Non vorrei che la discussione rientrasse nella disputa sui titoli di studio, sugli accademici e sugli alternativi, perché di ciò abbiamo già parlato in altri post.
Faccio un passo indietro citando Roberta, per ritornare al tema principale della disputa, cioè stabilire chi sia l’Egittologo.
Io penso che l'archeologo non debba necessariamente scavare,catalogare,studiare per essere ritenuto tale.
Su questo spero si possa essere d’accordo tutti.
Però vorrei essere sicura che, per usare il linguaggio matematico, l’insieme degli egittologi sia un sottoinsieme di quello degli archeologi:
· Ogni egittologo è un archeologo;
· Esistono archeologi che non sono egittologi.
In ogni caso dunque, chi è Egittologo deve avere certe caratteristiche di base, comuni a tutti coloro che sono archeologi.
Dunque ciò che abbiamo detto sull’accademia dovrebbe essere valido non solo per l’Egittologo, ma anche per lo specialista di civiltà greca, cretese, cinese, maya, celtica, ecc.; immagino ci siano appassionati come noi, interessati a queste altre civiltà più o meno antiche, che vivano nello stesso modo il conflitto fra lavoro e hobby, fra titolo di studio e studio reale.
Certamente a noi appassionati, che viviamo la branca dell’archelogia a noi più cara sopra i libri, su internet, in viaggi privati sul posto, visite ai musei, conferenze a porte aperte, associazioni amatoriali e di volontariato, ecc., fa piacere donare attenzione a quegli archeologi che scavano poco o niente, perché li sentiamo più simili a noi, più raggiungibili come modelli, e perché effettivamente sono più vicini a noi, in qualità di divulgatori, di autori di saggi e romanzi, di articoli sui giornali, di servizi televisivi e filmati.
Cerco di spiegarmi meglio con un esempio:
Silvia Vinci la sento più vicina a me perché dai sui libri è come se mi parlasse, posso andare a Bologna e provare ad incontrarla, posso scriverle e-mail, posso ammirare il suo lavoro pur sapendo che lei in persona non ha levato la sabbia col pennellino dai vasi trovati nella necropoli di Umm el Kab; certamente è laureata e non solo, si occupa di portare avanti gli studi presso l’Università di Bologna col dottorato di ricerca.
E’ possibile, anzi, quasi sicuro, che abbia partecipato a qualche scavo archeologico durante il suo percorso di studio, probabilmente con il vecchio ordinamento, ma non nelle località sede di indagini sul predinastico, piuttosto dove la struttura universitaria di appartenenza aveva una concessione (Fayyum? Hawara?); ciò è servito certamente come esperienza pratica di completamento e arricchimento, ma non si è rivelato propedeutico allo studio importante che avrebbe intrapreso, la Dinastia Zero.
A rivoltare la terra sul posto, troviamo invece Renée Friedman, impegnata tutt’ora a Hierakonpomolis/Nekhen, della quale so poco o nulla, posso solo aggiornarmi sul sito ufficiale (grazie internet!), con l’abisso linguistico in mezzo.
Appurato che l’una non è più archeologa dell’altra e che entrambe sono egittologhe a pari diritto, è solo una questione di gusto personale o di condivisione di idee e obiettivi che mi fa scegliere se “seguire” l’una o l’altra o entrambe.
Tutto questo lungo discorso per dire che, riconosciuto il valore paritario fra l’archeologo “pratico” e quello “teorico”, dovremmo analizzare un po’ più approfonditamente il lavoro del primo, visto che del secondo ne abbiamo già un’idea abbastanza precisa.