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Storia e Mnemostoria dell'Antico Egitto, ossia la storia per come recepita, nel tentativo di comprendere la storia per come stata.
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Enûma Eliš

Ultimo Aggiornamento: 26/07/2010 11:34
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di ATON
Thiatj

- ḥtm mr r ry.t '3.t
wts rn n ՚ḫ n itn,
S3t n m3't -
25/07/2010 03:44
 
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Contenuto del poema: le origini e il dramma


Ecco i primi dieci versi in apertura:


Quando in alto il cielo non era (ancora) nominato,
e la terra in basso non aveva (ancora) nome (1)
e Apsû, l'abisso primordiale, originatore degli dei
e Mummu-Tiāmat, che tutti (gli dei) li generò,
(ancora) mescolavano le loro acque,
né esistevano canneti, né paludi,
né alcuno degli dei era stato chiamato all'esistenza,
né aveva nome né destino alcuno era fissato,
allora si formarono dei nell'abisso,
Lahmu e Lahamu ebbero esistenza e ricevettero un nome.



Il poema ha inizio con il caos primordiale, confuso, che conteneva in esso due elementi, l'uno maschile e l'altro femminile, tuttora indistinti.
Le acque dell'abisso, ovvero quelle sotterrane, da cui si originano laghi e fiumi d'acqua dolce, e quelle del mare aperto sono ancora un tutt'uno. Da quella confusione che unisce il maschile e il femminile forse ha origine la prima generazione di dei, che segna la distinzione degli elementi.

Da cenni mitologici riscontrati in testi posteriori, si evince che Lahmu e Lahamu sono considerati mostri marini.
Dopo anni, in numero incalcolabile, ha origine una nuova generazione di dei, una coppia, Anšar e Kišar, i cui nomi sono di ceppo sumerico. Sono infatti composti da šar, "il tutto" superiore, da An, "celeste" e dal "tutto inferiore, o terrestre, Ki.
Passano ancora innumerevoli anni e la nuova coppia genera Anu, il "cielo", fatto a somiglianza di Anšar. Anu quindi genera Ea, simile a sé, detto anche Nudimmud, che si rivela intelligente, sapiente e robusto e supera in tutto il suo stesso padre e anche Anšar, restando senza pari tra i suoi fratelli.

Con le generazioni successive si assiste quindi a uno sviluppo, un progresso. Velocemente gli esseri divini si moltiplicano e si perfezionano. Dal seguito del poema si apprende dell'esistenza di altre generazioni di dei, che l'Enûma Eliš non nomina.

La pigra e statica sussistenza delle prime generazioni di dei si interrompe, quindi con l'avvento delle nuove, dinamiche e vitali. Da qui ha origine lo scontro tra le due, che degenera in lotta poichè i primi non intendono adeguarsi ai secondi, ma anzi pretendono che avvenga il contrario.

Apsû intende avviare lo sterminio delle giovani divinità per ritrovare pace e riposo. La materna Tiāmat si oppone. Mummu, in qualità di consigliere di Apsû, interviene con l'intento di far da conciliatore ed escogitando un piano che consentirà ad Apsû di portare a termine il suo disegno con l'approvazione di Tiāmat. Ma la notizia trapela e i giovani dei vengono a conoscenza delle intenzioni del progenitore.
Un primo tentativo di ribellione, perpetrato da Anu, non porta alcun risultato, quindi interviene il sapiente e astuto Ea, che, risiedendo nelle acque dell'abisso, possiede il sapere magico.
Ea esegue uno scongiuro con cui riesce a immobilizzare Apsû e fa altrettanto con Mummu, approfittando della tregua per costruire il suo Tempio-Palazzo a Eridu, all'interno del quale genera Marduk, destinato a divenire l'eroe del poema.

Marduk è di statura elevatissima, con membra robuste, quattro occhi e quattro orecchie e cresce rapidamente. Il suo soffio è fuoco, tanto egli è terribile.

Intanto una Tiāmat furiosa per la perdita del consorte si appresta a vendicarsi. Mette al mondo 11 coppie di esseri favolosi, mostri marini, scorpioni giganti, terribili e potenti sotto il comando del Generale Kingu, divenuto consorte della dea e custode delle Tavole dei Destini, che lo elevano a dominatore del tutto.

Ea deve quindi nuovamente intervenire per salvare i giovani dei e suggerisce di affidare l'onere della lotta a Marduk, il quale accetta imponendo una regola: qualora tornasse vittorioso, gli dei dovranno riconoscerlo superiore e primo fra tutti. Pur di salvarsi gli dei acconsentono e conferiscono a Marduk il potere supremo, grazie al quale egli riesce con la semplice parola a far comparire e scomparire una costellazione. Sale, quindi, sul carro da guerra trainato da quattro esseri favolosi che vomitano fuoco, e si avvia allo scontro.

Nella prima battaglia gli avversari non riescono a reggere lo sguardo terrificante di Marduk e fuggono via. Interviene Tiāmat, con tutta la sua potenza di mostro terrificante, e questa volta in un primo momento è Marduk a cedere alla paura. Ben presto riacquista padronanza di sé e risponde alle provocazioni di Tiāmat con ardire e iniziativa, brandendo "l'arma divina", la gran rete, nella quale la dea resta inevitabilmente impigliata. Infine Marduk spezzerà con un dardo il cuore di Tiāmat e ne frantumerà le ossa, calpestandola.

La vittoria è completa e definitiva.
Marduk afferra la carcassa di Tiāmat e ne fa due parti.
Una la solleva in aria a formare la volta del cielo e l'altra la distende a costituire la superficie della terra.




(1) quando non esistevano né cielo né terra


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