Poco ci è noto sull'adozione nell'Antico Egitto, tuttavia sappiamo con certezza che fosse pratica in uso e che la stessa potrebbe non essere stata intesa dai suddetti esclusivamente con finalità altruistiche, come forse ci si attenderebbe.
Dal momento che gli anziani dipendevano dai loro figli, specie al sopraggiungere dell'età avanzata, qualora non si fosse ricevuto il dono di un figlio proprio, la legge consentiva ampia scelta a tutela del proprio futuro. Nel caso in cui uno dei due coniugi non fosse idoneo a garantire un erede, l'altro poteva ricorrere alla poligamia, oppure al divorzio con conseguenti nuove nozze. Ma anche all'affidamento o all'adozione. In quest'ultimo caso, le iscrizioni non consentono di comprendere con facilità se ci si trova al cospetto dell'uno o dell'altro, tuttavia possediamo un testo, pervenutoci su un
ostracon da Deir el-Medina e risalente all'Età Ramesside, che riferisce in modo inequivocabile di un'adozione. Vi si legge:
Colui che non ha figli può prendere con sé un orfano da crescere. Allora questi sarà colui che gli verserà acqua sulle mani, come fosse effettivamente un primogenito".
In altre parole, il figlio avrà cura del proprio genitore adottivo, quando questi avrà raggiunto un'età avanzata.
Un caso degno di nota è poi quello riferito alle
Divine Spose di Amon, durante il Terzo Periodo Intermedio. Erano, queste, le consorti del dio, le quali avevano l'obbligo di preservare la loro purezza.
Poichè
Amon le privava del dono della maternità diretta, esse avevano facoltà di ricorrere all'adozione di colei che avrebbe ereditato il loro titolo e poichè le
Divine Spose del dio vantavano forte influenza nel Tempio di Karnak, frequentemente l'erede veniva scelta tra le figlie o le sorelle del Re. L'adozione di una di esse ci è nota grazie a una stele rinvenuta nel 1904 nella
Cachette di Karnak. Si trattava di
Ankhnesneferibra, figlia di
Psammetico II. La Principessa fu adottata da
Nitocris, figlia di
Psammetico I, che, a sua volta, fu adottata circa sessant'anni prima da
Shepenupet II, figlia del primo Re Kushita,
Piye, e sorella di
Taharqa e
Shabaka, che sarebbero stati incoronati a seguire (XXV Dinastia).
Particolare della Stele dell'Adozione di Ankhnesneferibra
Sulla sinistra vediamo Psammetico, al cospetto di Amon e Mut.
Sulla destra Ankhnesneferibra (seguita dallo steward Seshonq), al cospetto di Amon e Khonsu.
Estremamente scarsi sono i riscontri sugli aspetti legali che regolavano l'adozione, tuttavia il cosiddetto "
Papiro dell'Adozione", attualmente custodito presso l'Ashmolean Museum di Oxford, riferisce di come, durante il Regno di
Ramesse XI, un uomo chiamato
Nebneferra adottò sua moglie come figlia. Con questo "strattagemma", egli riuscì a far in modo che, alla sua morte, la consorte acquisisse interamente la propria eredità, impedendo ai suoi fratelli di appropriarsene. L'adozione ebbe luogo alla presenza di testimoni.
Il testo, così come pervenutoci, fu redatto dalla moglie di
Nebneferra, 17 anni dopo gli eventi narrati. In esso ci è riferito che la donna, a sua volta, adottò due dei figli di una schiava della sua casa, sposandone una terza a suo fratello. Al tempo dello scritto tutti i bambini erano ormai grandi ed emancipati e la donna provvide anche ad adottare il proprio fratello,
Padiu, quale garante del suo benessere nella vecchiaia, nonchè per facilitare il passaggio delle sue ricchezze all'interno della sua famiglia.
Va detto che il testo di questo papiro è particolarmente malscritto, ragion per cui la sua interpretazione ha alimentato non poche diatribe tra gli studiosi, la maggior parte dei quali propende per avallare la versione qui proposta.
Testi di riferimento:
- Caminos, "The Nitocris adoption stela", JEA n° 50 (1964);
- Eyre, "The adoption Papyrus in social context", JEA n° 78 (1992);
- Leahy, "The adoption of Ankhnesneferibra", JEA n° 82 (1996);
- Janssen, "Getting old in Ancient Egypt", London 1996;
- Shaw/Nicholson, "The British Museum Dictionary of Ancient Egypt", The British Museum Press 2008