Egitto 1922. Un mercante di Qena (60 Km a Nord di Luxor) propone ad un celebre antiquario cairota, M.A.Mansoor, degli oggetti amarniani del regno di Akhenaton. Convinto dell'autenticità, Mansoor ne acquista più di cento in 20 anni.
Il mercante, di nome Ghubrial afferma di essersi rifornito da un fellah ma non sa dire il luogo di ritrovamento degli oggetti venduti. Nessuno sa se questi oggetti sono stati ritrovati in un solo luogo o in più luoghi. Per giustificare una tale quantità di oggetti (teste, statue, rilievi), che non superano i 30-40 cm e che sono tutti perfettamente conservati, si pensa alla bottega di uno scultore.
Ciò che più intriga della collezione è che tutti i pezzi sono completi, in quanto è raro trovare una collezione intera ben conservata. L'assenza di indicazioni sulla provenienza è un altro dato a favore del falso.
Dal 1947 la polemica si infiamma con le analisi eseguite da Young del Museo di Boston, che conclude per la falsità della collezione, per la pietra utilizzata e gli utensili con cui sono stati realizzati. Due anni dopo, lo stesso Young ammette di essersi sbagliato sulla natura della pietra utilizzata, ma continua a sostenere che si tratti di un falso. Analisi eseguite dimostrano che la pietra utilizzata proviene da una regione vicino a Qena; è una pietra calcare rosa.
Uno degli elementi a favore del falso è l'omogeneità della pietra utilizzata, mentre nella collezione di Thutmosi vi è diversità di materiale. Altro elemento è che tutti gli oggetti sono completati, cosa rara nella bottega di un artigiano.
Fino ad oggi non è stata eseguita alcuna analisi stilistica né alcun confronto con le altre antichità amarniane.
Uno degli elementi dibattuti è quello della “pàtina”, che si forma spontaneament sulla superficie dell'oggetto. Il Professor Strass ha effettuato, negli anni 50 un'analisi chimica sulla superficie degli oggetti e sembra che la pàtina sia autentica, per composizione e aderenza all'oggetto. La cosa è stata riconfermata negli anni 80.
Pur con questi elementi di autenticità, gli egittologi considerano la collezione un falso. Alcuni anni dopo l'acquisto, Mansoor sottopone gli oggetti a Drioton, allora responsabile delle antichità egiziane, che si dimostra favorevole all'autenticità della collezione.
Il Professor Wildung, direttore del Museo di Berlino, organizza un'esposizione intitolata “falsche pharaonen”, dichiarando appunto che si tratta di falsi
Vera o falsa che sia, la collezione Mansoor rimane un enigma: pochi egittologi ne vogliono parlare, mentre i figli di Mansoor continuano a sostenerne l'autenticità.
Christiane Desroches-Noblecourt accetta di esporre la collezione al Louvre, dopodiché la collezione finisce nei magazzini del Museo
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Guido