TRASFORMAZIONE DI GENERE IN MORTE: un caso di studio di sarcofagi dal Periodo Ramesside Egizio Secondo i testi antichi, gli Egizi colti e istruiti ritenevano che la creazione e in particolar modo la rigenerazione fossero prerogativa del genere maschile. Gli uomini erano coloro che davano la vita, tramite l'unione sessuale, non le donne. Di conseguenza anche i miti egizi riferiti alla rinascita post mortem sono stati mascolinizzati. Nel pensiero Egizio soltanto le divinità di genere maschile, come Atum, Osiride, Ra, erano connessi a poteri di creazione e risurrezione. Le divinità femminile avevano invece funzione contenitiva e protettiva. Atum di Eliopoli generò il mondo intero attraverso un atto sessuale con sé stesso. La più antica statuaria colossale Egizia raffigura un dio nell'atto della masturbazione, ritenuto il momento più sacro della prima creazione. Si tratta di statue provenienti da un centro di culto pre-dinastico (più di 5mila anni fa), sito a Coptos (Fig. 1). Un atto sessuale maschile ritenuto così potente da indurre gli Egizi ad adottare la pratica di amputazione di mani e falli dei nemici morti, affinché fosse loro negato di tornare a nuova vita e nuocere ai loro esecutori (Fig. 2). MORTE E RIGENERAZIONE MASCHILE Il passo successivo fu quello di introdurre la nozione di potenza maschile in ambito funerario. Se divinità quali Atum, Osiride e Ra erano garanti della creazione e della rinascita, evidentemente i defunti dovevano divenire loro manifestazione ed acquisire il potere della maschile sessualità affinché fosse loro concesso di rinascere nell'Aldilà. Una trasformazione che per gli uomini Egizi poteva ritenersi naturale, in quanto già latori del potere generativo, ma presentava un limite per gli individui di sesso femminile. Ragion per cui fu necessario adottare soluzioni per aggirare quel limite. Seppur risulti facile ipotizzare che l'assimilazione tra una donna Egizia e una potente dea, quale Iside o Hathor, fosse cosa scontata, in realtà nella mentalità egizia non fu così. Questa assimilazione trova riscontro soltanto in Epoca greco-Romana. Nel periodo Dinastico, gli Egizi ritenevano che una defunta avesse essa stessa la necessità di trasformarsi in una divinità dalla virilità maschile, dal momento che una divinità femminile mancava della scintilla creativa necessaria per rinascere. La conseguenza di ciò fu che le donne dell'antico Egitto dovettero accettare una serie di adattamenti e innovazioni nel processo funerario che le avrebbe riguardate al momento del decesso. In sostanza, affinché fosse loro concesso di accedere ai Campi Iarw e all'Aldilà, sarebbe stato necessario rinunciare alla condizione femminile e quindi mascolinizzarsi. Tale trasformazione si concretizzava nel corredo funerario, in particolare nel sarcofago che si prestava perfettamente ad assumere i connotati di Osiride, Ra e Atum, modificando l'essenza del suo occupante. Il defunto, indipendentemente dal suo genere (maschile o femminile) era assimilato ad Osiride nei testi sacri, gli stessi testi che gli artigiani utilizzavano per inscrivere i sarcofagi (Testi dei Sarcofagi durante il Medio Regno e Libro dei Morti, durante il nuovo Regno). Il loro contenuto assimila in modo esplicito il defunto agli dei della creazione e gli indica la via e come superare i pericoli che incontrerà durante il viaggio. I sarcofagi così concepiti concessero ai defunti di sesso femminile una temporanea trasformazione affinchè potessero a loro volta essere assimilate con gli dei della rinascita e avvalersi del loro potere per divenire un eterno, un essere puro – un Akh. L'Akh era il beato, colui che aveva superato con successo il tribunale e infine giunto come spirito effettivo e protetto nell'Aldilà. Giunta finalmente a questo stato di beatitudine, come suggeriscono le immagini funerarie, la donna rientrava in possesso della sua femminilità, mantenendo la sua forma originale per l'eternità. Di fatto, lo stesso poteva dirsi degli uomini, divenuti temporaneamente Osiride per divenire uno spirito Akh e quindi tornare alla loro forma trascendente, simile a quella umana. Partendo da tali presupposti, in questo articolo si esaminerà il profondo legame tra genere e rinascita nella mentalità egizia e come gli oggetti funerari, in particolare i sarcofagi, hanno espresso questo sistema di credenze. I sarcofagi di Epoca Ramesside saranno utilizzati come esempio.
I CICLI SOLARI E OSIRIACI Perché gli antichi Egizi collegavano la mascolinità così intimamente alla creazione e resurrezione? E perché alla dee mancavano questi poteri? Fin dalle origini della civiltà Egizia, sia la creazione che la rinascita divina avevano un profondo significato sessuale. Già nel 3000 a.C. una statua del dio creatore itifallico (ovvero con il pene eretto) fu innalzata nell'antico luogo di culto di Coptos. Già nell'Antico Regno (2686 – 2125 a.C.) il dio Atum è stato descritto in letteratura funeraria come 'auto-creato' attraverso un atto esplicito di masturbazione e si ritiene abbia generato la successiva generazione di dei attraverso atti di eiaculazione, starnuti e sputando. Un'entità femminile – la sua mano, djeret in Egiziano, e una parola femminile – aiutò Atum a creare se stesso agendo come stimolante e contenitore. Atum era la prima divinità creatrice conosciuta nel pantheon Egizio, ma era anche una divinità solare ed il ciclo giornaliero del sole può essere visto come una sessualizzata creazione maschile attraverso l'unione con il cielo – la dea Nut. Atum era considerato una manifestazione del sole serale, che sarebbe morto ma con piena potenzialità di rinascita. Quando il sole tramontava ad occidente, Atum veniva inghiottito dalla dea del cielo Nut, il cui corpo si riteneva contenesse la Duat - l'oltretomba. Questo essenzialmente piantava il seme del concepimento e della autorinascita di Atum all'interno della propria madre (Fig. 3). Gli antichi Egizi interpretarono questi dei come modelli per la loro morte. I deceduti necessitavano cioè di diventare Atum o il dio solare Ra e questa sacra trasformazione è stata concepita per garantire ai morti l'abilità di creare la loro rinascita dalla morte. Questa rivendicazione divina è fatta molto chiaramente nel capitolo 79 del Libro dei Morti, nel quale il defunto dichiara: 'Io sono Atum che ha fatto il cielo e ha creato ciò che esiste, che uscì dalla terra, che ha creato il seme, Signore di Tutti, che ha plasmato gli dei, il Grande Dio, che ha creato se stesso, il Signore della Vita, che ha fatto prosperare l'Enneade'. Un altro dio-creatore, Osiride, si riteneva avesse la stessa potenzialità di resurrezione. Dopo il suo assassinio e smembramento ad opera di suo fratello Seth, la sua consorte e sorella Iside riunì il suo corpo. Osiride era dunque in grado di ricrearsi attraverso un atto sessuale con se stesso, lo stesso atto di masturbazione usato da Atum nel primo momento della creazione. Iside ha provveduto all'eccitamento sessuale, ma fu Osiride colui che essenzialmente resuscitò se stesso dalla morte (Fig. 4). Iside creò il contenitore per la rinascita di Osiride – l'involucro della sua mummia – e funse a sua volta da contenitore per il concepimento di loro figlio, Horus. Iside non riportò Osiride alla vita, ma creò il presupposto nel quale egli potesse resuscitarsi. In considerazione della capacità di Osiride di tornare a vita dalla morte, gli antichi Egizi associarono la rinascita della morte umana al ciclo Osiriaco.