| | | OFFLINE | | Post: 41.058 Post: 22.720 | Registrato il: 24/08/2005 | Sacerdotessa di ATON | Thiatj | - ḥtm mr r ry.t '3.t wts rn n ՚ḫ n itn, S3t n m3't - | |
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23/05/2006 18:44 | |
Titolo: Gli animali e il sacro nell'antico Egitto
e nell'intepretazione di maestri dell'arte contemporanea
Prezzo:?
Dati:?
Anno: 2005
Editore:?
Collana:?
Dalla Prefazione:
Dove il pensiero, l'arte, la memoria, sono patrimonio irrinunciabile per il tempo della continuità.
Sono consapevole che le mie parole nulla possono aggiungere al mirabile percorso che interpreta, per vari saperi e per immaginario d'arte, il sacrale contesto degli animali presenti nel narrato religioso dell'antico Egitto.
Il coro affiatato e raffinato che raccorda e conferisce graduale sintesi al sapiente percorso che fa cultura, spazio che comunica nel presente che s'infutura riscoprendo antiche interferenze culturali, conferisce all'evento, al tracciato storico-espositivo, un raggiunto senso di completezza, per cui ogni "intrusione", anche sollecitata per diretto invito, è superflua.
Doveroso è invece esprimere agli autori dei saggi presenti in questo volume, sono davvero auctores, secondo il latino verbo augesco, perché accrescono avvertitamente la conoscenza, e agli artisti, tutti di sensibile maestria, la mia riconoscenza, perché mi hanno sollecitato a ritrovare antichi e mai perduti amori.
In primis, ma solo per un'amicizia salda per ideali e passione d'arte, a prova di decenni, mi complimento con William Tode, che ben conosce il suo eletto mestiere e sa di musica e di colori, per cui cromatizza le note come armonizza gli impasti di vibrante passione, energicamente trasferisce in immagini il delirio di Tristano, rigorosamente traduce la mistica virtù di Caterina, estende in completezza i suoi cicli pittorici, affresca con suggestiva eccellenza, e fa scuola d'encausto perché le innovate tecnologie agevolino i percorsi di adepti entusiasti.
Doverosa e fraterna gratitudine devo a Cristiano Daglio che con la sua scienza trasforma in soglia il limite per me rappresentato dalla paleocriptozoologia. Ora oltre la novella porta ammiccano per me i suoi animali problematici e mi fanno pensoso. Per chi ha scelto l'ermeneutica ed ha una qualche dimestichezza con l'interpretazione simbolica, la sua serratissima ricerca apre sentieri illuminanti.
Gian Carlo Zaffanella mi ha fatto dono delle sue intuizioni e delle acute argomentazioni pertinenti le trasformazioni, naturali o dovute all'opera dell'uomo, della morfologia della terra d'Egitto. I suoi preziosi appunti di paleogeografia nilotica mi consentono non solo d'intendere le ragioni del "regno" di Sobek, ma di trovare anche, in autorevole consenso, un convincimento che mi deriva da grandi maestri del pensiero, secondo i quali gli animali dell'antico Egitto, possedendo un'anima, "facessero parte integrante del mondo immortale ultraterreno in cui doveva realizzarsi quell'armonia cosmica ritenuta il bene più prezioso".
È l'ecosistema vitale e spirituale di cui parla Elena Giacobino affrontando il discorso dell'uomo e degli animali che convivevano nella valle del Nilo, dove dalla natura spirituale e religiosa non era esclusa nessuna delle forme viventi, perchè flora, fauna e uomo si ritrovavano nelle ragioni giustificative di compartecipate ed unificanti necessità esistenziali.
Ragioni antiche per l'Egitto che sapeva dire a Piatone, chissà perchè escluso dai misteri ai quali perorava l'accesso: noi eravamo già antichi quando voi Greci cominciavate a balbettare.
A Maria Cristina Guidotti, direttrice del Museo Egizio di Firenze, e a Elvira D'Amicone, direttrice del Museo Egizio di Torino esprimo non solo i sensi più vivi della mia gratitudine, ma anche quelli di quanti visiteranno la Mostra e leggeranno le loro pagine in cui scienza e umanità sono così conciliate da rivelare profonda conoscenza e consapevolezza che quel tanto, davvero tanto, che si chiarifica per amore e incremento di studi, non basta a dire tutto.
Gli animali adorati nell'antico Egitto, le divinità teriomorfe, con i riferimenti precisi alla terra, all'aria, all'acqua, "narrati" da Maria Cristina Guidotti, dico narrati perché è dei grandi far scienza in semplici parole, dietro le quali necessariamente c'è tanto assimilato e investigato sapere, fanno presa sul lettore, assolvono decisamente la non trascurabile funzione didattica. Il saggio di Elvira D'Amicone, "Gli animali nell'arte", parte da lontano e procede attraverso acuti dettagli. Ci viene presentato uno scenario in cui la fauna è presente dalla cultura neolitica egizia fino alle culminanti espressioni della decorazione nell'arte che non perde il suo fascino con l'avanzare dei millenni.
Un percorso da apprendere che invita a più arditi approfondimenti, ma la direttrice del Museo Egizio di Torino non si limita a far cultura, storia, poesia; in appendice tratta con Luigi Vigna de "I colori degli animali nell'arte tra sacro e profano". La loro indagine affronta anche le ragioni dei colori celati sotto quelli che venivano sovrapposti per sacrali riferimenti agli itinerari che sono ineludibili tra l'epifania e il mistero: mito e scienza hanno senso di completezza viaggiando insieme. I sensi e la mente, vigili alla vita ci ricordano il nostro perenne andare, anche avendo residenza apparentemente stabile.
L'antico Egitto ne aveva maggiore consapevolezza, come l'Oriente che, in proverbio, dice che: "siamo per strada, ma non abbiamo lasciato la casa; Siamo a casa, ma non abbiamo lasciato la strada". Vale per tutti, anche in tempi nei quali, cito Alberto Abruzzese: "... Levolversi complesso della vita umana è andato vincendo la materia sino ad oltrepassarla, la natura sino a reinventarla, il territorio sino a rifondarlo come trasgressione permanente dell'ordine naturale... e infine del tempo storico".
In tempi d'arte senza referenze, di vertigini fantasmagoriche è innegabile il valore di una proposta che invita a riconoscere nella giustificazione sacrale le compresenze dell'armonia e del tremendo che sulla scacchiera dell'esistenza sono solo vita, vita e nient'altro. Meglio giustificare il tutto nel mistero che separa gli uomini dagli dei.
A questo punto altro non dovrei aggiungere, ma mi solleticano alcune osservazioni dalle quali traspare quanta importanza io riconosca all'organicità d'arte e pensiero che danno vita all'evento di cui ci stiamo occupando.
Inconfutabilmente "... il Bello non è nient'altro/che il tremendo al suo inizio/solo appena sopportabile/e lo ammiriamo a tal punto/che serenamente/sdegna distruggerci"; Kenneth White, nella potenza evocativa della sua geopoesia con acutissima conoscenza propone la via maestra della scienza lungo la quale è ineludibile l'incontro con la poesia, perché l'evento sorprendente rivela l'ordine nel cuore del caos, la vita dentro la vita. Lemozione si eleva così a sentimento ed è proprio il sensus-mentis a fecondare la parola che comunica, a trasferire in immagine la complessità del mistero, l'illuminante scoperta che "perfetto" vuol dire "fatto per", "funzionale a", il senso dell'impredicibilità, il mirabile intreccio, mirabilia-mutabilia, che da sempre affascina dove interagiscono in sintonica complicità l'esistenza e la fantasia.
Premesso che la scienza arroccata sulle sue presunte prerogative è triste come l'ideologia che vanta il potere, mentre s'incrina tragicamente l'argilla della supponenza fino al crollo definitivo; precisato che sarebbe uno smacco uscire da madre Terra per altri mondi sparsi nell'universo senza aver appreso appieno, nella giusta luce, la logica progettuale che esige l'uomo viandante evoluto, artefice d'umanità, mi confermo fedele alle arti, le più preziose tra le fonti fidedegne delle alterne vicende della Storia. La creatività è evento collettivo: il genio lo esita perché suoi sono gli strumenti della eccellente comunicazione, e nessuno gli potrebbe mai contestare il merito indiscusso di aver percorso i tempi, di avere per doti di chiaroveggenza motivato ed espresso un sogno, un desiderio, l'orgoglio d'una conquista ch'era nel mito dall'ancestro, nel narrato d'una favola bella, nella poesia che inventa passioni umane e le infutura per il tempo della continuità.
Comunque tutto accade perché le terre degli uomini nel privilegio della diversità, anche estrema, denunciano elementari bisogni, bis-sogni, per meglio dire che valgono due volte il sogno di superarli, tanto disparati in privazione mentre le menti che vaneggiano in variatissime lingue hanno comuni gli assilli dei grandi interrogativi. Il tremendo al suo inizio merita i suoi cantori.
Eimmensità dell'evento si rapporta a sovrumane potenze: i testimoni, provati dall'affanno atterrito che segna i superstiti, dallo stupore che ravvisa d'impatto l'inermità dei mortali di fronte alle forze che sono oltre i cieli che celano, tentano le parole per narrare l'accaduto, ne favoleggiano finché l'illuminato cantore non consacra alla poesia la sua visionaria passione.
In quella s'avverte il senso del divino che la concretezza scientifica ha accertato presente tra i labirinti della psiche. È innegabile e sorprende lo stesso scienziato, perché in tutte le forme delle esistenze la regola sempre convive con il desiderio. I poeti romantici nei transiti universali si facevano pensosi dell'ordine, della bellezza, dell'amore. Erano forse ingenui, ma viaggiavano senza naufragare tra le onde dolorose che tempestano il tempo d'ogni vita perduta dal nulla al nulla. E qui torna White: "L'astuto animale ha arguito che gli uomini appaiono sempre più disadattati e insicuri nel mondo interpretato".
Un tempo non era così: c'erano spazi di meditativi silenzi, voglia di naturale partecipazione e comprensione, di radici nel mito, nella metafisica. L'ambiente naturale era contesto cosmico, la natura amplificava le ragioni dell'umana voglia d'umanità consociata. Più breve era il corso dell'esistenza, ma più eroiche erano le motivazioni e non era sottratta alla vita la qualità giustificativa del senso e del valore.
Nobilmente a misura d'uomo opera la scienza che riscopre le forze che si in-formano naturalmente: l'epifania dell'energia che pulsa nella materia vivente e la connota nella forma rigenerativa, dalla quale transita infine nell'orma per rifarsi energia, mi affascina con tutto il mistero della regola e del desiderio che unitamente si trasformano, divengono in metamorfosi. Mi è dato di perseguire "conoscenza e virtù" su questa terra e tutte le sue storie mi appartengono come ad ogni essere umano: lo attraversano anche se le ignora.
So bene che all'apice di ogni sapere la prassi incontra la filosofia e che l'ardita scala, che affronta le cose celate, ascende fin dove trionfa l'anima del mondo, la consapevolezza d'essere uomini fatti per l'umano progresso e la discesa che porta alla concretezza della terra ritrovata invita l'homo homini faber, l'uomo artefice d'umanità a dimensionarsi eticamente edificando valori per il valore unico e insostituibile che è la vita.
Tutto ciò che aggiunge vita alla vita è valore, o virtù che dir si voglia.
Mi sono dilungato. Sarebbe bastato, accomunare scienziati ed artisti nella lode che di certo avrà vasta eco nell'accreditata comunicazione e dichiararmi, devoto come sono all'Uomo, grato immensamente per la loro ricerca che illuminandolo ci fa più legati al passato e ne conserva gli insegnamenti che a tutta l'umanità appartengono.
Caserta, Novembre 2004
ANGELO CALABRESE |