Gli Egizi e il nome

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-Kiya-
00mercoledì 17 settembre 2008 22:24
E' più che nota l'importanza simbolico/religiosa che gli antichi Egizi attribuivano ai nomi propri:

"Pronuncia il suo nome ed egli vivrà in eterno, tacilo e l'oblio lo colpirà"


una citazione composta ora su due piedi, ma che rende appieno il pensiero Egizio.

Ebbene, non possiamo altrettanto negare le numerose curiosità che scaturiscono man mano che ci si addentra in questa cultura: nomi che calzano a pennello, "indossati" a misura dai loro possessori, cambi di nome Reali e assenza del medesimo su rappresentazioni di infanti. Esempi se ne potrebbero citare a iosa, ma sarebbe superfluo, poichè in tali "anomalie", chi più chi meno, ci siamo imbattuti tutti.
Sembra diventare sempre più lampante il fatto che evidentemente qualcosa è sfuggito all'analisi e le domande che restano senza risposta, paiono confermarlo: quando si assumeva un nome? come per noi, era attribuito al momento della nascita, oppure no? avevano facoltà di scegliersene uno personalmente o gli veniva "donato" alla stregua di un titolo, secondo le personali propensioni manifestate nella prima fase di vita?

Questi ed altri sono gli interrogativi che mi pongo da tempo e sono certa che ve li siete posti anche voi, insieme ad altri che avrei piacere di leggere qui, nel tentativo di trovare risposte.
pizia.
00giovedì 18 settembre 2008 19:28
Ciò che ha letto FrAnkh nelle scritte sui sarcofagi dei due feti della tomba di Tut, mi fa pensare che chiunque, a quell'epoca, regno di Tut o giù di lì, una volta morto fosse Osiride, dunque nel caso di bambini nati morti il nome ren non sarebbe stato necessario, passando immediatamente alla qualifica di Osiride.
E' da notare come al defunto venga comunque dato questo nome, indipendentemente da altre considerazioni, come invece si fa in altre religioni, ad esmpio in quella cattolica, secondo la quale il bambino può accedere ad una vita nell'aldilà solo se battezzato, altrimenti passerà l'eternità nel limbo; e il battesimo non è forse, tra le altre cose, l'imposizione del nome?
-Kiya-
00giovedì 18 settembre 2008 22:18
Ne abbiamo già parlato telefonicamente, ma per correttezza riporto qui il mio pensiero.
Come ben dici, per la nostra religione è iol battesimo che ufficializza il nome. Per quella egizia, non sappiamo se esistesse un equivalente. Non sappiamo con quale procedura venisse assegnato il nome a una persona. Sappiamo però che in numerosissimi casi (per non dire tutti quelli noti), il nome è indicativo della principale propensione di chi lo possiede. Pensiamo a Maherpira, ad esempio, "il leone dei campi di battaglia". Non credo che costui, quando nacque, ispirò i propri genitori a tal punto da lasciargli indovinare che sarebbe diventato un grande generale...

In quanto all'epiteto "Osiride": nel caso di adulti, sovrani o meno, esso precede comunque il nome proprio, cosa che nel caso delle due bimbe invece non avviene. Ciò lascerebbe presupporre che alle due piccine non fu dato un nome. Forse perchè morte prematuramente, forse perchè vissute per un lasso di tempo troppo breve... ciononostante ebbero diritto a una tumulazione di tutto rispetto, ma al nome no?

Allora, spontaneamemte mi chiedo: quando, come e perchè veniva assegnato un nome proprio, nell'antico Egitto?
pizia.
00giovedì 18 settembre 2008 22:59
E quando veniva assegnato, poteva poi essere cambiato se il soggetto manifestava attitudini diverse?
Oppure veniva dato in un contesto in cui la promessa era ormai quasi mantenuta?
Ovvero: quanto sentivano gli egizi il dovere imposto loro dal proprio nome?
Anche il nostro nome ha un significato, più o meno evidente, più o meno perduto nel tempo, ma ciò non ci vincola: ho una collega che si chiama Bruna, ma è bionda.
Forse noi ci sentiamo più vincolati dal cognome, cioé dal nome di famiglia, soprattutto se altisonante, impone degli obblighi.
Gli egizi si sentivano vincolati dal nome?

Forse leggendo attentamente e sezionando la leggenda del vero nome di Ra potremmo capire qualcosa di più sul senso del nome.
-Kiya-
00giovedì 18 settembre 2008 23:25
Il vero nome di Ra racchiudeva il suo potere e pertanto era celato agli uomini. Non doveva essere pronunciato. Pena per Ra: la perdita di ogni potere a beneficio di chi ne carpiva il nome.... insomma l'esatto contrario di quanto ci è stato tramandato a proposito del potere del nome...
pizia.
00giovedì 18 settembre 2008 23:38
La leggenda però non dice quale fosse alla fine il vero nome di Ra, noi continuiamo a chiamarlo Ra, ma forse Iside aveva carpito qualcosa di più.

Forse il problema di Ra nel divulgare il proprio nome non era tanto la perdita dei poteri, quanto la rivelazione della sua profonda ed intima natura, il nome appunto, ciò l'avrebbe reso meno misterioso, quindi meno "divino". O forse proprio questo mettere a nudo la propria anima avrebbe comportato la perdita dei poteri.
E' come se un uomo che conscesse il suo nome, semplicemente nominandolo potesse obbligarlo a fare qualcosa, tipo: "che Ra mi faccia diventare ricco!", detto col suo vero nome avrebbe potuto diventare un obbligo per il dio.
E' magia bianca, se non sbaglio...

Si dice anche che nessuno tranne la madre conosca il vero nome di una persona, dunque quello che si dice, che si usa pubblicamente è un secondo nome, o un nome di comodità, mentre l'altro rimane segreto.
E questo dove l'ho letto? [SM=x822718]
-Kiya-
00giovedì 18 settembre 2008 23:49
forse l'importanza del nome scaturisce dalla teologia Menfita, secondo la quale Ptah crea ogni cosa attraverso il Cuore e la Lingua, ovvero pensando e pronunciandone il Nome.
Ciò lascerebbe intendere che ogni cosa, e quindi aggiungerei ogni persona, che viene creata, quindi che nasce, possiede già un nome.
E' pur vero che non si afferma che un nome gli venga attribuito, ma, appunto che già gli è proprio. Se questo volesse dire che sia necessario attendere che il nome si riveli, a tempo debito, attraverso le personali attitudini?

Come al solito la mia mente si lascia trasportare in elucubrazioni tutt'altro che lineari....
pizia.
00venerdì 19 settembre 2008 00:06
Effettivamente la magia della parola, il Verbo, è la struttura portante della teologia menfita.
Il demiurgo crea le cose semplicemente nominandole, che fosse così anche per le persone?
Da qui l'esigenza di avere due nomi, uno detto, rivelato, e uno segreto che nemmeno l'interessato conosce.
-francis-
00venerdì 19 settembre 2008 09:56
Ma senza un nome non era possibile la vita nei campi di Iaru.
Proprio per questo penso che i due feti non siano mai nati, e che pertanto non sia stato ritenuto opportuno dare loro un nome.
Attualmente, prima ancora che con il battesimo, il nome lo si registra all'anagrafe... esisteva un ufficio simile nell'antico Egitto?
Parlando di faraoni, quattro dei loro nomi erano scelti al momento dell'incoronazione ed erano, praticamente, il loro programma "elettorale". IL quinto era quello assegnato loro alla nascita, e non credo proprio che potesse già essere una previsione del suo futuro.
pizia.
00venerdì 19 settembre 2008 16:30
Con la mania che avevano per la burocrazia avrebbero registrato tutto, anche un anagrafe, se fosse esistito.
Forse l'imposizione del nome era una pratica considerata poco formale, altrimenti avremmo notizia almeno di riti legati al nome delle persone.
pizia.
00venerdì 19 settembre 2008 16:35
Re:
-francis-, 19/09/2008 9.56:

Ma senza un nome non era possibile la vita nei campi di Iaru.


Ecco, senza nome avevano accesso all'aldilà come Osiride, ma non ai Campi Iaru, distinzione questa che diminuisce la distanza con l'aldilà cristiano, immagino che alcuni dogmi di questa religione, ancora una volta, derivino dal pensiero teologico egizio: i nostri si erano posti il problema della nascita e delle sua fasi, dando risposte mai dimenticate, tutt'ora valide, che sopravvivono opportunamente adattate, nelle religioni attuali.


-francis-
00venerdì 19 settembre 2008 19:40
Devo fare mente locale perchè ho letto, ma non ricordo in che testo, come venivano attribuiti i nomi anche ai non regnanti.
Credo nel saggio di Cimmino... ora verifico.
roberta.maat
00sabato 20 settembre 2008 18:42
Leggo su Halioua "la medicina al tempo dei faraoni", in una nota, il riferimento a questo testo :

G. Posener - L'attribution d'un nom à l'enfant, Revue d'Egyptologie, 22,1970-pagg,20-25.

Forse qualcuno può reperire la rivista ?

-Kiya-
00sabato 20 settembre 2008 18:47
Re:
-francis-, 19/09/2008 9.56:

Ma senza un nome non era possibile la vita nei campi di Iaru.
Proprio per questo penso che i due feti non siano mai nati, e che pertanto non sia stato ritenuto opportuno dare loro un nome.




ma allora perchè dedicare tutta quell'attenzione alla loro inumazione? perchè procedere con la mummificazione per preservarne il corpo?

mi pongo e vi pongo una domanda:

il nome "ren", ovvero quello che rivestiva l'importanza di cui qui si parla, corrispondeva effettivamente al nome di nascita, o forse no?
emilioraffaele
00lunedì 14 dicembre 2009 15:44
E perché la discussione non è proseguita? Era veramente interessante!
peli.annarosa@alice.it
00lunedì 14 dicembre 2009 20:39
Sono d'accordo con emilioraffaele perchè non avete proseguito la discussione? Era molto interessante
roberta.maat
00lunedì 14 dicembre 2009 21:25
Probabilmente la discussione è ferma per mancanza di documentazione al riguardo, se siete a conoscenza di pubblicazioni in merito all'argomento oltre quella da me segnalata ma irreperibile ve ne sarò molto grata.
Noi occidentali moderni abbiamo regole radicate sulla attribuzione dei nomi e sulla derivazione del cognome, tuttavia non è sempre cosi, altre culture si comportano tuttora in modo diverso e connotano abitudini risalenti a periodi arcaici e ricche di significati.
-Kiya-
00lunedì 14 dicembre 2009 22:50
Esatto.
la discussione è aperta a tutti e tutti possono contribuirvi, con nuovi apporti o esprimendo semplicemente il proprio parere.
Per quel che mi riguarda, devo confessare che gli interrogativi precedentemente espressi erano passati in secondo piano, a fronte dei recenti impegni, ma con l'occasione della pubblicazione della scheda settimanale dell'Approccio, sono andata a rispolverare l'argomento qui trattato.

Ho quindi potuto "spulciare" tra i miei testi che finalmente, giorno dopo giorno, stanno abbandonando gli angusti scatoloni per trovare posto sulla nuova libreria, e qualcosa ho trovato.

Devo innanzitutto fare una rettifica a riguardo di un esempio che avevo precedentemente citato, in riferimento a Maherperi. Lo stesso, contrariamente a quanto affermavo, non può fare testo in questa circostanza, in quanto il Generale era, con alta probabilità, di origine Nubiana.
Giunto in Egitto per ragioni non chiarite (forse come "pupillo" del Re o forse semplicemente come mercenario dell'esercito) è altamente probabile che Maherperi abbia assunto il nome che conosciamo in età adulta (com'era in uso fare dagli stranieri che si trasferivano in Egitto e vi restavano in pianta stabile, soprattutto nel caso di elementi arruolati nell'esercito locale), quando già la sua posizione militare di rilievo era dunque affermata.

Ma torniamo al nome e agli interrogativi che ci siamo posti. Il testo di Hilary Wilson, "Il segreto dei Geroglifici", in tal senso, è stato abbastanza illuminante. Anche se non offre risposte del tutto esaurienti, contribuisce a chiarire un po' le nostre idee.
Secondo l'autrice, innanzi tutto, non esisteva soltanto il nome assegnato al momento della nascita (di norma una frase con rimando religioso), ma anche un'abbreviazione del primo, detta "bel nome", ren nefer, da cui spesso scaturiva un soprannome. Quest'ultimo non era sempre tratto da un diminutivo, ma poteva ad esempio ricondurre alla città di origine del soggetto. A questi potevano aggiungersi epiteti supplementari, soprattutto nei frequenti casi di omonimia all'interno di una stessa famiglia.
Una di queste opzioni prevaleva sulle altre senza criterio prestabilito, quindi accadeva spesso che un soprannome, piuttosto che un diminutivo, fosse utilizzato abitualmente, alla stregua del nome di nascita, che da quello veniva sostituito.

Dall'antico Egitto, inoltre, non ci pervengono riscontri relativi ad ipotetici festeggiamenti del giorno di nascita. Sostanzialmente potremmo dedurne che non esisteva la celebrazione del compleanno. Tuttavia, per mezzo di alcuni nomi è forse possibile risalire al momento della nascita del proprietario, come possiamo ipotizzare nel caso di Horemheb, "Horo è in festa", che lascerebbe presupporre che il futuro Re d'Egitto fosse nato in un giorno consacrato a una festività di Horus o, ancora Muwtemwya, "Mwt è nella sua barca sacra", che potrebbe riferirsi a un giorno relativo a una celebrazione riservata a Mwt (è chiaro che non per tutte le mwtemwia sia applicabile la stessa regola).
La Wilson precisa, inoltre, che i nomi potevano essere cambiati, o modificati, per occasioni speciali o semplicemente come segno di distinzione (a fronte di tale affermazione, mi chiedo, possiamo ancora "condannare" arbitrariamente Amenhotep IV per essere diventato Akhenaton?). Tipica dell'Antico Regno era, ad esempio, la consuetudine concessa dal Re ai propri funzionari più apprezzati di includere il suo nome tra i loro. Ecco che quindi ad alcuni privati cittadini era concesso di avere una parte del nome racchiusa nel Cartiglio, pur non vantando alcun legame di parentela con la famiglia Reale.


Traendo debitamente le fila di quanto appreso, possiamo affermare in tranquillità che i nomi egizi pervenuti fino a noi non sono necessariamente i relativi nomi di nascita assegnati ai rispettivi possessori, ma certamente si tratta dei nomi con cui essi furono maggiormente conosciuti nel loro tempo. Che fosse un soprannome o un'abbreviazione poco conta. Quel nome li identificava e racchiudeva il potere più grande: preservare dall'oblio e offrire l'opportunità di guadagnarsi l'eternità. Auspicio che per molti di loro si è effettivamente avverato.
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