’azione scenica con la finalità di riprodurre un carattere.
Al contrario, il carattere viene assunto in base all’azione compiuta.

Detto questo, il carattere rappresenta il personaggio.
L’azione, per converso, rappresenta la situazione.

E’ un argomento forse capriccioso e ingarbugliato, ma che serve a puntualizzare l’intreccio del binomio “mito” – “rito”.

Insomma: se il carattere e l’azione sono strettamente dipendenti, allo stesso modo non potrà esistere “mito” senza “rito” (o viceversa).

Detto questo, la tua prima considerazione è corretta (il sadismo distruttivo deriva dal masochismo).
Per quanto concerne la seconda considerazione, invece, Aristotele non fa riferimento alla morte (come fine ultimo dell’esistenza), bensì all’azione compiuta che alimenta il doppio frutto della pianta della vita: la felicità e l’infelicità.

Kiya, mi segui?

[SM=x822713]
-Kiya-
00domenica 4 gennaio 2009 17:29
ci provo...

vediamo cosa riesco a desumere.

L'essere umano è incline alla felicità. Che è anche il suo fine ultimo. Ma l'effettivo raggiungimento di questa comporta delle azioni da parte del medesimo, le quali, influenzate dall'individuale carattere, non necessariamente lo conducono in quella direzione, ma, anzi, spesso verso quella contraria: l'infelicità (sempre detto io quanto siamo imperfetti....).
La qualità dell'esistenza, pertanto, dipende dal carattere del personaggio. Ovvero il carattere e quindi l'azione intrapresa, sono responsabili dell'esito. Personaggio e situazione...

detto questo, e appurato che secondo il tuo punto di vista, mito e rito sono elementi essenziali (vale per entrambi? non dovremmo invece ritenere il rito complemento del mito, mentre, viceversa, il mito può sussistere anche senza l'altro?), continua a sfuggirmi il nesso tra i due argomenti esposti....
Drago Mavericks
00domenica 4 gennaio 2009 18:00
Sì, è tutto corretto.

Questa, invece, è la mia sintesi: il fuoco, per riscaldare, necessita di essere costantemente alimentato per mezzo della fiamma.
Qualora la fiamma si spegnesse (venendo meno alla sua funzione) anche il fuoco cesserebbe di “esistere”, privando l’uomo di luce e di calore.
Di conseguenza, il “rito” è deputato a coltivare “il mito”, affinché la funzione di costui sia prolifica e produttiva.
L’uomo, infatti, non subisce la dinamica dell’esistenza con passività.
Ma risulta delegato al “protagonismo” nella conduzione della stessa.
-Kiya-
00domenica 4 gennaio 2009 18:16
Re:
Drago Mavericks, 04/01/2009 18.00:

il fuoco, per riscaldare, necessita di essere costantemente alimentato per mezzo della fiamma.



Questa piccola frase racchiude un essenza ben più ampia e certamente non limitata a questo frangente...
Ognuno di noi dovrebbe farne tesoro e tenerla in stretta ed elevata considerazione, in ogni aspetto della propria esistenza. Sarebbe molto più semplice raggiungere lo scopo ultimo in questo modo...



Qualora la fiamma si spegnesse (venendo meno alla sua funzione) anche il fuoco cesserebbe di “esistere”, privando l’uomo di luce e di calore.
Di conseguenza, il “rito” è deputato a coltivare “il mito”, affinché la funzione di costui sia prolifica e produttiva.



Qui torno ad incontrare i miei dubbi originari... dubbi che non ho ancora sciolto. Ho la sensazione che quella da te esposta, possa sì essere una conclusione corretta, ma derivata da un atteggiamento che, all'alba dei tempi, risultava opposto. Diversamente continuerei a non spiegarmi tutti quei riti abbracciati dagli antichi abitanti della terra, quando ancora non era maturata la concezione del soprannaturale.

E da qui potrebbe nascere un altro interessante interrogativo....

quando l'uomo scoprì Dio?

pizia.
00lunedì 5 gennaio 2009 15:16
Ma anche la brace riscalda e la fiamma non c'è più.
La fonte del calore, la brace, in questo caso può essere anche occultata sotto la grigia cenere.

Uffa, perché i greci devono complicare tutto?
Per capire meglio, potremmo avere delle datazioni?
Di aristotele qualcosa sappiamo tutti, e così di Euripide, ma di Medea, che sappiamo?
Si potrebbe avere un'idea del periodo in cui si colloca Medea?
roberta.maat
00lunedì 5 gennaio 2009 16:35
Di Medea so soltanto che era figlia del crudele re della Colchide Eete,
una figura mitologica che si colloca all'epoca di Giasone alla ricerca del vello d'oro. La mitologia greca si organizzò in un "corpus" dal
IX all' VIII secolo A.C. ma non so assolutamente collocare temporalmente
i personaggi mitologigi figli degli dei dell'Olimpo.
Se poi penso che Eete è fratello di Circe e di Pasifae (la mascalzona che all'epoca del liceo faceva sghignazzare i compagni maschi per essersi nascosta in una mucca con lo scopo di.....) credo proprio che di datazioni non potrei dire nulla.
Drago Mavericks
00lunedì 29 giugno 2009 06:33
Non credo abbia senso logico anteporre il rito al mito.

La storia dell'antropologia insegna che l'uomo fu incline alla pratica del rito mediante una ferrea contemplazione dell'opera del creato (cosmo, terra, flora, fauna...).

Ciò significa che il mito precede il rito.

Riporto un esempio alquanto bizzarro, ma interessante.

Sono 3 le componenti psicobiologiche propense a governare il nostro comportamento: il temperamento, il carattere e la personalità.

Il temperamento rappresenta il tessuto organico ereditato.
Il carattere (dal greco caracter = impronta scavata) riassume il marchio della nostra condotta.
La personalità (dal latino persona) implica la maschera teatrale che indossiamo giornalmente.

Le componenti menzionate sono intrinseche, ma seguono un ordine prestabilito.
Infatti sarebbe impossibile indossare la maschera teatrale della personalità, eseguendo formalmente un rito, in assenza di un motore primordiale ad essa precedente (ossia il temperamento).

[SM=x822741]
Diego Baratono.
00lunedì 29 giugno 2009 08:32
E' evidente che l'approfondimento della tematica "rito-mito", è questione molto complessa e ricca di sfumature anche sottilissime. Certo è, che sia il rito sia il mito, complementari senza dubbio, nel senso che possono sussistere in maniera coerente entrambi, indipendentemente uno dall'altro, insieme forniscono però combinazioni il cui risultato è ben superiore alla somma delle singole parti. Da sempre l'uomo si è accorto di questo e da sempre, l'uomo ha cercato mediante queste due "metodologie" di codificare e tramadare "conoscenza" (per tentare di spiegare, governare, indirizzare i potenti fenomeni naturali, esperienze, osservazioni, fallimenti, vittorie e così via), conoscenza utile, per dir così, alla "sopravvivenza" della specie. Questo credo, fondamentalmente: in base alle necessità contingenti, viene impiegato il mito piuttosto che il rito e viceversa od entrambi insieme. La priorità, è solo questione di contesto: per il resto, si tratta delle due facce di una stessa medaglia. Spero di essere stato chiaro, scusate se è il contrario ...
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