Iside e Osiride: alcune riflessioni.
Vorrei condividere alcuni spunti che la lettura di questo splendido testo mi ha suggerito. Dato che si tratta di un mio "scritto" abbastanza lungo, se siete d'accordo, ne riporto un brano per volta, sperando che possa essere utile e che susciti i vostri commenti. Ecco la prima parte:
Dell'autore penso non sia necessario dire granché, a parte la sua collocazione storica: nato nel 46 d.C a Cheronea, visse ad Atene ma viaggiò molto, in Grecia, in Asia e a Roma, dove conobbe Nerone. Sembra sia morto, nella sua città natale, intorno al 120 d.C.
In questa sua opera Plutarco affronta svariati temi, fra cui risulta evidente la comparazione tra miti egiziani e greci, nel tentativo di trovare punti di incontro fra le due civiltà. Come dice D. del Corno, nell'introduzione al testo, il mondo classico viene rivisitato “come un passato sottratto al tempo, incanutito nell'acquisizione di una saggezza che assume la dimensione dell'eterno”. Ci sono, in questo testo, vari aspetti che meritano un approfondimento e, fra questi, vorrei iniziare dal concetto di verità, che richiede una valutazione e una definizione precise.
Verità é, per Plutarco, il dono più grande che il dio abbia fatto all'uomo e il più sacro; dall'alto della sua immortalità, la divinità troneggia per sapienza e ragione e, come dice Omero, Iliade XIII,354-355, “Zeus per primo nacque e di più seppe”. L'immortalità, come viene vissuta dai mortali, richiede una conoscenza, un approfondimento del pensiero razionale che fa, del nostro esistere, una vita compiuta. Senza pensiero, senza conoscenza, l'immortalità non é più vita, ma si riduce ad uno scorrere del tempo a cui non é possibile dare significato. Viene spontaneo accostare questa visione dell'eterno a quella del messaggio cristiano, in particolare al “logos” giovanneo, in cui le forze del bene e del male lottano in eterno. Plutarco dice che il male straccia e cancella la sacra scrittura, così come Cristo, per i cristiani, viene stracciato e annullato nella morte, prima di risorgere all'eternità. Davanti a questo mistero, l'uomo deve raccogliere “dentro la sua anima, come in un'urna, la sacra parola degli dei”, sapendo che “il divino comporta elementi oscuri e nascosti nell'ombra ed elementi chiari e luminosi”. Nasce così l'esigenza di percorrere una strada difficile, la strada dell'iniziazione, che porta alla comprensione e al compimento delle verità rivelate. Le ragioni che spingono l'essere umano verso il trascendente, per gli Egiziani sono ragioni morali, a volte ragioni pratiche, ma nulla di superstizioso o di irrazionale. Plutarco spiega a Clea:”tali concezioni non somigliano affatto a quelle fantastiche invenzioni, tanto vuote ed inconsistenti, che poeti e scrittori, producendo da se stessi, proprio come i ragni, delle novità prive di sostanza, continuano a tessere e ad allungare: perché all'interno dei miti é racchiuso invece un tentativo di spiegare i propri dubbi e le proprie esperienze. Il mito non é altro che il riflesso di una realtà trascendente”.
Ancora D. del Corno dice:”la vitalità forte ed emozionante dei simboli in cui l'uomo colloca la propria aspirazione a sopravvivere, e soprattutto a trovare una ragione per la propria sofferenza, del corpo e dei sentimenti”.