Per "Undicimila verbi" Marco Zatterin giovedì 14 maggio, alle 21 alla Stalla di Cave di Moleto presenterà il suo libro "Il gigante del Nilo. Storia e avventure del Grande Belzoni"
Il padovano Giovanni Battista Belzoni (1778-1823) fu protagonista dell’egittologia nascente d’inizio Ottocento, quando la figura dell’archeologo nella valle del Nilo non esisteva ancora, nonostante la prima spedizione scientifica organizzata da Napoleone nel 1798. Le antichità, vent’anni dopo la missione francese, venivano raccolte quasi esclusivamente per fini commerciali, tanto che l’Egitto di Muhammad’ Ali, il viceré della Sublime Porta, diventò «il quartier generale della canaglia in Europa», organizzata in “bande” di avventurieri senza scrupoli.
I diplomatici delle grandi potenze, come l’inglese Henry Salt e l’ex Console generale di Napoleone, Bernardino Drovetti, erano diventati in Egitto i più grandi collezionisti di antichità. La raccolta di quest’ultimo, attraverso l’azione non solo diplomatica del viaggiatore Carlo Vidua, diventò il corpo centrale del Museo Egizio di Torino. La collezione di Salt diventò il nucleo originario del British Museum, grazie soprattutto all’operosità di Belzoni.
Il “Grande Belzoni”, l’esploratore dal fisico imponente, fu una sorta di Indiana Jones, assai differente dagli improvvisati pionieri alla ricerca di guadagni facili, come fu Giovanni Pietro Antonio Lebolo, un vero brigante.
“Il gigante del Nilo” aveva intuito l’importanza dei reperti archeologici della civiltà egizia, precorrendo Champollion, come dimostra l’attenzione dedicata alla piramide di Chefren e al tempio di Abu Simbel. Belzoni, infatti, fu il primo ad entrare nella piramide e, nel 1817, liberò l’entrata del tempio dalla sabbia. Egli, come spiega Zatterin, «stabilì un modus operandi che tutti avrebbero seguito», una strategia di scavi ordinata e metodica. Grazie a lui possiamo ammirare al British Museum il busto di Ramses II, noto come il “giovane Memnone”. Belzoni, inoltre, nel 1820 pubblicò in inglese il resoconto delle sue scoperte che diventò il primo best seller sull’antico Egitto e nel 1821 organizzò a Piccadilly la prima mostra, con catalogo illustrato, sulla Valle dei Re.
Non si deve quindi cadere nell’errore di considerare Belzoni un dilettante di genio, basandosi solo sull’esteriorità, come potrebbe fare chi si limitasse a notare, ad esempio, la mania del padovano di incidere il suo nome sui monumenti egiziani. Nella piramide di Chefren appare ancora oggi, su una parete, la grossa iscrizione: SCOPERTA DA G. BELZONI. 2. MAR. 1818. Tale iscrizione è tipica di quella moda ottocentesca d’incidere il proprio nome sui monumenti, per sancire una specie di diritto di proprietà, una presa di possesso e legittimazione del territorio di scavo. Non una vana follia, ma una necessità - come insegna Belzoni – in quel sistema di predoni europei. Questa consuetudine, tuttavia, non era ben compresa. Trent’anni dopo, Gustav Flaubert, viaggiatore in Egitto a suo agio con prefettizia nera, panciotto bianco e tarbuch (il piccolo berretto rosso col fiocco di seta), stigmatizzò l’abitudine delle iscrizioni che «si ritrovano dappertutto con una costanza sublime di stupidità».
Flaubert, però, non conosceva Belzoni: un uomo pratico, coraggioso e intuitivo, un titano, che la splendida biografia di Marco Zatterin ci fa amare. Recentemente “Il gigante del Nilo” ha contagiato persino un gruppo musicale, Arti e Mestieri, che ha pubblicato un concept album ispirato alla vita di Belzoni.
Marco Zatterin, Il gigante del Nilo. Storia e avventure del Grande Belzoni, Il Mulino, Bologna, pagg. 388, € 27,00.
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