Libia: Il "gemello" del Nilo.

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-Kiya-
00lunedì 9 febbraio 2009 08:58

Due milioni di anni fa un fiume ricco di acque scorreva parallelo al Nilo e dal Ciad andava a riversarsi in una grande laguna nel Golfo della Sirte, in Libia.

Lungo questo antico fiume prosciugato vivevano animali ormai estinti. Le origini dell'Uomo potrebbero quindi trovarsi lungo il corso di questo fiume che regalava acqua e vita. Ma le risposte che dalle campagne di scavi e dal rispettivo lavoro si aspettano archeologi e paleontologi potrebbero non venire perche' vanificate dalla ricerca senza regole di nuovi campi petroliferi in Libia.

Un accorato grido d'allarme e' lanciato dal capo del Dipartimento di Archeologica libico, il prof.Juma Anang, che si e' rivolto alle compagnie petrolifere e allo stesso governo che le lascia agire. "Nell'esplorare nuovi campi petroliferi, senza regole e senza controlli, si rischia di distruggere i reperti dell'aurora del mondo". Perche', aggiunge, se le grandi informazioni sull'uomo e sulla natura sarebbero in Libia, dovesolo come archeologia sommersa si parla di migliaia di chilometri quadrati in grado di raccontare la storia dell'evoluzione, a partire da 35 milioni di anni fa, il grido di allarme di archeologi e studiosi afferma che scavi indiscriminati rischierebbero di vanificare ogni sogno di trovare altre risposte sul primo Uomo.

Anag, per dare maggiore forza al suo appello, ricorda come sulle sponde del fiume ormai scomparso siano stati trovati i resti del piu' antico elefante del mondo, risalente a 10 milioni di anni fa, e di un "mastodonte", dotato di quattro zanne, risalente a 3 milioni di anni fa, scoperto dall'archeologo italiano Petrocchi nel 1935, oltre a resti di tutti i tipi di scimmie dell'evoluzione. "Ci aspettiamo di trovare scheletri umani completi di un australopiteco o forse di un ramapiteco, il piu' antico antenato dell'uomo, risalente a 14 milioni di anni fa", e' la convinta affermazione di Juma Anag.

Il piu' entusiasta ricercatore di questo primo uomo e' Noel Boaz, antropologo, biologo e anatomista che, nella sua trentennale carriera, ha scoperto fossili di Homo habilis, Homo erectus in Etiopia, Homo sapiens nel Congo e antichissimi fossili di ominidi in Libia, la cui identificazione e' ancora allo studio. Ad avvalorare la tesi di Juma Anag i ritrovamenti in Libia dei piu' antichi e rudimentali strumenti mai rinvenuti al mondo ai quali non resta che abbinare l'uomo o il suo piu' diretto antenato.

Piu' sensibile ai temi dell'archeologia per una innata passione per l'arte e la cultura, mostra il figlio del Colonnello Gheddafi, Seif Al Islam Al Gheddafi, che con Juma Anag e un gruppo di scienziati e archeologi provenienti da Italia, Inghilterra, Francia, Stati Uniti e Giappone ha lanciato un anno fa il "Progetto Marco Polo" per lo studio, il restauro e la protezione dei ritrovamenti archeologici greco-romani della lunga costa mediterranea libica. Tutte le missioni italiane attive in Libia sono coinvolte in questo progetto che, per andare avanti, necessita di anni di studi e di grandi finanziamenti.

Fra loro Juma Anag cita Antonino di Vita definendolo "l'enciclopedia vivente" dell'Universita' di Macerata, Nicola Bonacasa dell'Accademia dei Lincei di Palermo, Mario Luni, dell'Universita' di Urbino e poi la statunitense Susan Kane e il giapponese Inkiro Idaka. L'idea di salvaguardare queste ricchezze fra cui spiccano Sabratha, Leptis Magna, Villa Silin, Cirene, Apollonia viene dallo stesso Seif con il quale Juma Anag sta costituendo la Ong "Societa' Libica per la Salvaguardia dell'Archeologia" di cui il figlio del Leader sara' presidente onorario e che vedra' nel Consiglio di Amministrazione alcuni nomi illustri della comunita' internazionale.




[fonte: www.ansa.it]
Hatshepsut76
00lunedì 9 febbraio 2009 09:59
Accidenti, che notizia! Sinceramente non credevo che il figlio di Gheddafi avesse predisposizione per l'archeologia!
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