-francis-
00martedì 31 ottobre 2006 18:56
Miri-Mon, il giovane narrante, ripercorre, attraverso un viaggio a tappe, il mistero legato al più affascinante faraone che la tradizione dell'antico Egitto ci ha tramandato.
Pertanto incontra e parla con i militari che lo condannarono, con gli uomini di governo che lo tradirono ma anche con gli amici che lo amarono, regalandoci, grazie alle loro testimonianze, pagine di grande e feroce umanità.
BEK, lo scultore
Lo spirito della bellezza si spense quando lui se ne andò. L'armonia dei colori e delle melodie scomparve. Lo conobbi quando ero un ragazzino, apprendista di uno scultore presso la scuola di mio padre, Man, lo scultore capo del re Amenhothep III. Un giorno comparve il ragazzo portato su un baldacchino. Mio padre mi sussurrò all'orecchio: "L'Erede!"
Vidi un ragazzo della mia stessa età, magro, debole, con lo sguardo penetrante, ingenuo e arrendevole, appassionato dal linguaggio miracoloso della pietra. Venne a vedere e a imparare e le sue parole dolci e affettuose mi fecero subito dimenticare che stavo parlando con un figlio degli dei.
Ci veniva a trovare assiduamente in determinati giorni e tra noi crebbe un'amicizia che mio padre benedì con orgoglio e che mi rese felicissimo.
"E' un uomo maturo di giovane età, Bek!" mi disse mio padre.
Effettivamente era così. Anche il gran sacerdote di Amon riconobbe la sua maturità precoce anche se, a suo giudizio, la attribuiva a una forza maligna. Nossignore. La forza maligna si annida nel cuore dei sacerdoti. Il cuore del mio signore e maestro non conosceva il male: forse fu questo il segreto del suo dramma. Diventato grande, discuteva con mio padre, che stava scolpendo la statua di Amenhotep. Gli disse, seguendo il lavoro di mio padre e dei suoi collaboratori: "Le vostre tradizioni, maestro, sommergono le vostre anime..."
"Con le tradizioni sconfiggiamo il tempo, principe", rispose orgoglioso mio padre.
Il mio signore era in estasi: "Con ogni nuovo sole nasce una nuova bellezza...".
Mi si avvicinò: "Bek, questa statua non riproduce fedelmente mio padre, dov'è la verità?", mi sussurrò.
Si riferiva alla verità per la quale visse e morì. Dalla tenera infanzia nella sua anima si affollarono le voci dell'aldilà, come se in lui trovassero un'uscita ogni volta che la sua luminosità diveniva incontenibile.
"Ti voglio bene, Bek, insisti nei tuoi studi perché tu possa essere mio uomo nel terreno della creatività", mi disse un giorno.
Una cosa è certa, io devo tutto al mio signore e maestro, gli devo la religione e l'arte nello stesso tempo. Indirizzò la mia conoscenza verso la religione di Aton per poi aprire il mio cuore al creatore unico, la cui voce gli rivelò la fede e l'amore.
Un giorno ci trovammo soli vicino alla cava e alla scuola. "Principe, voglio testimoniare la mia fede nel vostro dio...", gli dissi con grande gioia.
"Sei il secondo credente, dopo Miri-Ra; però, Bek, i nemici sono numerosi", rispose felice.
Poco dopo seppi che anche Nefertiti, che ancora viveva nel palazzo di suo padre Ay, si era convertita come noi.
A volte mi raccontava delle difficoltà che la sua missione divina gli causava. Io, nonostante il mio isolamento nella cava, lontano da Tebe, avevo momenti di successo. Lui mi guidò verso l'arte vera. Anche se mio padre mi aveva insegnato i rudimenti dell'arte, il mio signore mi diede la spiritualità. Lui stesso mi consegnò alla verità, tanto nella vita quanto nell'arte, e per questo motivo si rese odioso agli occhi di quelli che vivono solo per questo mondo e non conoscono altro che il linguaggio ordinario della vita terrena, avanzando e retrocedendo con questa, lanciandosi sui piaceri come rapaci. Il mio signore non era così, io lo ascoltavo mentre parlava con il suo dio:
"Oh creatore dei vivi e delle cose inerti! Lasciami vedere la tua luce, rallegrami il cuore e lascia che si muova col tuo dolce battito cosmico".
"Guardati da quelli che vogliono imprigionare i morti nell'arte: che nelle tue pietre dimori la verità!", mi diceva a volte, e ancora: "Dio ha creato le cose: non giocare con loro, riproducile fedelmente, falle risaltare con forza, non lasciarti dominare dalla paura, dall'avidità o dalla falsità. Fai rispecchiare tutti i difetti del mio volto e del mio corpo affinché dalla verità emerga la bellezza!",
Questo era il mio signore e maestro, non ripeteva vecchie cantilene, lo affascinava il nuovo, il vivo. Faceva cadere idoli, estirpava antiche vessazioni. Nuotava nel mare dell'ignoto, estasiato dalla verità.
Il giorno che salì al trono, confermai la mia fede davanti a lui e presi il mio posto di "grande scultore reale", e il giorno in cui il suo dio gli ordinò di fuggire nella nuova città, mi incamminai in testa a 80.000 lavoratori e artigiani per costruire la città più bella della terra, la città della luce e della fede, Akhetaton. Con grandi strade, alti palazzi, verdi giardini, stagni artificiali, esempio massimo di arte e bellezza, che cadde distrutta dall'odio, preda dei sacerdoti e del tempo.
Il mio signore era un artista egli stesso, poeta e disegnatore. Allenò le sue dita lunghe e delicate per conversare con la pietra.