La lavorazione e la finitura delle pietre dure come granito diorite e porfido è pacifico che non si possa fare che con l’ uso di materiali più duri e che nell’ antichità quel materiale non poteva che essere che il corindone, reperibile abbondantemente nelle cave di Nasso, ma anche in Egitto nello wadi Hafafit. Il corindone si rinviene spesso in cristalli che raggiungono una dimensione massima di pochi centimetri, ma più di frequente in masse microcristalline.
Il corindone è la varietà meno pregiata di una serie di pietre preziose che comprendono il rubino, zaffiro, topazio, smeraldo e ametista composti da ossido di alluminio Al² O³ dalla durezza 9 della scala Mohs.
Secondo gli studi compiuti da Gorelick e Gwinnet la soluzione del problema non poteva che essere l’uso di questo abrasivo naturale, facilmente reperibile, di durezza inferiore al solo diamante.
Per la lavorazione delle pietre dure gli antichi egiziani usavano strumenti tecnicamente semplici ma molto efficaci nelle mani di quegli abili artigiani.
Per i semplici fori bastava il semplice trapano ad arco usando come punta un cristallo di corindone.
Per i fori di maggior dimensioni, l’ archeologia sperimentale ha usato una fresa costituita da un tubo di rame. Il tubo non deve essere di diametro intero. Deve essere vuoto nel settori in cui vi è la fornitura dell’abrasivo. L’attrezzo una volta caricato con il materiale, mantenuto pastoso da acqua o cera, non ha bisogno di rotazione veloce o forti pressioni, basta mantenere un pressione regolare e una rotazione alternativa per dare maggior efficacia all’ operazione di taglio come si vede dalle illustrazioni.
Più complessa è la spiegazione sul come sono stati effettuati i tagli lineari, sono perfettamente dritti e sono simili a quelli fatti con il “filo elicoidale" , metodo usato fino a poco tempo fa anche nelle cave di Carrara. È basato su una lenta azione erosiva esercitata da una fune metallica che trasporta acqua e sabbia silicea come abrasivo.
In questo caso il filo sarebbe sostituito da una fune, tenuta tesa da un grande arco manovrato da due persone che trasporta l’abrasivo mantenuto umido (vedi illustrazione). Contrariamente a quanto si può pensare, la fune non viene intaccata dall’abrasivo in quanto il granulo di corindone non agisce sulle superfici morbide che neutralizzano l’azione abrasiva.
L’ uso di questo materiale spiega anche la perfetta levigatura delle superfici ottenuta anche sulle
statue in diorite, come quelle di Anen e di Ramsete II esposte a Torino.
Infatti una miscela di polvere di corindone e cera, antesignana delle moderne paste e cere abrasive tutt’ ora usate per levigare le superfici di marmi e graniti, producevano quelle superfici levigate che ancora oggi possiamo ammirare.