Anche le civiltà arcaiche del Sud America padroneggiavano la tecnica della mummificazione artificiale. A questa conclusione è giunto un gruppo di scienziati tedeschi, francesi, inglesi e svizzeri, scrive la versione online del settimanale Der Spiegel.
A provarlo per la prima volta è la mummia di un bambino peruviano, rimasta per oltre un secolo in un deposito dei Musei Reiss-Engelhorn di Mannheim (sud-ovest della Germania) e considerata perduta dopo la seconda guerra mondiale.
Il bambino, di età compresa tra i quattro e i sei anni, apparteneva probabilmente alla cultura Chancay, sviluppatasi tra il 1000 e il 1450 d.C. intorno alla regione dell'odierna Lima. La dimostrazione arriverebbe da alcuni tipici arredi funebri, ma anche dalla caratteristica fasciatura della testa.
Ad attirare l'attenzione degli scienziati è stata una sostanza resinosa di colore giallognolo, sparsa sulle spalle della mummia. Una successiva analisi ha permesso di stabilire che si tratta di copale, una resina vegetale piuttosto comune in Sud America. A tale resina erano state mescolate particolari sostanze per favorire la conservazione. Il sistema è paragonabile a quello in uso presso gli antichi egizi.
Finora gli scienziati ritenevano che la mummificazione dei cadaveri presso le civiltà precolombiane fosse dovuto soltanto a processi naturali, come ad esempio un clima molto secco.
La mummia, datata 1334 d.C., sarà esposta in occasione della mostra "Mummie - Il sogno della vita eterna", organizzata ai Musei Reiss-Engelhorn dal 30 settembre al 24 marzo.