Storia e Mnemostoria dell'Antico Egitto, ossia la storia per come recepita, nel tentativo di comprendere la storia per come stata.
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Iside e Osiride? Meglio del Dio del monoteismo - Intervista a Jan Assman

Ultimo Aggiornamento: 20/11/2016 21:01
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Iside e Osiride? Meglio del Dio dei monoteismi
Il più grande egittologo vivente, Jan Assman, rilancia apertamente le ragioni degli antichi. Ma anche un nuovo e più tollerante politeismo
DI STEFANO VASTANO
L'Espresso 16 novembre 2016


È senza dubbio il più grande egittologo vivente. Dei miti e riti dell’antico Egitto, Jan Assmann - per decenni docente di egittologia ad Heidelberg e oggi a Costanza - ha indagato ogni stele e misterioso geroglifico, e spiegato ogni inno o leggenda. Proprio a partire dal sapere e dalle religioni antiche, Assmann ha individuato quel momento cruciale nella storia dell’umanità in cui, con Mosè e il monoteismo ebraico, la religione si trasforma in verità assoluta, e quindi in quel problema che ci affligge e ci riguarda oggi molto da vicino: la furia della violenza religiosa, quell’intolleranza contro tutti gli altri percepiti come “infedeli”. «È questo l’immenso prezzo politico che bisogna pagare con il monoteismo, quell’impulso sterminatorio contro chi non condivide la fede nel tuo unico Dio», inizia a dirci Jan Assmann in questa intervista.

In cui l’estroverso egittologo tedesco - autore di saggi importanti come “La distinzione mosaica“, per Adelphi, o “Non avrai altro Dio“, per Il Mulino, ma anche di affascinanti studi su Mozart o su Thomas Mann - rilancia apertamente non solo le ragioni degli Antichi, ma anche di un nuovo e più tollerante politeismo. «Il mondo 
e la cultura del politeismo antico», continua Assmann che siamo andati a trovare nel suo appartamento sul lago di Costanza, «hanno ancora oggi una loro meravigliosa attualità 
e tanto da insegnare a noi presunti moderni, sia in campo etico che politico».

Partiamo dalla sua tesi di fondo sul monoteismo: è davvero convinto che questa fede generi violenza?
«Sì, la grammatica del monoteismo ha in sé i germi della violenza contro gli altri perché è una forma di fede che pretende di possedere la verità in modo esclusivo. È questa esclusività dell’accesso alla verità il motore che genera di continuo 
nella storia, come vediamo ancora oggi, focolai di violenza 
ed eccessi d‘intolleranza».

Si riferisce alle ultime stragi dei terroristi islamici 
o alle guerre fomentate da presunti Califfi?

«Non solo l’Islam: ogni forma di monoteismo ha in sé la carica 
per esplodere in radicalismi sterminatori. Le cosiddette “guerre sante” non sono affatto una prerogativa dei musulmani, visto che nella storia ci sono state crociate, pogrom ed auto da fé d’ogni tipo. Le religioni monoteistiche hanno lasciato una lunga striscia di sangue nella storia, un’unica traccia di stragi e sterminio degli infedeli».

L’impulso alla strage deriva dal credersi 
figli prediletti dell’unico Dio o è invece insito, come pensava Walter Benjamin, in tutte le religioni, anche in quelle politeiste?
«Sul tema religioso Benjamin si rivela filosofo poco attento alle differenze storiche e culturali, e troppo anarchico. La differenza principale nello sviluppo delle forme di fede resta quella fra religioni “primarie” e “secondarie”, cioè 
tra religioni politeistiche ed il gruppo delle monoteistiche che sviluppano l’idea di 
un unico e trascendente Dio».

Sta dicendo che il kamikaze per le strade 
di Kabul o Parigi, il “martire” o il terrorista votato alla morte sono possibili perché credono in un unico Dio e nell’aldilà?
«Esatto, il segno cruciale delle religioni monoteistiche è che solo 
in esse si è disposti al massimo, al sacrificio appunto della vita propria ed altrui in nome del valore supremo, dell’unico Dio che 
sta in cielo. Questa disposizione al martirio è assolutamente impossibile nel politeismo antico che, non a caso, preferisco chiamare “cosmoteismo”».


Conflitti. Terrorismo. Ma anche razzismo e aggressività quotidiana. Tutte conseguenze del credo in unico Dio. Che ha in sé la certezza di possedere tutta la verità

Non ci sono martiri né fondamentalismi nei politeismi antichi o, se preferisce, nel cosmoteismo?
«No, nella cultura egizia, in quella greca o romana la religione 
è racchiusa nella sfera del culto. Vi si accede, dopo tecniche d’iniziazione, in qualità di sacerdote che celebra dei riti in certi luoghi, i templi, e in date occasioni come le feste cicliche. Ma mai 
il sacerdote o il fedele si credono in possesso di verità assolute, né in contatto personale col Dio. È questa la grande differenza tra il mondo, che ritengo più poetico, del Mito e quello della fede rivelata».

Nel mondo del Mito, i fedeli di Osiride, Giunone o Atena non 
si scannavano tra di loro per le rispettive divinità?
«Al contrario, la prassi interreligiosa nell’universo cosmoteistico favorisce le “liste degli dei”: le tue divinità, anche se romane, greche o egizie, hanno nomi, proprietà e tradizioni compatibili alle mie. Questa politica della tolleranza religiosa è possibile solo all’interno del mito, così come l’ideale sterminatore del martire solo nel monoteismo».

Se il politeismo promuove tolleranza e il monoteismo violenza, perché è toccato ai monoteismi riscuotere nella storia 
più fortuna delle religioni arcaiche?
«La “fortuna” di cui parla si basa sull’invenzione da parte della distinzione mosaica di un Dio che non è più immanente, ma separato dal mondo: la trascendenza divina, cioè un Dio “ab-solutus” dal cosmo è la massima provocazione per il mondo antico, e proprio ciò che affascinò nel monoteismo. Come egittologo, abituato alla cultura dell’“immanenza” nell’antico Oriente, confesso che mi sorprende ancora oggi questa cesura così radicale, e in fondo impossibile, fra Dio e il mondo».

Cosa trova di così assurdo in questo Dio unico e assoluto?
«La storia delle religioni monoteistiche dimostra, sia nelle ricadute politiche del clero sia nelle derive così pagane di tanti culti popolari (specie in un paese così umano come l’Italia), che l’incanto 
del Cosmo o dei riti magici non è mai stato davvero superato nell’orizzonte della trascendenza. Persino Platone, culla della filosofia greca e poi cristiana, risente il fascino di un Oriente in cui il mondo è un palpitante corpo-divino e le divinità forze terrestri».

Se rompe con i miti e il fascino dell’Oriente, allora Mosè è un agente ben più rivoluzionario e “meta-fisico” di Platone, o no?
«Non sappiamo chi sia il Mosè storico. Ma del Mosè “simbolico” sappiamo che è colui che ha pensato Dio non come ciò che accade nel mondo o come l’Essere, perché a ciò erano giunti anche i filosofi. No, il Dio che per la prima volta si rivela a Mosè 
è colui che promette una vita migliore, instillando così un orizzonte di ficucia nell’animo del fedele».

È questo Dio che si fa personale e morale che, come ha visto Thomas Mann nel romanzo “Giuseppe e i suoi fratelli”, 
ha scioccato tanto il mondo antico?
«Sì, Thomas Mann si rifaceva ad Ernst Cassirer e soprattutto a Martin Buber e sapeva benissimo che nel cosmoteismo le divinità appaiono in modo così evidente da non dar adito a un vero “credere”. Si crede a una promessa, ma non all’apparire quotidiano dei fenomeni. Il monoteismo ha trasformato di colpo, come accade a Gregor Samsa nella “Metamorfosi“ di Kafka, 
il senso della realtà, della giustizia e della politica nel mondo antico».

Sbaglio o rimpiange la scomparsa del “Kosmos” 
e la conversione dei miti in comandamenti morali?
«Non avrei potuto scrivere i miei libri sull’antico Egitto o quello 
su “Mosè l’egizio” senza una certa empatia per il paradigma del cosmoteismo. Certo, prendo sul serio la sapienza egizia e il suo modo di percepire il mondo e il sacro. Non erano solo dei bambini superstiziosi: la traccia che l’Egitto ha lasciato nel mondo antico, ad esempio nei greci, mi fa pensare che anche il cosmoteismo offra valori che noi moderni abbiamo dimenticato».

È un caso se nelle fasi cruciali, o più critiche, della modernità - nel Rinascimento, nell’illuminismo e all’inizio del ’900 con Nietzsche e Freud - si torna a riscoprire il politeismo antico?
«Non è un caso visto che il motore della storia occidentale e cristiana è quella radice cosmoteistica “rimossa”, per dirla con Freud, all’origine della nostra cultura. Ciò che è stato rimosso ci perseguita come un tic storico: per questo la radice del politeismo rispunta nel Rinascimento, nei dotti illuministi come Lessing 
o nello “spirito della musica“ di un Nietzsche e Thomas Mann. Perché nascondermi: anch’io, come i tanti citati, nutro simpatie per il cosmoteismo».

Anche lei, come “l’eretico” Baruch Spinoza, avverte 
il fascino di un Dio immanente alla natura?
«Lo chiama “eretico”, ma per me Spinoza è l’apice del pensiero occidentale. È tremendamente complesso, ma nelle sue righe così astruse è all’opera un’idea altrettanto liberante dell’opzione mosaica, e cioè che Dio e mondo, natura e divinità non sono divisi. È questo “respiro divino nel mondo”, come Jacob Taubes disse di Spinoza, che mi fa risentire tutta l’attualità dell’antico politeismo».

Un momento: un profeta del conservatorismo come Carl Schmitt affermava - nella sua “Teologia politica” del 1922 - che il moderno liberalismo altro non è che teologia camuffata. Lei ora dice che il monoteismo altro non è che paganesimo rimosso..
«Si può interpretare la Storia, dall’epoca moderna al monoteismo e da qui al politeismo, come una serie di inversioni complementari. Se il liberalismo riportò al secolo la trascendenza, il monoteismo nasce unendo in cielo ciò che il mondo pagano teneva diviso: la teologia da un lato, la verità e la politica dall’altro. Ma da questa forzata sintesi monoteistica nasce anche 
la furia religiosa che porta al martire e allo sterminio».

Ma oggi, in un mondo in cui riesplodono ovunque deliri etnici 
e guerre religiose, a che possono servire queste tesi 
sul monoteismo?
«A sfatare ogni “teologia politica”: Schmitt, con le sue tesi sulle origini religiose del liberalismo, voleva legittimare la Dittatura. Oggi fondamentalisti d’ogni colore legittimano ogni crudeltà con lo stesso trucco del ricorso a presunti dogmi religiosi. Il punto è che, come nell’antichità pagana, bisognerebbe separare la religione, la sfera del rito e del mito, da quella della verità e soprattutto dalla politica. Non è questa separazione il succo dell’illuminismo?»

Quindi ha ragione Amartya Sen quando scopre nel politeismo la modernità dell’India, la più grande democrazia del mondo?
«La profonda lezione di spiriti illuminati come Gandhi o Tagore 
è che vi sia un grumo non solo di verità, ma di identità in ogni religione. Alla luce dell’abuso politico che oggi si fa dei dogmi, 
i miti del politeismo sono più compatibili con le parabole di Lessing, dei Lumi e quindi con le fondamenta della tolleranza».

Il politeismo si regge in effetti su miti e belle immagini: 
è per questo che tutti i “talebani” di questo mondo ce l’hanno a morte con musica ed immagini d’ogni tipo?
«Platone ce l’aveva con i poeti, non con i prodotti degli artigiani; ma un grandioso poeta come Mosè ce l’ha con le immagini materiali - incise, dipinte o scolpite - perché per lui è la parola l’unico tratto d’unione fra Dio, l’uomo e mondo. Le belle immagini sono le prime vittime abbattute nella Bibbia dalla furiosa identificazione del verbo divino con la verità e la parola scritta».

Si era mai vista, nel mondo antico, una tale identificazione 
di religione e verità?
«La cosa che più mi sorprende dai primi padri della chiesa ai pontefici di oggi è che fanno finta non solo che i miti non siano mai esistiti, ma che non sia mai esistito neanche il “Dio dei filosofi”. 
Il Dio trascendente è per loro l’unica fonte di verità che prosciuga tutte le altre forme. Oltre che al cosmoteismo e all’immanenza 
la mia simpatia va al dio dei filosofi, in nome del quale non 
si conducono “guerre di religione”».

Ma non vede il rischio di trasformare gli imperi antichi, basati su guerre e soprattutto sullo schiavismo, in paradisi di filosofia, pacifismo e tolleranza?
«Era un mondo crudele, basato sulle più cruente punizioni, con 
i più sanguinosi costumi sociali e marziali, sino al sacrificio umano. Ma, nella sfera religiosa, la violenza si teneva entro riti codificati senza mai giungere all’eccesso di guerre di religione. 
Per passare dal rito sacrificale alla guerra occorre il salto dal mito al Dio trascendente, in nome del quale si sviluppa un “odium” 
che tradisce ogni pathos religioso».

Insomma, solo il politeismo ci potrà salvare dalla violenza religiosa?
«I persiani, conquistata Atene, sequestrarono le divinità dei 
greci per esporle nei loro templi a Persepoli. Persino in guerra 
si rispettavano come opere d’arte le divinità altrui, non si distruggevano le opere d’arte considerate blasfeme. Ecco la lezione di tolleranza che ci viene dal mondo antico. Un mondo che aveva capito come la magia della religione non sia tutto nella vita».

Link: espresso.repubblica.it/plus/articoli/2016/11/14/news/iside-e-osiride-meglio-del-dio-dei-monoteismi-...
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