Il protogeroglifico del fiore o rosetta

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pizia.
00mercoledì 15 febbraio 2012 12:28
Nel topic su Re Scorpione è emerso dalla discussione il problema legato al protogeroglifico del fiore o rosetta, per non andare troppo OT ho pensato di riprenderla qui, riportando alcuni interventi.
Vi prego di continuare!

-Kiya-, 06/02/2012 22.55:



In realtà, parlare di "stella" non è corretto, poichè non si tratta del segno tipico dell'astro, bensì di un ideogramma che non è compreso nella Lista Gardiner originale. Oggi, sebbene non sia stato ufficalmente classificato, credo lo si identifichi con la sigla M86 (mi tengo una dovuta riserva, poichè denoto una differenza) e viene abitualmente indicato con il termine generico di "rosetta". Alcuni filologi, tuttavia, vi riconoscono un loto sbocciato.
Puoi vedere tu stesso il segno in questione, nel particolare che allego tratto dalla testa di mazza di Re Scorpione, ben diverso da quello abituale adottato per "stella" che presenta le canoniche cinque punte, mentre in questo caso si vedono nettamentamente sette "petali". M86, in realtà, ne presenta otto (la differenza a cui mi riferivo) (?).
In effetti, simbolicamente parlando, il loto si presterebbe molto bene a simbolo della regalità (pensiamo alla scultura lignea della testa di Tut nascente da un loto, per quanto notevolmente più tarda).





-Kiya-, 09/02/2012 20.05:


Passerei quindi ad elencare gli elementi che inducono gli Egittologi ad attribuire il frammento di testa di mazza a Scorpione (II), che sono essenzialmente due:

    1. L'elemento principale che suggerisce la suddetta attribuzione è la presenza di due segni proto-geroglifici alla sinistra dell'individuo rappresentato con la Corona Bianca. Si tratta della cosiddetta "rosetta" (o "rosone"), la testa di un fiore con petali dalle venature ben delineate, e dello scorpione.
    Il significato del primo segno è piuttosto oscuro. A seguito dell'analisi pubblicata da Smith ("The making of Egypt: a review of the influence of Susa and Sumer on Upper Egypt and Lower Nubia in the IV millennium BC") nel 1992, l'assunto è che essa stia ad indicare un "Capo", un individuo in grado di operare controllo sugli animali selvatici, insomma il simbolo della Regalità. Smith ritiene che il motivo del "rosone" provenga da Susa, antica Capitale dell'Elam, circoscritta negli attuali confini dell'Iran, le cui prime tracce storiche risalgono al V millennio a.C. e che sia stato applicato in contesti simili a quelli di provenienza anche in ambito Egizio. Sulla Tavolozza di Narmer, dove il "rosone" compare accanto al Re e al suo portatore di sandali, e sul frammento di mazza di Scorpione, il simbolo appare, tuttavia, in un contesto diverso.
    Contrariamente a quanto si possa pensare, il numero di petali di cui si compone non sembra essere significativo. La si trova infatti su svariati oggetti, quando composta da quattro petali, quando da cinque o sette (come nel caso del manico di coltello di Gebel Tarif), cinque sono anche i petali presenti sul manico di coltello conservato presso il Metropolitan Museum of Fine Arts, sei e sette sul rovescio della Tavolozza di Narmer e addirittura nove su un brucia-incensi, rinvenuto nella Necropoli di Qustul (Nubia), oggi conservato presso l'Oriental Institute di Chicago. Nel caso del frammento della testa di mazza, a cui ci riferiamo, i petali che compongono la rosetta sono sette.


    2. Il secondo elemento, in realtà, è un'assenza, il che potrebbe apparire paradossale.
    La seconda ragione che induce gli Egittologi a ritenere che la testa di mazza sia da attribuire a Re Scorpione (II) è, infatti, la mancanza di un Serekh (che potremmo definire l'antenato del Cartiglio) contenente il nome del Re. In effetti si tratta di una mancanza significativa, poichè potrebbe suggerire una corretta collocazione temporale di questo Sovrano. Collocazione che vedrebbe Scorpione (II) quale predecessore di Re Ka, il cui nome ci è pervenuto inscritto regolarmente in un Serekh, e predecessore di Iry-Hor, il cui nome non compare mai (nei reperti attualmente in nostro possesso) incluso nel Serekh.
    Sulla Paletta di Narmer, accanto al Sovrano rappresentato con la Corona Bianca, il Serekh non compare. Compare il "rosone", che però si trova a sinistra, appena sopra la figura del portatore di sandali. I segni del pesce gatto e dello scalpello, che compongono il nome 'Narmer', si trovano sul lato destro, accanto alla figura del Re. Sul lato opposto, dove il Re è rappresentato con la Corona Rossa, è la stessa cosa, con la differenza che il "rosone" è collocato sempre a sinistra, ma tra il portatore di sandali e lo stesso Sovrano. I segni che compongono il nome 'Narmer' tuttavia coincidono con quelli contenuti nel Serekh presente nella cornice superiore del reperto, su ambo i lati. Lo stesso dicasi per la testa di mazza di Narmer.


La sequenza di Sovrani maggiormente accettata, in riferimento alla Dinastia 0, pertanto, sarebbe la seguente:

Scorpione --> Iry-Hor --> Ka --> Narmer

Wilkinson, tuttavia, propone un ordine diverso, ossia:

Iry-Hor --> Ka --> Scorpione --> Narmer

per via delle similitudini stilistiche che si riscontrano tra il frammento di testa di mazza di Scorpione e i reperti attribuiti a Narmer.


Entrambe le sequenze proposte non sono scevre da problemi.




Concludo con un interrogativo:

la presenza del "rosone" sui reperti qui sopra citati, data la sua variabile collocazione, può dunque effettivamente significare che ci troviamo al cospetto di un Capo?


pizia.
00mercoledì 15 febbraio 2012 12:31
Diego Baratono., 10/02/2012 08.05:

Altra domanda: il simbolo del fiore (si veda a questo proposito anche il cosiddetto "fiore della vita", raffigurazione di grande importanza metonimica, presente nella decorazione di alcuni monumenti) abbinato al simbolo dello scorpione può indicare un evento propiziatorio da svolgersi in un determinato momento temporalmente collocabile?
P.S.: mi rendo conto che si tratta di una domanda più prosaica, però ...



-Kiya-, 10/02/2012 08.10:

Non credo, poichè nel caso della Paletta di Narmer tale riscontro non sussiste.



Diego Baratono., 10/02/2012 08.13:

Buon giorno Kiya, apposta per quello l'ho chiesto, perché penso che non abbia lo stesso valore.



-Kiya-, 10/02/2012 09.24:

Buongiorno a te ;)

Ho altre inforazioni relative alla "rosetta" da condividere con voi appena possibile.



Riccardo Banchi, 10/02/2012 10.37:

Riguardando la Paletta di Narmer, la coda di toro che il re indossa non mi pare molto dissimile da quella di Scorpione... Probabilmente anche lui la indossa, anche se l'abbigliamento è un po' diverso.
La rosetta è simbolo di regalità (almeno questo si dice in lettaeratura). Scorpione un Capo lo è di sicuro; non mi sorprenderei che si possano trovare iscrizioni di Scorpione in un serekh...
Sull'ordine dei sovrani sapevo che Ka era il predecessore di Narmer, ma è tutto da definire.
Alle altre questioni/domande non so che dire.

Ric



-Kiya-, 10/02/2012 12.15:

Non mi riferivo alla coda di toro, quando parlavo di mancanza, bensì alla barba posticcia. Questo attributo lo troviamo su Narmer, ma non su Re Scorpione.
So che la letteratura in genere ritiene la "rosetta" un simbolo di Regalità, ma sussiste anche una corrente contraria, che poggia (presumo) sul fatto che il segno in questione non risulti essere strettamente connesso a quelli che compongono il nome dei Re. Chi è contrario a questa teoria probabilmente ritiene che, qualora così fosse, anche sulla Paletta di Narmer dovremmo trovarla a sormontare il nome del Sovrano, piuttosto che sul lato opposto, dove sembra quasi riferirsi al portatore di sandali.

La domanda con cui ho concluso il mio precedente intervento intendeva, quindi, indagare le vostre posizioni a riguardo

;)



Diego Baratono., 10/02/2012 13.26:

E' piuttosto probabile che il significato del "fiore/rosetta" non sia esclusivamente legato alla regalità in quanto tale, bensì connesso (connettibile) a qualche "capacità" che avrebbe il sovrano/sacerdote in certe circostanze peculiari ed in certi periodi particolari...



Kareni, 10/02/2012 20.33:

Volevo far notare che quella "rosetta" compare anche in un gioco da tavola, forse simile al Senèt, proveniente dal cimitero reale di Ur, III millennio a.C. (reperto più recente quindi)
Magari il motivo floreale potrebbe essere non solo ornamentale, ma indicatore proprio dell'appartenenza al Re della "scacchiera" ...
A mio parere è avvenuta un'adozione di questo simbolo, dalla Mesopotamia all'Egitto, nel Predinastico.

L'immagine:




pizia.
00mercoledì 15 febbraio 2012 12:35
sargon., 11/02/2012 00.39:

La rosetta non potrebbe rappresentare le Pleiadi? Spesso rappresentata su incisioni rupestri preistoriche. (E' anche lo stemma della Subaru)



-Kiya-, 12/02/2012 16.29:




Grazie Kareni, ignoravo l'esistenza di questo bellissimo reperto [SM=g999103]

Generalmente si ritiene che la "rosetta" non entrò a far parte dei segni geroglifici utilizzati per la scrittura. Ma non potrebbe semplicemente rientrare tra quei segni il cui uso si diradò a tal punto da non consentirci di associarvi un suono, ossia un valore fonetico? Se davvero il suo significato fosse da ricondurre alla "Regalità" potrebbe semplicemente essere stato soppiantato dagli altri segni, con pari significato o magari, a seguito di evoluzione, assumere il valore di "emblema" fine a sé stesso. Non notate una certa somiglianza con l'emblema di Seshat?





-Kiya-, 12/02/2012 16.31:




Perchè le Pleiadi, Sargon?

In ogni caso, se così fosse, credo che il numero di petali non risulterebbe variabile.



Diego Baratono., 13/02/2012 08.43:

Buongiorno Kiya, l'affinità è notevole tra la rosetta/fiore e l'emblema della dea Seshat, divinità legata oltre che alla Sapienza, alla scrittura, all'arte dell'architettura essendone la protettrice, ed alla funzione pratica di "tenditrice di corda", indispensabile atto propiziatorio per la fondazione degli edifici, ed alle stelle. L'idea della scrittura religiosa abbinata alla rosetta come "memoria" storica non è male ...



sargon., 13/02/2012 16.55:

Mi riferisco come segno astrale. La "rosa camuna" ad esempio ne ha 4 o 5.



Io ho aggiunto solo che a me ha sempre suggerito una similitudine con quella posta sulla testa di Seshat, però non mi sono mai data una risposta sul perché questo segno sembri scomparire dall'alfabeto geroglifico.
pizia.
00mercoledì 15 febbraio 2012 12:43
Tavoletta di Narmer, verso.
Qui si vede bene come la rosetta sembri ora associata al portatore di sandali, esattamente come se fosse il suo nome, in analogia ai geroglifici posti a destra di Narmer, espressione fonetica del suo nome, persino privati del serekh, e di quelli posti nella stessa posizione rispetto all'altro funzionario.
Ma siamo in un momento di grossi cambiamenti e non possiamo estendere indiscriminatamente le osservazioni relative alla tavoletta di Narmer anche alla testa di mazza di Re Scorpione, se non con estrema cautela.



Riccardo Banchi
00mercoledì 15 febbraio 2012 13:17
Vorrei continuare, ma non ho competenze per aggiungere altro.
Allo stato attuale, per gli egittologi, la rosetta è un simbolo di regalità. E' giusto o sbagliato? Non lo so; lo ritengo probaile.
Aggiungo solo che le rosette raffigurate sul gioco proveniente da Ur sono a mio avviso solo decorazioni, ma è soltanto un mio modesto parere personale.

Ric
Diego Baratono.
00mercoledì 15 febbraio 2012 14:56
Vien da chiedersi: perché, se la rosetta è così importante a livello semioforico, viene nondimeno "abbandonata", o meglio, "soppiantata" nell'alfabeto geroglifico? Qualche cosa non torna ...
-Kiya-
00mercoledì 15 febbraio 2012 15:38
Non dimentichiamo che si sta parlando di proto-geroglifici, il che ci pone in una fase intermedia.
Il passaggio da petroglifo a pittogramma era già stato avviato, quindi ci troviamo in quell'epoca in cui la scrittura cominciava a delinearsi, attraverso un linguaggio fatto di immagini (ideogrammi). Ma non ancora di veri e propri lemmi, come avvenne poi con i geroglifici propriamente detti, che da qui ebbero origine.
Ciò classificherebbe la nostra "rosetta" come un'immagine (un'ideogramma appunto), riferita all'Autorità, non necessariamente dotata di lettura, il che spiegherebbe perchè non la si trova strettamente associata al nome del Capo (no scrittura, no regole - per intenderci), ma collocata, in posizione variabile, nella rappresentazione che lo riguarda. Indipendentemente da dove fosse collocata, comunque, rendeva con chiarezza il concetto, ossia la posizione, l'autorità, di colui a cui l'azione rappresentata faceva riferimento.
L'evoluzione a cui la scrittura fu soggetta probabilmente individuò nuovi concetti, più strettamente correlati, con cui successivamente esprimere il più elevato concetto di Regalità.
Kareni
00mercoledì 15 febbraio 2012 15:55
Anche io non escludo affatto un collegamento fra il fiore/rosetta e l'emblema di Seshat...
Nella paletta di Narmer, poi, mi domandavo se il piccolo segno sotto il nostro "protogeroglifico" sia stato classificato, non sono stato infatti in grado di ricondurlo ad alcun segno noto, e se potesse essere connesso al portatore di sandali, a cui, il gruppo dei due segni, pare essere riferito...
-Kiya-
00mercoledì 15 febbraio 2012 16:02
Di preciso, a quale segno ti riferisci Kareni?
Kareni
00mercoledì 15 febbraio 2012 16:12
-Kiya-, 15/02/2012 16.02:

Di preciso, a quale segno ti riferisci Kareni?



Quel piccolo segno con un "rigonfiamento" sulla "punta" appena sotto la rosetta (nell'altro verso della paletta un po' spostato sulla sinistra).
-Kiya-
00mercoledì 15 febbraio 2012 16:33
Ok, se ho inteso bene, dovrebbe essere questo:



Kareni
00mercoledì 15 febbraio 2012 17:10
-Kiya-, 15/02/2012 16.33:

Ok, se ho inteso bene, dovrebbe essere questo:






Esattamente, grazie Kiya! [SM=g999103]
-Kiya-
00mercoledì 15 febbraio 2012 20:02
Di primo achito verrebbe da suggerire un'arcaica versione di S33

S33


ma direi lo si possa escludere, data la presenza dei sandali, ben più rifiniti, nelle mani del portatore.

Ipotizzare S20, per quanto azzardato?

S20


Un cilindro (un sigillo?) attaccato a una catena.

E che dire di V18 (sa, protezione)?

V18


Del resto tutto appare azzardato in questo frangente. Il tutto ulteriormente complicato dal fatto che il segno in questione non si distingue con chiarezza. L'ovale che si percepisce sembrerebbe essere sormontato da una forma che ricorda una mezzaluna rovesciata....
pizia.
00giovedì 16 febbraio 2012 01:44
I tre principali personaggi della raffigurazione sembrano accompagnati dal loro nome, formato da due segni protogeroglifici.
Nel caso di Narmer ne conosciamo il valore fonetico, invece nel caso del gruppo relativo al portatore di sandali no.
Perché di segni dotati di valore fonetico già si tratta, quasi certamente, infatti si conosce la lettura di "Narmer".
Qualche secolo dopo, anche per scrivere Narmer si sarebbero adoperati segni diversi perché il pesce nar cadde in disuso e il bilittero mr si rese sempre più diffusamente con l'aratro.
Invece il nome del funzionario a destra è costituito da due segni molto usati anche in seguito:
V13
X1

le pastoie V13 e il pane X1, traslitterato Tt

Quindi secondo me qui siamo davanti ad un protogeroglifico usato per il suo valore fonetico (sconosciuto), ma questo non esclude che ai tempi della tomba U-j (tanto per fare un esempio) esso avesse ancora significato simbolico legato al potere, in particolar modo ad un potere di matrice religiosa o magica.
Il secondo segno potrebbe essere V7?
V7


-Kiya-
00giovedì 16 febbraio 2012 08:57
Vero che i segni del nome di Narmer hanno già valore fonetico. Ma questo non dovrebbe escludere che anche in questa fase venissero impiegati sia segni con valore fonetico che segni con significato simbolico, ereditati da una fase precedente. Concordi?

Su V7: è un'altra valida opzione.
Osservando il segno in questione sembrerebbe di percepire due anse laterali, come manici. Li riscontrate anche voi?

In tal caso, aggiungerei un altro segno alla lista, sempre parte del gruppo V:

V17


V17, del quale allego anche un'immagine:


Diego Baratono.
00giovedì 16 febbraio 2012 13:56
pizia. intendi un potere magico/religioso del sacerdote/faraone in grado di "dare l'acqua" (al Nilo) al momento giusto, per esempio? ...
-Kiya-
00giovedì 16 febbraio 2012 14:41
Sto "indagando" sul pensiero espresso dagli Egittologi, in riferimento ad alcuni dei segni di cui ci stiamo occupando.
A seguire riporto un frammento tratto dal testo "Ancient Egypt: a very short introduction", Ian Shaw, Oxford University Press, tradotto dalla sottoscritta (il lato preso in esame è quello su cui il Re è mostrato con la Corona Rossa:




[....] Il Re sta prendendo parte a una processione insieme ad altri sei individui, incluse due figure la cui altezza è circa la metà rispetto a quella del Re, poste anteriormente e posteriormente al medesimo, ma probabilmente l'intento dello scultore era quello di renderle a camminare al suo fianco. Questi due uomini, entrambi rasati, rappresentano evidentemente due alti ufficiali. Quello a sinistra è chiaramente un portatore di sandali, poichè reca un paio di sandali in una mano e un piccolo recipiente nell'altra, mentre un pettorale, o forse un sigillo, pende dal suo collo. Un singolo segno (geroglifico) è contenuto in una cornice rettangolare al di sopra della sua testa, verso sinistra; questo segno, probabilmente un'arcaica rappresentazione di una canna galleggiante (ndt.: segno T25) - ma di significato incerto in questo contesto - è abitualmente reso foneticamente con djeb3. Vi sono altri due segni, questa volta posti frontalmente alla figura, apparentemente una "rosetta" e il segno Hm (ndt.: segno U36) che successivamente accorperà svariati significati, compreso "servitore". L'ufficiale sulla destra è rappresentato in scala lievemente maggiore ed è raffigurato con indosso una parrucca e una pelle di leopardo, verosimilmente reca intorno al collo gli strumenti da scriba. Potrebbe essere identificati dai geroglifici posti accanto a lui, sulla destra, che si leggono Tt e che potrebbero rendere l'antica parola utilizzata per definire un Vizir (ndt.: thiatj) [....]


Kareni
00giovedì 16 febbraio 2012 15:41
-Kiya-, 16/02/2012 14.41:






[....] Vi sono altri due segni, questa volta posti frontalmente alla figura, apparentemente una "rosetta" e il segno Hm (ndt.: segno U36) che successivamente accorperà svariati significati, compreso "servitore". [....]





Già, avevo pensato proprio al bilittero ḥm vedendo l'immagine ingrandita, soprattutto per il significato dello stesso...a questo punto la rosetta potrebbe essere qui complemento di specificazione. Quindi, riferito al portatore di sandali: persona/servo della rosetta(re?). Avvalorando l'ipotesi che la rosetta fosse un simbolo regale...
pizia.
00sabato 18 febbraio 2012 16:41
Re:
-Kiya-, 16/02/2012 08.57:

Vero che i segni del nome di Narmer hanno già valore fonetico. Ma questo non dovrebbe escludere che anche in questa fase venissero impiegati sia segni con valore fonetico che segni con significato simbolico, ereditati da una fase precedente. Concordi?




Concordo, in questa fase può accadere, sarebbe strano tuttavia in questo contesto, a fianco degli altri esempi, ma potrebbe essere.

Anche sul recto compaiono gli stessi segni, stavolta il nome del sovrano è compreso nel serekh e non è ripetuto fuori, c'è lo stesso nome del funzionario portatore di sandali, e in più c'è il nome del nemico preso per i capelli.
Il secondo segno potrebbe essere N37, o N38 o N39, "S":
N37N38N39

Il primo segno non lo trovo, sembra un punteruolo o qualche utensile del genere.
Sotto, vicino alla testa degli altri nemici uccisi, ci sono due segni singoli, possiamo interpretarli analogamente come i nomi dei due capi-villaggio sconfitti, oppure come nomi dei singoli villaggi, visto che sono formati da un segno solo.

L'immagine l'ho trovata qui sul forum, nel topic:
Tavoletta di Narmer
ed proviene dalla documentazione di Francesco Raffaele: xoomer.alice.it/francescoraf/hesyra/palettes/narmerp.htm

pizia.
00sabato 18 febbraio 2012 17:12
Re:
Diego Baratono., 16/02/2012 13.56:

pizia. intendi un potere magico/religioso del sacerdote/faraone in grado di "dare l'acqua" (al Nilo) al momento giusto, per esempio? ...


Per esempio sì, ma non solo dal Nilo, anche dal cielo, come spiega Aldred nel suo libro "Gli Egiziani":


Gli speciali poteri del mago della pioggia erano irrilevanti nella Valle del Nilo, dove l'acqua sorgente di vita proveniva dalle inondazioni e non dal cielo. Nonostante ciò è quasi certo che i capi tribù praticassero ancora la magia, per far sì che la piena del Nilo avvenisse nel periodo giusto e in quantità sufficiente.


Nel capitolo sui "Primi Insediamenti in Egitto" introduce l'importante della figura del mago della pioggia, ancora adesso leader religioso presso molti gruppi africani.
Dirò di più: il fatto che il segno del fiore, se anche avesse avuto il valore di indicare il leader di un certo gruppo, sia stato messo da parte in favore del serekh, mi farebbe pensare che non sia stato un membro di questo gruppo a dare origine allo stato monarchico, ma è pura congettura.
E se fosse, perché un mago dell'acqua avrebbe come simbolo un fiore?
Non sarebbe meglio un vaso o l'acqua stessa, o una nuvola, che cosa lega l'acqua al fiore?

Altro aspetto psicologico da non sottovalutare: in un mondo in cui i capi dei vari gruppi si designano con simboli allusivi a qualcosa di feroce (code di toro o di licaone, falchi, animali vari) o a un privilegio (palazzo, flagello, bastone da pastore), che cosa si può dire di un capo simboleggiato dal fiore?
A pensarci bene si tratta di un fiore assai strano, con lunghi petali a punta, in numero variabile e ricamati da nervature...
Forse ha ragione Sargon a paragonare il fiore a una stella, e magari alle Pleiadi grazie all'allusione dei sette petali, o sei, visto che Subaru ha 6 stelle perché dall'altra parte del mondo si percepiva così?
sargon.
00sabato 18 febbraio 2012 18:07
Rosetta
Grazie Pizia! Mi riferisco ai segni astrali perchè nella Spina Verde, zona archeologica preistorica, una roccia reca i segni della ruota (sole), e un gruppo di coppelle a forma di "rosetta" e di Orsa Minore e altre formazioni non riconoscibili.
pizia.
00sabato 18 febbraio 2012 18:39
Già, è vero, mi era sfuggito questo accostamento con le coppelle, da alcuni vengono interpretate come mappe del cielo, questo ci riporterebbe a simbologie davvero antiche, anche paleolitiche, in cui il cielo serviva per orientarsi nel tempo e nello spazio [SM=g999097]
-Kiya-
00domenica 19 febbraio 2012 01:45
Re: Rosetta
sargon., 18/02/2012 18.07:

Grazie Pizia! Mi riferisco ai segni astrali perchè nella Spina Verde, zona archeologica preistorica, una roccia reca i segni della ruota (sole), e un gruppo di coppelle a forma di "rosetta" e di Orsa Minore e altre formazioni non riconoscibili.




In proposito allego documento di approfondimento, contenente immagini, inviatomi da Sargon.

Grazie [SM=g999103]



Link per accedere al documento
-Kiya-
00giovedì 23 febbraio 2012 09:09
Al precedente documento sargon aggiunge una foto e una breve descrizione del cosiddetto "Disco di Nebra":



Diego Baratono.
00giovedì 23 febbraio 2012 16:04
Questo è un articolo che ho pubblicato qualche tempo fa inerente il cosiddetto "Disco di Nebra". Purtroppo non riesco ad inserire le immagini. In ogni caso, buona lettura.


Un software per Stonehenge: il“Disco di Nebra”.

Ovvero: un mistero in meno per gli archeologi.


di: Diego Baratono



Il “Disco di Nebra”: di cosa “non” si tratta?

Risale al 1600 avanti Cristo. Consiste in una placca circolare di bronzo patinato ed oro con un diametro pressappoco di 32 centimetri. Il suo peso è di circa due chilogrammi. E’ uno dei ritrovamenti più interessanti e misteriosi degli ultimi anni. L’insolito disco in questione si è ricuperato durante uno scavo illegale, in un sito nei pressi della cittadina di Nebra, località a 180 chilometri a Sud-ovest di Berlino. Il fortunoso ritrovamento è avvenuto negli anni tra il 1997 ed il 1998. L’apprestamento di provenienza del prezioso manufatto, si ritiene appartenere all’Età del Bronzo.

L’area è parte dello stato della Sassonia-Anhalt. Per la precisione, il sito si trova nella foresta di Ziegelroda. La zona include un rilievo collinare alto 252 metri. E’ su questa collinetta che si è ricuperato, interrato con una certa cura, l’enigmatico disco metallico. La collinetta in discorso è la montagnola del Mittelberg. E’ Germania. E’ Mitteleuropa. Già di per sé, questa notizia è piuttosto affascinante. Sì giacché il raffinato e sapiente ordinamento intellettivo che ha saputo confezionare, e soprattutto governare l’insolito strumento crisobronzeo, è l’espressione riflessa di un’apprezzabile, ma pressoché sconosciuta civiltà agricola. Sono scarni, infatti, i dati inerenti questo fantomatico consorzio umano mitteleuropeo dell’Età del Bronzo. Da quanto si può ricostruire, tuttavia, l’elusiva struttura sociale è vissuta nel cuore del Vecchio Continente, ben prima dei Celti. Si tratta di una congregazione sociale esperta nella coltivazione dei campi e nell’allevamento del bestiame. E’ quest’antica e sottovalutata civiltà agropastorale, che ha “messo a punto”, ovvero ha conservato, l’enigmatico “Disco di Nebra”. Or bene, la piastra circolare, secondo la convinzione corale degli studiosi, potrebbe stimarsi la più antica rappresentazione nota del Cielo, realizzata dall’Uomo. Già. E’ vero. Potrebbe. Il condizionale qui è opportuno, se non proprio d’obbligo. Il motivo? Semplice. Euristicamente parlando, non si è ancora derivata una puntuale e coerente simmetria esegetica tra quanto si è repertato e quanto si è ipotizzato. In sostanza, è problematico precisare la reale essenza dell’indecifrabile disco d’oro e bronzo patinato. Le classiche domande: che cos’è? A cosa serve? In che modo funziona? Sono quesiti rimasti destituiti di risposte convincenti. Almeno. Fino ad ora. L’obiettivo prioritario degli studiosi, quindi, per il momento è uno solo. Consiste nel tentativo di dissolvere, anzi, in base alla compattezza delle incertezze, di sgretolare la pesante cortina di misteri, fissata dal Tempo sull’insolito oggetto. In altri termini, focalizzare utilità e funzionamento del reperto si conferma piuttosto disagevole. Per tutti. La considerazione, infatti, non vale solo per le curiose idee espresse sul “Disco di Nebra” dai soliti esperti dell’ultima ora o da archeologi di confine, che dir si vuole. Continua a rivelarsi un problema non da poco anche per gli specialisti. Esperire una ricetta intellettualmente economica, ma al contempo in grado di precisare la faccenda in modo coerente ai pochi indizi acquisiti, non è semplice. Per nessuno. Al momento, dunque, non si mostra profilarsi all’orizzonte, una replica scientificamente soddisfacente, alle incertezze sollevate dall’intrigante ed enigmatico tondo metallico. Il motivo? Probabilmente è perché non si è ancora compreso, che le questioni da chiarire in realtà sono molto più semplici di quanto si è fin qui congetturato. Probabilmente ...

Semplicità ed utilità. E’ il binario referenziale da seguire. Inderogabilmente ...

Allora, cerchiamo di capirne qualche cosa in più. Semplifichiamo, se possibile, le numerose e strane discordanze fin qui affiorate. Si riparte daccapo. Iniziamo esplorando direttamente il disco. Or dunque, nella zona centrale del reperto, si distinguono riprodotti un cerchio pieno, una falce di luna ed una strana fascia arcuata.[ii] La predetta fascia ad emiciclo, si è incisa sulla piastra con una declinazione in senso orario quasi impercettibile. La tenue modulazione impressa, è sufficiente a rendere la figura assialmente asimmetrica. L’arco della fascia in discorso, si presenta con ambedue le estremità segnate da intaccature.[iii]

Indizi curiosi. Sottili. Si sveleranno, invece, assumere un certo spessore nell’ambito della trattazione. Sul bordo dell’insolito piatto bronzeo, poi, si possono numerare una quarantina d’occhielli passanti. Si percepiscono disposti con una certa scansione ritmica regolare, sull’intera circonferenza della placca metallica. Due lunghi settori circolari contrapposti, nondimeno, caratterizzano ulteriormente i margini della piastra. Hanno ambedue un’apertura angolare misurata in 82,7°. I due emicicli antagonisti, si configurano abbracciare il cerchio e l’attigua semiluna. La presenza di piccoli cerchiolini dorati, poi, contraddistingue lo sfondo del disco crisobronzeo. Sono una trentina di punti in tutto. Gli specialisti ritengono tali punti lenticolari delle stelle, ma secondo chi scrive in maniera del tutto impropria. A prima vista, i piccoli tondi si profilano dislocati sul piatto seguendo una ratio di massima randomizzazione. Non sembra esistere in sostanza una trama precisa a governare la distribuzione dei punti. Probabilmente non è così. Si vedrà più oltre. E’ curioso, infine, un preciso raggruppamento formato da sette di queste lenticole. Si rivela mettere d’accordo, buona parte degli studiosi. Secondo gli esperti, infatti, l’evidente aggregato rappresenterebbe la costellazione delle “Pleiadi”. Le Pleiadi sono sette stelle, che si manifestano nei cieli europei in prossimità dell’Equinozio d’Autunno. Su questo punto, i ricercatori si dicono abbastanza convinti, anche se, secondo chi scrive, ancora una volta si tratta di una convinzione errata. Nell’Età del Bronzo i sette astri in discorso si sarebbero considerati l’importante segno celeste, che fissa l’inizio della raccolta nei campi.[iv]

Può essere. Anzi. E’ vero questo, ma soltanto in parte. Non riguarda in ogni caso la piastra bronzea. L’enigmatico dispositivo metallico è sì funzionale all’agropastorizia. Su questo non si discute. Quasi certamente però il “Disco di Nebra” non riporta informazioni “stellari”, come si dimostrerà. Include bensì, “soltanto” indicazioni inerenti al nostro satellite. Sia chiaro. Con ciò non si vuole assolutamente sminuire l’importanza dell’oggetto. Anzi. Sul manufatto si sono riportate indicazioni di una tale precisione “scientifica”, come s’avrà modo d’apprezzare, da profilarsi ancor più sconcertanti di quanto si è fiutato. Il tondo di Nebra si prospetta così, essere un oggetto unico nel suo genere. E’ spettacolare in ogni caso, pur non raffigurando gli astri di cieli primordiali. Qui a gemmare, piuttosto, è qualche anello debole nella catena delle teorie elaborate dagli specialisti per interpretare significato e funzioni possibili, del patinato disco bronzeo. Allora? Un dispositivo relativamente più “semplice”. Per dir così, meno stellare. Più terreno. Meno speculativo insomma. Ecco. In questo potrebbe tranquillamente risolversi l’arcano “Disco di Nebra”. Un congegno tecnicamente facile da governare. Relativamente agevole da manipolare. Efficace, utile nel quotidiano. Operativamente. Concretamente.








Media dei giorni occorrenti alla configurazione del I QUARTO a partire dalla LUNA NUOVA (non visibile):





Gennaio
8 giorni

Febbraio
8 giorni

Marzo
9 giorni* (max.)

Aprile
8 giorni

Maggio
8 giorni

Giugno
8 giorni

Luglio
8 giorni

Agosto
7 giorni

Settembre
7 giorni

Ottobre
6 giorni* (min.)

Novembre
7 giorni

Dicembre
6 giorni




Foto 1. Il “Disco di Nebra”. Secondo gli esperti, il manufatto risale al 1600 avanti Cristo. La sua splendida patinatura color turchese, molto probabilmente non si deve ascrivere soltanto all’ossidazione naturale formatasi con il passare dei secoli. La caratteristica velatura si sarebbe volontariamente ottenuta, infatti, mediante l’immersione in origine del manufatto in uova avariate. Il misterioso disco di bronzo ed oro, si è valutato intorno ai 10 milioni di dollari. Il suo valore, tuttavia, non è meramente materiale. Il “Disco di Nebra”, infatti, è al momento l’unica testimonianza conosciuta di una cultura astronomica mitteleuropea risalente all’Età del Bronzo. Il misterioso piatto crisobronzeo, si è ricuperato nel corso di uno scavo illegale intorno agli anni 1997 o 1998. E’ in mano agli studiosi solamente dal 2003.

Un falso clamoroso oppure “rivelazione” autentica?

Non si discute ormai quasi più sull’autenticità del prezioso quanto enigmatico manufatto. Dopo le prime comprensibili incertezze, in effetti, si è giunti ad una risposta precisa. Incontrovertibile. Si è distillata con l’aiuto d’innumerevoli quanto dovute indagini chimiche e fisiche. Si è affinata mediante l’imprescindibile contestualizzazione dell’oggetto. Il “Disco di Nebra” o meglio, ufficialmente, il “Disco bronzeo della prima Età del Bronzo con una raffigurazione del cielo da Nebra”, è un oggetto databile almeno al 1600 avanti Cristo. Le microfotografie dei cristalli originati dall’ossidazione naturale, confermano la datazione. Inequivocabilmente. Secondo gli esperti, infatti, il reticolo strutturale di questo genere di cristallo, accresciuto con il passare del tempo, non è riproducibile, per dir così, artigianalmente. E’ abbastanza evidente, inoltre, un dettaglio cruciale. Risolutivo. Il disco si è ricondizionato con diversi riadattamenti nel corso della sua non breve esistenza. L’usura ed i restauri, forniscono indicazioni univoche. Lo strumento, nel corso del tempo, si è sottoposto ad un intenso ed alacre impiego materiale. Meglio. Manuale. Almeno due stelle si sono perse sotto la foglia d’oro della costura semicircolare di destra. Con tutta evidenza, inoltre, gli occhielli del bordo inclusi in questa fascia, si sono grossolanamente perforati in tempi posteriori all’applicazione della predetta foglia d’oro. L’impressione è che il tutto sia riconducibile ad una manutenzione continua, ad un restauro conservativo non tanto cosmetico quanto, piuttosto, funzionale. In altri termini, s’intuisce pacificamente esistere una lucida e potente volontà di mantenere inalterata l’efficienza operativa nonché la precisione, per dir così, scientifica, del pregiato strumento metallico. Non basta. La contestualizzazione dell’oggetto fornisce ulteriori certezze. Nei pressi del sito indicato quale località del clamoroso ritrovamento, si è rinvenuto anche un certo numero d’armi. Le asce e le daghe dell’area, per tipologia, materiale e lavorazione sono certamente riconducibili alla metà del secondo millennio avanti Cristo. Si è appunto in piena Età del Bronzo. Non esiste alcun dubbio quindi anche sulla datazione della placca. Del resto è pure fuori questione, un altro importante fatto. L’arcana piastra di Nebra, per quanto si conosce, è al momento l’unica testimonianza diretta dell’esistenza di una cultura astronomica tanto eccelsa, risalente all’Età del Bronzo, ma nondimeno d’area mitteleuropea. Nel secondo millennio avanti Cristo, dunque, una certa qual conoscenza dei cieli non si concentra in mano di pochi gruppi ed in poche aree circoscritte. Questo genere d’informazioni, piuttosto, si prospetta attraversare per intero il Vecchio Continente. Ad incidere sulla sua diffusione, molto probabilmente, è l’affermarsi di un diverso stile di vita. L’avvento di un sistema agricolo stanziale, un miglior sfruttamento dell’attività pastorizia, dell’allevamento del bestiame, sono pratiche intraprese con ogni probabilità nel Vicino Oriente e diffusesi verso Ovest a partire dal Neolitico. Nell’Età del Bronzo l’attività agropastorale si delinea costituire, ormai, un modus vivendi ben radicato ed esteso ad ampie aree geografiche. Anzi. Secondo quanto si conosce, si è portati a pensare che intorno alla metà del secondo millennio avanti Cristo, l’economia agricola e quella domestica si siano ormai indissolubilmente saldate. L’esistenza di ben definiti gruppi sociali, si trova pertanto a dipendere dall’abilità degli uomini che ne compongono il tessuto strutturale, di procurarsi il necessario per il proprio sostentamento, senza doversi spostare continuamente. E’ il tramonto dello stile di vita seminomade, fondato sulla caccia e sulla raccolta del cibo. Agricoltura stanziale e pastorizia. Il connubio è vincente. E’ inevitabile allora, assistere alla comparsa di sistemi funzionali alla definizione ed alla predizione dei momenti propizi alla semina ed alla raccolta nei campi. In qualche modo si progettano e si realizzano strumenti, per dir così, protoscientifici ad ampio spettro. Devono essere dispositivi in grado di stabilire, con un certo margine di sicurezza, anche i periodi migliori per la fecondazione degli animali allevati. Si calibrano sistemi per “misurare” e quindi prevedere anche la durata della gestazione del bestiame. Ottimizzare lo sfruttamento dei cicli naturali. Si direbbe essere questa la parola d’ordine, che caratterizza la piastra bronzea di Nebra. Scienza, magia e religione. Sono conoscenze inscindibili per l’uomo dell’Età del Bronzo. In mancanza delle “categorie” greche, infatti, sono ordini culturali che integrano ancora una stessa, identica struttura formulare di “sapienza”. I tre ordini sapienziali si riescono in certi casi, ad armonizzare e concentrare in un unico strumento. Potente. Insostituibile. Il “Disco di Nebra” potrebbe far parte di quest’esclusiva categoria d’oggetti, per dir così, previsionali. Cos’è che l’indica con una qualche certezza? Potrebbero essere, ad esempio, le due fasce emicircolari contrapposte sulla costura del disco. La loro apertura angolare, si è già detto in precedenza, è di 82,7° ciascuna. Si tratta quasi esattamente dell’arco tracciato dal percorso virtuale del Sole, all’alba ed al tramonto, rilevabile dalla Sassonia-Anhalt nell’Età del Bronzo. L’ampiezza dell’emiciclo, si è fissata partendo dal punto più settentrionale a quello più meridionale raggiungibile dall’astro a queste latitudini. In parole diverse, i due grandi archi prospicienti presenti sul bordo del manufatto, rappresentano le porzioni d’orizzonte, dove il sole nasce e tramonta nel corso dell’anno. Conoscere la posizione del Sole all’alba ed al tramonto in una certa zona, significa conoscere la stagione in cui ci si trova. Secondo gli studiosi, su questo punto si ha la certezza “matematica”. In questo senso, il disco appartiene senz’altro all’area di Nebra. Gli astronomi ne hanno dato conferma. La strana mappatura sul bordo del disco, ossia la gradazione impressa alle due fasce perimetrali contrapposte, coincide perfettamente con la latitudine del luogo dove si è ritrovato il manufatto. L’arcano piatto bronzeo, si ricorda, si è ricuperato sulla montagnola del Mittelberg. Pali lignei circondano il rilievo collinare in discorso. Formano un anello del diametro di circa 200 metri. Il promontorio si mostra, inoltre, solcato da una serie di fossati. In base alla sequenza dei ritrovamenti effettuati nella zona, questo luogo si sarebbe utilizzato per almeno un migliaio d’anni. A questo proposito, gli esperti sono coralmente certi di un fatto. Il prezioso piatto crisobronzeo abbinato all’intera area del Mittelberg, comporrebbe un formidabile osservatorio astronomico dell’Età del Bronzo. L’apprestamento, si profila costituire un possibile ambiente di celebrazioni e di riti religiosi. Non si discute su questo. E’ evidente, infatti, la sacralità del territorio. Insieme con la piastra bronzea, nondimeno, l’intera area s’intuisce diventare utile materialmente. L’inconsueto connubio del luogo con il prezioso disco, consentirebbe di fissare in qualche modo una sorta di calendario polifunzionale. Ora, le straordinarie e numerose analogie, anche concettuali, con il ben più celebre sito inglese di Stonehenge, sono particolarmente evidenti. Anzi. Di più. Il “Disco di Nebra” potrebbe essere, per dir così, la versione tascabile d’aree come Stonehenge. E’ consequenziale, allora, se questo è vero, giungere ad una conclusione. Semplice. Comprendendo il processo di funzionamento dell’enigmatica piastra metallica, si potrebbe comprendere e riattivare pure il sistema operativo, tanto controverso, di Stonehenge e di siti congeneri. Può essere? Vediamo ...







Media dei giorni occorrenti alla configurazione della LUNA PIENA (visibile) a partire dal I QUARTO:





Gennaio
7 giorni

Febbraio
8 giorni

Marzo
8 giorni

Aprile
7 giorni

Maggio
7 giorni

Giugno
7 giorni

Luglio
7 giorni / 6 giorni* (min.)

Agosto
7 giorni

Settembre
7 giorni

Ottobre
8 giorni

Novembre
7 giorni

Dicembre
8 giorni






Foto 2. Ricostruzione dell’area di Nebra. Il prezioso manufatto bronzeo si è ritrovato sulla cima del rilievo collinare del Mittelberg. Il piatto si è ritrovato seppellito con cura, ad una profondità di circa 50 centimetri. Si deve notare la gradazione degli archi virtuali che il Sole traccia durante l’anno, confrontati con le due fasce contrapposte sul bordo del disco. (Der Spiegel).







Media dei giorni occorrenti alla configurazione dell’Ultimo Quarto, a partire dalla Luna Piena

Gennaio
8 giorni

Febbraio
8 giorni

Marzo
6 giorni* (min.)

Aprile
7 giorni

Maggio
7 giorni

Giugno
6 giorni

Luglio
7 giorni

Agosto
7 giorni

Settembre
7 giorni

Ottobre
8 giorni

Novembre
8 giorni

Dicembre
9 giorni* (max.)




Foto 3. In queste immagini si è riportato il tragitto virtuale del Sole e le fasi della Luna rilevabili dal famoso cerchio megalitico di Stonehenge. Secondo alcuni archeologi, Stonehenge più che con il Sole, avrebbe una forte connessione con la Luna. Tale prerogativa, sarebbe evidente specialmente nelle prime fasi di costruzione dell’apprestamento.



Il “Disco di Nebra”: ma come funziona? A cosa può servire?

In certi casi, è facile ritenere che dispositivi tanto enigmatici ed arcani appartengano di diritto soltanto ad un’esclusiva, ristretta categoria d’“iniziati”. In parte questo è vero. Non sempre però le cose sono tanto esoteriche da rimanere un segreto inesplicabile. Per pochi. Il discorso è concreto specialmente per il disco in trattazione. E’ vero ad esempio, che nell’Età del Bronzo sono poche le persone, probabilmente soltanto i sacerdoti-astronomi, che detengono le conoscenze necessarie per “attivare” un dispositivo di questo genere. Non è possibile, tuttavia, allontanarsi molto dal “seminato”. E’ bello credere che qualcuno, nel 1600 avanti Cristo, sia in grado di fissare su di un prezioso disco crisobronzeo, la distribuzione delle Pleiadi ed il cielo stellato. Sia, inoltre, in grado d’armonizzare la falce di Luna con il disco del Sole nel ristretto spazio descrittivo del piatto. Poi riesca a visualizzare addirittura la “barca” solare. Metaforica s’intende. Entrambi gli oggetti in una simile prospettiva s’ancorano ad un simbolismo peculiare. Potente la reminiscenza egizia. E’ tutto poetico. Romantico forse. Si è, nondimeno, abbastanza lontano dalla realtà delle cose. Euristicamente parlando, ossia armonizzando e contestualizzando dati obiettivi ed oggetti ritrovati, si possono formulare soltanto poche ipotesi di una certa concretezza:

1. L’ordinamento culturale che ha prodotto questo disco appartiene quasi certamente ad un mondo agropastorale stativo.

2. Il “Disco di Nebra”, si profila un articolo legato alla coscienza religiosa della civiltà che l’ha prodotto. La placca, da un punto di vista più tecnico nondimeno, si può configurare quale strumento protoscientifico predizionale. Il manufatto bronzeo, concentra e riflette tutta la sapienza pratica di chi l’ha ideato. Si tratta di una sapienza antica, costruita e tramandata di generazione in generazione. Da secoli.

3. In tale prospettiva, si può pensare che il disco assolva una duplice funzione, tanto pratica non meno che speculativa.

4. Il disco potrebbe costituire un formidabile apparato in grado di predire, in qualche modo, le variabili fasi della Luna.

5. Il “Disco di Nebra” potrebbe essere, di conseguenza, un “semplice” calendario lunare. Perpetuo.

Si è detto “semplice”, così per dire. In ogni caso, è più di quanto ci si potrebbe aspettare. Il “Disco di Nebra”, in effetti, è tanto complesso quanto solo le cose semplici riescono ad esserlo. In che senso? Semplice. Il metallico tondo, riporta una serie d’informazioni ricavate da osservazioni dirette dei moti lunari nell’arco dei mesi e dell’anno. In buona sostanza, l’arcana placca bronzea non è nient’altro, che un raffinato simulatore progettato per visualizzare le multiformi fasi della Luna. In conclusione, la configurazione del “Disco di Nebra” consente di predeterminare l’esatto carosello dei profili assunti dal nostro satellite, in fieri. In divenire. La cosa straordinaria? Concerne la funzione calendariale della formidabile piastra di Nebra. In gran misura, si è conservata ancora oggi con la sua buona precisione. Si può rilevare in questa prospettiva, un dettaglio inaspettato. E’ peculiare. Anzi. Meglio. Si potrebbe trattare di una formidabile prova indiretta, inerente alla bontà di quanto si è ricostruito. Concerne il tempo impiegato dal nostro satellite per completare la sequenza delle sue diverse fasi. Oggi, il tempo medio per ciclo è di circa 7,5 giorni. Tra una sequenza e la successiva, si hanno picchi massimi che si protraggono per nove giorni, e punte minime della durata di sei giorni. Ora, i rilevamenti effettuati tramite il “Disco di Nebra”, prospettano un esito singolare. E’ curioso rilevare come nell’Età del Bronzo il picco minimo delle lunazioni, periodicamente, si quantifica in circa 5,5 giorni. Si realizza un evidente scarto di tempo rispetto ad oggi. Imprecisione degli astronomi del passato? Niente affatto. La spiegazione è un’altra. Sconcertante. La differenza temporale, in buona misura, dipende semplicemente dal rallentamento del nostro pianeta. Sì. E’ così. La Terra, dal 1600 avanti Cristo ad oggi, ha certamente subito una decelerazione apprezzabile. Non si tratterà forse di una mezza giornata come sembra registrare il formidabile strumento metallico di Nebra. Si tratta, in ogni caso, di un evento scientificamente dimostrato.[v]

Non c’è dubbio. Il discorso si sta facendo interessante. Fin qui si è sommariamente tratteggiata la possibile applicazione cui si poteva (e si può), destinare l’enigmatico piatto crisobronzeo. Ora però serve una dimostrazione pratica. Si ritiene quindi opportuno certificare la bontà di quanto si è fin qui detto. E’ giunto il momento di riattivare la funzione operativa del “Disco di Nebra”. La parte centrale del disco si è orchestrata intorno a tre elementi fondamentali. Si tratta di una falce di Luna, una Luna piena, poiché questo rappresenta il cerchio e non il Sole, ed un emiciclo. Le due estremità della fascia semicircolare, sono assialmente sfalsate. Il motivo è da rintracciare nella rotazione in senso orario quasi impercettibile, conferita all’intera fascia. Le due estremità apicali, sono puntate verso la falce ed il cerchio predetti. Sono i dettagli più importanti dell’intera placca bronzea. Si tratta dei due insostituibili cardini su cui ruotano le lancette di uno straordinario e preciso orologio lunare. E’ il “Cronografo lunare di Nebra”. I due vertici sono, infatti, i virtuali assi visivi di traguardo funzionali alla riattivazione corretta del disco. E’ necessario a questo punto fissare alcuni parametri di riscontro. Per far questo non occorre una gran tecnologia. E’ sufficiente avere sott’occhio un semplice calendario che riporta le sequenze delle fasi lunari, registrate mese per mese.[vi]

Iniziamo, allora, considerando la media dei giorni occorrenti all’apparizione in cielo, del Primo Quarto di Luna (è la falce riprodotta sul “Disco di Nebra” per intenderci). Si parte, ovviamente, dalla fase di Luna nuova (si tratta dello stadio in cui il nostro variabile satellite non è visibile dalla Terra).



Il calendario indica che:

1. Gennaio: 8 giorni.

2. Febbraio: 8 giorni.

3. Marzo: *9 giorni.* (max).

4. Aprile: 8 giorni.

5. Maggio: 8 giorni.

6. Giugno: 8 giorni.

7. Luglio: 8 giorni.

8. Agosto: 7 giorni.

9. Settembre: 7 giorni.

10. Ottobre: *6 giorni.* (min).

11. Novembre: 7 giorni.

12. Dicembre: *6 giorni.* (min).



Ora, si può rilevare quanto segue: il massimo dei giorni impiegati dalla Luna per completare la fase di Primo Quarto è di nove giorni nel mese di Marzo. Il minimo dei giorni è ad Ottobre ed a Dicembre con sei giorni. Nei restanti mesi la fase si completa variando tra i sette e gli otto giorni. Bene. “Disco di Nebra” alla mano. Puntiamo un righello, in modo da congiungere l’estremo apicale sinistro della fascia emicircolare centrale, ed il primo occhiello che compare appena sopra la costura solstiziale di destra. La retta virtuale che si forma è tangente un punto lenticolare particolare. Il punto in discorso, si trova impiantato tra il vertice della falce lunare e la fascia solstiziale di destra. Un dettaglio è importante. Il cerchiolino, si configura defilato e piuttosto isolato rispetto a tutti gli altri. E’ il primo giorno del mese? Manteniamo come fulcro il vertice di sinistra della fascia semicircolare. Ora, ruotiamo il righello in senso orario. Si devono contare nove cerchiolini sul disco a partire dal punto indicato in precedenza. E’ curioso notare che la riga si fermerà, quale tangente, proprio di sotto il piccolo cerchio collocato all’interno della fascia centrale stessa. Questa potrebbe essere la “retta liminale superiore di fase”.[vii]

Superata questa linea di demarcazione, inizia con ogni probabilità un’altra fase. Più avanti si avrà la certezza. Il punto in questione, ancora una volta, si rileva evidentemente separato dagli altri due punti contenuti dall’emicerchio. Man mano che si contano i piccoli tondi dorati, si può facilmente assistere ad un fenomeno interessante. Il righello, muovendosi in senso orario, scopre porzioni sempre maggiori di Luna. Visivamente, si ha proprio l’impressione d’osservare il sagomarsi del Primo Quarto di Luna in cielo. La qualità della riproduzione in divenire è accurata. Meglio. E’ semplicemente sorprendente.

Foto 4

Or bene, è giunto il momento di formulare alcune deduzioni consequenziali. Iniziamo dalle cosiddette stelle. I piccoli tondi dorati riportati sulla piastra non sono altro che la sequenza dei giorni del mese. Non è dunque casuale il loro numero. Sono trenta piccoli cerchi aurei con una potente funzione calendariale. Del resto, da quanto si è potuto fin qui rilevare, anche la loro disposizione non è randomizzata come si crede. Anzi. I cerchiolini dorati, si sono precisamente distribuiti in modo da potersi intercettare avvalendosi di qualche dispositivo curvo piuttosto che rettilineo, manovrato in senso orario. Il presunto strumento, si profila essere un apparato complementare del disco. Molto probabilmente non si è ancora ritrovato, ovvero non si è ancora identificato per quel che è. L’estrema ratio, indica ulteriori, tragiche possibilità. Il dispositivo in discorso potrebbe essersi smarrito già in tempi antichi. Trafugato. Consumato in parte, forse. Addirittura, l’implacabile macina del Tempo potrebbe averne decomposto l’essenza.

Si spera non sia così …

A testificare la poderosa creatività di una coscienza culturale mitteleuropea di cui si è quasi persa memoria è rimasto, in ogni caso e per buona sorte, lo splendido “Disco di Nebra”. Il sistema operativo che ne consente l’applicazione è essenziale, versatile ed efficace. Sono pochi i dettagli sui quali s’incardina il “software” del disco. Tre per la precisione. Si tratta dei trenta punti dorati, della fascia emicircolare asimmetrica e degli occhielli passanti scompartiti lungo la circonferenza. Definiamoli brevemente.

1. Le trenta piccole lenticole dorate, si sono selezionate quale allegoria simbolica e funzionale per caratterizzare, riprodurre ed enumerare i giorni del mese. La distribuzione di questi piccoli componenti aurei sulla superficie patinata del disco, si è configurata seguendo una traiettoria geometrica speciale. Studiata al millimetro. Non è certo frutto di gesti creativi estemporanei. E’ piuttosto eloquente in tale prospettiva la fine calibratura di posizione raggiunta. Si è elaborata e messa a punto una splendida compartizione con svolgimento in senso orario. L’intento è preciso. Si è conferito all’assetto distributivo in discorso, un preciso ordinamento. La trama architettata, si è finalizzata alla lettura sequenziale dei piccoli cerchi sulla piastra di Nebra. La loro ripartizione sul piatto bronzeo si è teleologicamente meditata. Su questo non ci sono grandi dubbi. E’ più complesso, invece, stimare l’ampiezza dell’arco temporale resosi necessario per assicurarsi una simile precisione distributiva. Si sono cimentate diverse generazioni d’astronomi? E’ bastato il genio di un solo osservatore? Si tratta di conoscenze “protoscientifiche” e sacre, tramandate chissà da chi e chissà da quanto tempo? Difficile rispondere. L’operazione “disco” in ogni caso, ha consentito d’individuare un supporto ideale per fissare, con ogni probabilità, una primissima formulazione di calendario lunare perpetuo.

2. Gli occhielli passanti della circonferenza. Il sistema d’attivazione del disco s’avvale poi ancora di tali occhielli passanti. Sono fori sistemati con un certo ritmo sulla circonferenza. Si contano circa una quarantina di queste asole di riferimento. Sono asole speciali. Strategiche. Sono imprescindibili dal corretto funzionamento del sistema in trattazione. Gli occhielli in discorso trovano i correlativi innesti focali, alternativamente, nelle due estremità della fascia semicircolare asimmetrica. L’abbinamento origina due coordinate, ossia, concretamente, due punti su di un piano. E’ dunque abbastanza pacifico l’esito. I due luoghi geometrici individuati, consentono di tracciare la retta posizionale inerente il giorno che interessa verificare. Lancette virtuali. Sono tali rette, in sostanza, ad intersecare in sequenza oraria i piccoli tondi. In parole diverse, gli occhielli consentono di “misurare” il divenire dei giorni e di conseguenza le fasi lunari correlate. Secondo l’autorevole parere di numerosi esperti in materia, tuttavia, questi fori passanti servirebbero per tenere cucito il disco, o su di un tessuto pesante o su della pelle. L’idea non è male. Manca, ovvero è poco chiaro, nondimeno, il motivo principale per giustificare l’utilizzo di una simile impunturazione.

3. L’ultima notevole parte che integra e rende operativo il sistema di rilevamento del disco crisobronzeo, è la fascia centrale emicircolare di traguardo. Meglio. Sono le due cuspidi apicali dell’arco raffigurato. Analizziamo il disco con maggior attenzione. Si può cogliere un’impronta distintiva curiosa. L’arco in discorso, sul disco si è declinato in maniera asimmetrica rispetto ad un’ipotetica linea assiale verticale. E’ consequenziale, dunque, rilevare come anche i due punti di vertice si delineano leggermente disassati sul piano orizzontale. La condizione geometrica è sicuramente predeterminata. Non si tratta di una casualità, per dir così, estetica. Anzi. Si profila piuttosto, una calibratura fine dell’intero sistema. I due vertici della fascia ad arco, infatti, si sono rivelati i cardini insostituibili di tutto il dispositivo. Attorno ad entrambe i fulcri sommitali, ruota letteralmente l’intero “programma” del disco. Entrambe gli apici si risolvono, in sostanza, in due precisi perni di connessione. Consentono di raccordare gli occhielli passanti del bordo con i piccoli tondi aurei, che costellano la superficie del disco, precisando delle rette. A ben guardare, in definitiva, il semplice dispositivo permette di convertire delle normali linee rette in precise lancette d’orologio virtuali. I due luoghi geometrici coinvolti, ossia le punte dell’arco e le asole della circonferenza, si sono calibrati in modo da consentire al “Disco di Nebra”, di funzionare quasi come un moderno orologio. L’unica differenza? Lo strumento dell’Età del Bronzo si configura considerare “soltanto” la progressione dei giorni anziché delle ore. Il risultato ottenuto, tuttavia, non è niente male per un aggeggio con tremila e seicento anni di storia. Del resto, proprio questa potrebbe essere la funzione ricercata ...



Le conferme ad un’idea.

Ora, s’immagini che quanto si è ricostruito sino a questo punto, in qualche misura s’avvicini alla realtà. Il “Disco di Nebra”, allora, deve consentire la focalizzazione degli aspetti visibili del nostro mutevole satellite. Lo strumento, in conclusione, dovrebbe registrare le fasi che sfumano dal Primo Quarto, analizzato in precedenza, alla Luna Piena per risolversi con la fase dell’Ultimo Quarto. E’ questo, forse, il momento fasico più difficile da riprodurre virtualmente. E’ la carta tornasole necessaria per confermare o smentire i risultati dell’indagine. In ogni caso, supponendo l’idea avanzata corretta, si dovrebbe avere un riscontro immediato. Procediamo, quindi, esattamente come si è fatto in precedenza. Si riporta di seguito, quanto indicato dal calendario per quantificare i giorni occorrenti alla formazione della Luna Piena, visibile da Terra, a partire dalla fase precedente, ossia dal Primo Quarto. Si ha:

1. Gennaio: 7 giorni.

2. Febbraio: *8 giorni.* (max).

3. Marzo: *8 giorni.* (max).

4. Aprile: 7 giorni.

5. Maggio: 7 giorni.

6. Giugno: 7 giorni.

7. Luglio: 7 giorni (Doppia lunaz. inizio e fine mese)/ *6 giorni* (Min).

8. Agosto: 7 giorni.

9. Settembre: 7 giorni.

10.Ottobre: *8 giorni.* (max).

11. Novembre: 7 giorni.

12.Dicembre: *8 giorni.* (max).



In questa circostanza, il picco massimo di giorni necessari al transito da una fase alla successiva è d’otto giorni a Febbraio, Marzo, Ottobre e Dicembre. Il picco minimo è invece di sei giorni a Luglio. Il mese si presenta inoltre con una doppia lunazione. Il passaggio di stadio, nei restanti mesi si completa nei consueti sette giorni. Il “Disco di Nebra”, che cosa rivela in proposito?



Foto 5: Disco di Nebra 2.



Ora, i dettagli che emergono sono particolarmente sostanziosi ed eloquenti. Innanzi tutto, si ha un cambio di luogo geometrico, nel senso che la cuspide destra della fascia incurvata, diventa il nuovo fulcro di traguardo. Una retta si diparte da questo punto. Si presenta esattamente tangente il cerchio simulacro della Luna Piena. Le coincidenze qui non c’entrano. Questa linea, nondimeno, è peculiare. Si rileva essere, infatti, la “retta liminale superiore di fase”. In altre parole, si può pensare che oltre questa linea inizi la lunazione successiva. Non solo. La stessa linea virtuale sfuma in una zona ben precisa del disco. Si tratta di un settore particolarmente usurato della piastra. L’indicazione si deve ricordare. La “retta liminale inferiore di fase”, invece, si può individuare unendo il primo occhiello successivo alla fascia solstiziale destra e la cuspide sempre destra dell’arco regolatore centrale. Si può notare, che la retta derivata passa esattamente anche per l’estremità apicale di sinistra del predetto arco. La linea è tangente, inoltre, il primo cerchiolino aureo allineato esternamente alla cuspide sinistra stessa. Ora, si provi a contare in senso orario, il numero dei cerchiolini sulla placca, inquadrati entro il settore circolare definito dalle due rette liminali. Le lenticole corrispondono esattamente al minimo dei sei ed al massimo degli otto giorni richiesti.[viii]

La distribuzione sulla placca delle lenticole auree coinvolte, osservata in tale prospettiva, si direbbe imbastita su di una zonatura concentrata a sinistra del cerchio della Luna Piena. S’inizia ad intravedere la ferrea logica che sottende il tutto.

La bellezza estetica è, per dir così, compresa nel prezzo ...

Passiamo quindi ad esaminare l’ultima parte del ciclo delle lunazioni. Si è già detto. Si tratta della fase più complessa da “misurare” e da riprodurre secondo la ratio individuata. Or bene: se non si dovesse trovare riscontro “scientifico” a quanto si è detto tutto l’impianto “probatorio” decadrebbe miseramente. Al contrario invece ...

Or dunque, i giorni occorrenti alla formazione dell’Ultimo Quarto a partire dalla fase di Luna Piena, il calendario li riporta con questa sequenza:



1. Gennaio: 8 giorni.

2. Febbraio: 8 giorni.

3. Marzo: *6 giorni.* (min).

4. Aprile: 7 giorni.

5. Maggio: 7 giorni.

6. Giugno: *6 giorni.* (min).

7. Luglio: 7 giorni.

8. Agosto: 7 giorni.

9. Settembre: 7 giorni.

10.Ottobre: 8 giorni.

11. Novembre: 8 giorni.

12.Dicembre: *9 giorni.* (max).



Le solite considerazioni. Il picco massimo di giorni necessari al passaggio da un ciclo ad un altro è di nove giorni a Dicembre. Il picco minimo invece è di sei giorni a Marzo ed a Giugno. Il passaggio di stadio nei rimanenti mesi si completa oscillando tra sette ed otto giorni. Verifichiamo, se anche in questa circostanza la sorprendente placca bronzea conferma i dati.



Foto 6: Disco di Nebra 3.



Il risultato è a dir poco, straordinario. Pure in questo caso. Fissiamo come di consueto le due “rette liminali di fase”. La “retta liminale superiore di fase”, si può facilmente determinare mediante la cuspide destra dell’arco regolatore centrale e l’occhiello coincidente con la parte terminale alta, della fascia solstiziale di sinistra. E’ sorprendente notare, che la porzione di Luna scorciata da questa retta, visualizza esattamente quanto il disco lunare lascia vedere in cielo nella realtà. Nello stesso momento fasico. La linea in discorso, è tangente ai due evidenti segni d’usura che compaiono sul disco aureo. Incrocia, inoltre, quasi perfettamente a metà, la lenticola collocata in prossimità del culmine in alto della fascia solstiziale sinistra. La “retta liminale inferiore di fase”, invece, si può determinare tramite la linea passante tra la cuspide di destra dell’ormai noto arco regolatore ed il secondo occhiello esterno, a sinistra alla medesima. Si può facilmente rilevare, che la retta così precisata, isola gli ultimi due dischetti aurei rimasti all’interno dell’arco regolatore stesso. Non basta ancora. Le due linee liminali precisate (superiore ed inferiore) sul “Cronografo lunare di Nebra”, definiscono un settore circolare discriminatorio. La porzione d’arco, infatti, inquadra in modo rigoroso il numero di cerchiolini aurei richiesti anche per questa fase, estremamente complessa si deve aggiungere, della lunazione. Non è dato sapere al momento, o meglio, chi scrive non è in grado di ricostruire l’esatta procedura fissata per effettuare questi rilevamenti di fase. Secondo quanto si è ricomposto, nondimeno, si ha la certezza su alcune sfumature tecniche. Il senso orario da utilizzare nei rilevamenti innanzitutto. La cuspide destra dell’arco regolatore centrale, consente di visualizzare con estrema precisione forse le due fasi più complesse del ciclo lunare. L’evidente maggior usura di tutta la parte sinistra del cronografo lunare, compreso il disco raffigurante la Luna, si giustifica pienamente con il fatto che proprio questa zona è soggetta ad un doppio ciclo di rilevamenti. Si tratta dei passaggi di fase tra il Primo Quarto e la Luna Piena, e tra la Luna Piena e l’Ultimo Quarto. Manca nella trattazione la fase di Luna Nuova. E’ noto che questa lunazione non è una fase visibile dalla Terra. In effetti, anche il “Cronografo lunare di Nebra” presenta un settore, per dir così, muto. Privo di raffigurazioni. Si tratta della zona in cui vi è la presenza della strana aggregazione di tondini aurei: che cosa indicano realmente quei sette giorni? E’ il momento di maggior fertilità della Terra? E’ questa la contingenza più propizia per le semine, ossia durante le fasi di Luna Nuova? Non è molto difficile rispondere. Per quanto si conosce, infatti, la tradizione contadina indica proprio lo stadio di Luna Nuova quale momento maggiormente adeguato per la semina. Ancora oggi. Una delle possibili funzioni risolte dallo splendido “Cronografo lunare di Nebra” è dunque abbastanza intuitiva. Si tratta della preziosa funzione d’effemeride e, in un certo senso, previsionale, dei moderni almanacchi. Senza dubbio, nell’Età del Bronzo possedere uno strumento del genere, e soprattutto saperlo sfruttare, può agevolare una comunità strutturata sul lavoro agropastorale. Il disco, in effetti, consente di misurare e dunque di fissare con una buona precisione, i periodi in cui si devono effettuare i lavori di preparazione per i campi. Permette di capire quando seminare e quanto è prossima la raccolta. Consente di prevedere con un buon margine di sicurezza, quando scadono i termini per la nascita degli animali allevati. Permette di stabilire quando invece è il momento per l’accoppiamento degli stessi, quanto è prossima l’eventuale transumanza degli armenti e così via. La placca crisobronzea è potente. A ben vedere è quasi magica per gli uomini dell’Età del Bronzo. Non si deve quindi trascurare l’orizzonte religioso, dominio le cui prescrizioni con ogni probabilità governano uno strumento del genere. Non è insensato credere, che a manovrare il disco sia una congregazione sacerdotale teleologicamente preparata per questo scopo. Anzi. E’ quasi certa una partecipazione, per così dire, religiosa nella progettazione dell’attrezzo. Almeno. Non è sbagliato pensarlo ...



Il mistero di Stonehenge risolto da un disco?

Per Stonehenge, cambia forse l’ordine di grandezza scalimetrico dell’articolo, non certamente la sostanza dei fattori. Osservando una planimetria del luogo, è facile comprendere il motivo. In effetti, diversi studiosi hanno paragonato il “Cronografo lunare di Nebra” ad una Stonehenge miniaturizzata. Tascabile. Meglio. Portatile. E’ vero. L’intuizione di questi ricercatori, ha colto con ogni probabilità nel segno. Stonehenge presenta alcune peculiarità stranamente simili al disco bronzeo in trattazione. Si è anticipato, che il periodo di costruzione denominato “Fase III” del famoso apprestamento inglese, si profila coincidere con l’arco temporale cui appartiene anche la piastra di Nebra. La cosiddetta “Fase III” di Stonehenge, si è soliti collocarla tra il 2550 ed il 1600 avanti Cristo. Per chiarezza la fase in questione inizia con ogni probabilità intorno al 2550 avanti Cristo per concludersi, contemporaneamente all’attività vera e propria del sito, nel 1600 avanti Cristo. Si tratta quasi di mille anni durante i quali opere di trasformazione ricorrenti hanno plasmato Stonehenge. Non basta. Appartiene, infatti, alla cosiddetta “sub-fase 3ii” l’allestimento di due peculiari strutture che caratterizzano la topografia dell’area. Si tratta del cosiddetto “Cerchio di pietre sarsen” ed il “Ferrro di cavallo dei triliti”. E’interessante evidenziare alcuni dettagli. L’importantissimo cerchio di sarsen si compone di trenta blocchi di pietra. Sono trenta anche i piccoli cerchi aurei presenti sulla piastra di Nebra. Il “ferro di cavallo dei triliti” consiste appunto in una forma geometrica a ferro di cavallo. La zonizzazione delle strutture trilitiche è quindi molto prossima ad un arco di cerchio. Sul “Disco di Nebra” compare un arco di cerchio. Non basta. Non si devono, infatti, dimenticare le “Fosse di Aubrey”. Consiste in un circolo di buche nel terreno risalente alla cosiddetta “Fase I”, periodo più antico ma altrettanto caratterizzante. Sono cinquantasei cavità sistemate in modo da formare un cerchio. Questa circonferenza racchiude le due precedenti strutture in un suggestivo abbraccio geometrico. Molto probabilmente si è già visto (gli occhielli passanti sul disco) … o sono soltanto impressioni? E’ difficile dirlo al momento, ma non impossibile. La ricerca, infatti, continua …





Si è soliti suddividere questo periodo della Storia in tre fasi: 2000 a. C. Prima età del Bronzo, 1500 a. C. Media età del Bronzo, 1000 a. C. Tarda età del Bronzo. E’ curioso notare, che proprio all’Età del Bronzo appartiene una sequenza peculiare delle diverse fasi attraversate dal famoso sito del Wiltshire di Stonehenge. Si tratta della cosiddetta “Fase III, sub-fase 3ii”. Più avanti s’approfondirà necessariamente l’argomento.

[ii] L’arco inteso come arma da guerra o da caccia e la figura geometrica che ne deriva, sono d’origini antichissime. Gli archi, e le frecce, più antichi sono di legno di pino. Sono databili tra i 10800 ed i 10000 anni fa. Si sono ritrovati, strana coincidenza, nel sito cosiddetto “ahrensburgiano” di Stellmoor, in Germania. L’arco ai suoi esordi, s’utilizzava per la caccia e la pesca. Soltanto in seguito si è finalizzato l’uso per la guerra. In effetti: “... Per usi bellici è stato utilizzato da quasi tutti i popoli d’epoca protostorica e storica ... Ciò ha indotto alcuni etnologi (G. Montandon, G. Schmidt e le loro scuole) a teorizzare un ciclo culturale (ciclo dell’arco da guerra o neometriarcale), basato sull’uso dell’arco, l’agricoltura alla zappa, l’allevamento di animali da cortile, il matriarcato ...”. AA VV, Grande Enciclopedia De Agostini, Novara, 1992, vol. 2, voce: “arco”, p. 369. Si deve quindi osservare, che non esistono particolari indicazioni in grado di supportare l’idea che in passato, l’equivalente figurazione geometrica derivata, appunto, dall’arco sia sconosciuta o non utilizzata in qualche maniera.

[iii] Questa fascia ad emiciclo, al momento del ricupero, si trovava posizionata con le due estremità apicali dell’arco, puntate verso il solstizio estivo, ossia in direzione del Monte Brocken. Dal rilievo del Mittelberg, in effetti, si vede il tramonto del Sole appunto al solstizio estivo, direttamente dietro quest’importante montagna. Il Brocken è un monte locale, distante un’ottantina di chilometri dal rilievo del Mittelberg.

[iv] Un’anticipazione. Si deve qui ricordare un particolare di una certa importanza. Nella lingua anglosassone, è piuttosto la luna di Settembre a designarsi quale “harvest-moon”, ossia la “luna del raccolto”. S’anticipa, del resto, che il notevole dettaglio si configura avvalorare l’idea avanzata da chi scrive, come s’avrà modo di vedere più oltre.

[v] L’informazione, è una comunicazione personale del Professor Ferreri, direttore dell’Istituto Nazionale d’Astrofisica di Pino Torinese.

[vi] Si è utilizzato in questa circostanza, il noto e preciso calendario “Frate Indovino”, anno 2004, O.F.M. Capp. “Rifugio Francescano”, Perugia.

[vii] La “retta liminale inferiore di fase” è, ovviamente, la linea che include il cerchiolino aureo da cui s’inizia il conteggio dei giorni, per ciclo di lunazione.

[viii] E’ ovvio che i cerchiolini appartenenti alla fase lunare antecedente non si devono conteggiare. In effetti, calendarialmente parlando, ormai sono giorni “consumati” e pertanto ininfluenti.



-Kiya-
00giovedì 23 febbraio 2012 16:26
Diego articoli così lunghi sarebbe opportuno che me li inviassi via mail in formato pdf o doc e corredati dalle relative immagini . Penserò poi io a condividere sul forum tramite link ;)
Diego Baratono.
00venerdì 24 febbraio 2012 08:03
Scusa ...
-Kiya-
00venerdì 24 febbraio 2012 17:33
rimediamo: mandami il file

;)
-Kiya-
00martedì 6 marzo 2012 13:17
Diego sono ancora in attesa del file.....

;)
-Kiya-
00martedì 6 marzo 2012 13:26
Riprendendo la questione del significato dell'ormai famosa rosetta, vorrei sottoporre alla vostra attenzione questo reperto:



Si tratta di una statua-cubo di Hor, conservata presso il Neues Museum di Berlino. Hor era un Sacerdote di Amon. La statua è visibilmente più tarda rispetto alla Paletta, direi che possa essere datata al Nuovo Regno.


Ma osservate, sulla parte frontale, quanto inciso tra le due divinità (credo si tratti di Osiride e Montu):




Compaiono due tavoli da offerta, su cui poggia quello che ha tutta l'aria di essere un mazzo di loti (quella di offrire loti agli Dei, poggiati su tavole di offerta, era un'usanza, peraltro, particolarmente diffusa durante l'Epoca Amarniana). Il segno che vediamo, per quanto differisca, richiama alla memoria il protogeroglifico di cui ci occupiamo qui.

La domanda, infine, è questa: tenuto conto che non la si può ritenere strettamente connessa al nome del Re/Capo, per via della sua collocazione variabile, la rosetta Predinastica potrebbe incarnare il significato di offerta rivolta alla divinità, o nel caso specifico, al Capo, ritenuto a sua volta un dio?
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