Amministrazione della giustizia nell'Antico Egitto

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Merytaton62
00venerdì 14 gennaio 2011 14:53
[SM=x1764359] In questi giorni si sente spesso parlare dei problemi che riguardano le procedure penali nel nostro paese. Sulla scia di questo fatto, mi sono sorte alcune curiosità riguardanti il mondo antico:
- nell'Antico Egitto esistevano delle figure paragonabili a quelle dei nostri giudici, o il potere di emettere sentenze e comminare pene era delegato a sacerdoti e/o funzionari, quando non al faraone stesso?
- militari e civili erano giudicati separatamente?
- la pena di morte veniva comminata di frequente? [SM=x822741]
emilioraffaele
00mercoledì 26 gennaio 2011 20:42
 

La tua richiesta, non ha ancora avuto seguito, allora ci provo io, però in un modo diverso, senza indirizzare alla lettura di testi sull'argomento, anche perché non sarei in grado, in quanto la mia conoscenza della storia dell'Egitto è ancora abbastanza frammentaria e non ricordo sempre tutto quello che leggo: Se fossi un archeologo, tipo Kemp o Gardiner (….), sarei forse più facilitato a a raccordare le mie esperienze, aiutato dai reperti di volta, in volta ritrovati (magari, la immagino un'esperienza fantastica!).

 

Purtroppo, a seguito degli incipienti segnali di Alzheimer, capita che a volte mi sento come una persona che ha visitato dieci città in un anno e non ricorda più dove ha visto Piazza della Concordia e dove Piazza 1° Maggio Di libri che riassumono l'organizzazione della giustizia in Egitto, chissà quanti ce ne sono, però, come dicevo, potremmo arrivarci in un modo differente, anche se più arduo, utilizzare cioè alcuni (intanto uno) dei pochi racconti fin qui pervenuti, in modo da ricostruire l'organizzazione sociale ed il rapporto dell'uomo egiziano, nella fattispecie, con la Giustizia di allora.

 

La grande occasione la offre il racconto dell'Oasita Eloquente.

 

(dalla prefazione di Maurizio Cattani Docente dell'Università di Bologna)......questa storia risale alla fine del III millennio a.C. e ci mostra tanti dettagli della vita quotidiana, ma ci indica anche una precisa ideologia dell'amministrazione e della gerarchia nella struttura sociale. E' l'occasione di verificare, nel dettaglio, non solo un piccolo quadro della vita quotidiana, ma anche come si intendeva trasmettere le regole sulla giustizia, sulla fiducia , nelle classi di potere.

In tanti particolari del testo possiamo osservare metafore che sono entrate nel nostro patrimonio culturale e, per questo, la narrazione diventa molto affascinante e vicina a noi. Valga come esempio tra i tanti, il riferimento alla giustizia e all'equità attraverso il simbolo della bilancia dei pesi, presi a prestito dalle transazioni economiche che già allora regolavano il valore della vita.....

 

(dall'introduzione di Alberto Elli).....Uno dei testi preferiti del Medio Regno, come dimostrato dai quattro papiri giuntici, nessuno posteriore alla XIII Dinastia, l'Oasita Eloquente è un'opera letteraria, narrativa e sapienziale insieme.....con le sue 430 linee, quest'opera risulta, insieme al testo neo-egizio delle vicende di Horus e Seth (papiro Chester Beatty I) il più lungo di tutti i testi letterari egizi.....

 

il riassunto della storia:

 

....Dopo che, spinto dalla carestia, l'Oasita (letteralmente abitante delle Oasi) – sappiamo che si chiamava Khueninpu, in viaggio dall Oasi del Sale alla valle del Nilo per vendere i suoi prodotti, viene derubato grazie ad un futile pretesto giuridico, egli porta le lagnanza davanti al magistrato. Il tono commovente e insieme eloquente della dialettica di quest'uomo, non istruito, impressiona talmente il Magistrato che questi informa dell'accaduto il Re (dovrebbe trattarsi del prenome di Nebkaura, riportato nel testo, del faraone Kheti III, della X Dinastia) e su ordine del re il magistrato continua a procrastinare il suo dovere di rendere giustizia, fingendo indifferenza alle suppliche del poveretto, così che a questi non rimane che seguitare a lamentarsi. E perché non si stanchi, gli viene ogni giorno recato, in maniera anonima, tutto ciò di cui abbisogna: dieci pani e due brocche di birra. A anche alla moglie e al figlio, nella lontana oasi, il re dà ordine che vengano corrisposti tre moggi di grano al giorno. Il perché di questo comportamento ci è chiaro quando leggiamo che, a insaputa dell'Oasita, le sue lamentele vengono messe per iscritto e portate al Faraone, che così ne trae divertimento e piacere.....Alla fine il pover'uomo è completamente esausto; soltanto allora, prima che cada vittima della cattiveria degli uomini e della solitudine cui lo condanna il silenzio di chi dovrebbe rendergli giustizia, egli riceve ampie ricompense per i danni morali subiti. Alla fine Maat trionfa: ordine cosmico, ma insieme giustizia sociale, essa si impone. E benché l'interpretazione della nostra storia possa far pensare a quanto sia difficile per una povera persona, ottenere giustizia, l'insegnamento che se ne trae è che tutti, indipendentemente dalla loro condizione sociale, hanno diritto ad un eguale ed equo trattamento di giustizia: un primo, timido abbozzo della massima: “La Legge è Uguale per Tutti)......

 

Ora, grazie al grande globo luminoso che ancora esercita la sua benefica influenza, datrice di vita, attraverso i raggi, di cui tutti sentono lo splendore e il calore, qualcosa è cambiato in migliaia di anni....e non poteva essere altrimenti....migliaia di anni!!!

 

Andando alla storia, che evito di scrivere in geroglifico, anche se sono ben conscio della preparazione in materia, il povero Oasita si trova al cospetto del furbo Nemtynakht, che gli sequestra tutta la mercanzia e lo picchia. In questa parte del racconto, per la prima volta viene nominato il “Grande Soprintendente” (il Visir?). Riassumo una minima parte del racconto:

 

.L'Oasita si mise in cammino verso Sud, verso Neni-nesu e trovò il figlio di Meru, Rensj, che usciva dalla porta di casa, per scendere verso la sua chiatta da viaggio di servizio.....

 

Pertanto possiamo immaginare che Rensj svolgeva un servizio fisso, abituale, sicuramente accompagnato da uomini di scorta, dei gendarmi?. A proposito, il fatto che venisse chiamato il “figlio di Meru”, fa pensare ad un incarico tramandabile di padre in figlio.

 

.Quindi il Grande Soprintendente, denuncia questo Nemtynakht ai Magistrati . (che erano al suo fianco -??) ed essi dissero: “E' senza dubbio uno dei suoi oasiti che è andato a portare le merci da un altro suo vicino. Vedi, è ciò che essi hanno l'abitudine di fare contro i loro oasiti che vanno da altri, loro vicini! Ecco, è ciò che essi sono soliti fare. E' un errore che si punisca questo Nemtynakht a causa di un poco di natron e di un poco di salsola. Che gli sia ordinato di restituire ciò, ed egli lo restituirà.....

 

Ma il Grande Soprintendente mantiene il silenzio nei confronti del povero Oasita, affascinato dalla loquacità di quest'ultimo e dalla capacità nell'esporre in parole garbate ed accorate, le proprie istanze.

 

Il Grande Soprintendente si presentò davanti a Sua Maestà e disse: “Mio Signore, ho scoperto uno di questi oasiti dalla bella eloquenza, in verità. I suoi prodotti sono stati rubati ed ecco: è venuto per presentarmi una petizione a proposito di ciò”.

 

***

 

Insomma, la storia va avanti per diverso tempo, finché il povero contadino non viene addirittura premiato per questa sua capacità di difendersi con le parole e felicemente rimandato a casa:

 

Allora: 1) cittadino; 2) gendarmi addetti al controllo del territorio; 3) Grande Sovrintendente; 4) Faraone.

Questa potrebbe essere stata la struttura ai tempi della X Dinastia, in fondo molto semplice e lineare.

 

 

 

Lasciando da parte i racconti, sempre sull'amministrazione della Giustizia, Il Kemp, su Antico Egitto – Analisi di una Civiltà, da pag. 226 in poi, formula alcune interessanti considerazioni, facendo riferimento al ruolo di “Giudice” egiziano (attenzione, siamo alla XVIII Dinastia):

 

....i rapporti dell'Egitto con l'estero avevano una base politica, erano oggetto di accurati giudizi e interpretazioni e comportavano la discussione di varie situazioni in termini di questioni personali. Possiamo ritenere che gli Egiziani fossero degli esperti in questo campo. In primo luogo essi tendevano a scrivere lettere ai superiori, in toni di esagerata umiltà, non dissimile da quelli degli stranieri. In secondo luogo, il giudizio legale in Egitto (che non era affidato a giudici di professione, ma era probabilmente compito di chi deteneva una carica importante), anche se poteva far riferimento a dati conservati in archivio, consisteva sostanzialmente nel decidere tra testimoniuanze contrastanti e regolamentare comportamenti umani. Coloro che erano in grado di decidere in casi complicati di eredità fondiarie, risalenti a diverse generazioni addietro, avevano anche la capacità di leggere tra le righe della corrispondenza diplomatica.

 

Pertanto il livello di preparazione è molto più sofisticato. E sempre dal Kemp:”

 

....L'Impero portò in Egitto un nuovo militarismo. Nei periodi più antichi, si erano combattute guerre civili e conquistati paesi, sopratutto in Nubia.....tutta la documentazione indica che le guerre erano fatte da milizie addestrate per campagne particolari, talora rafforzate da guerrieri nubiani del deserto (i Megiay). L'armamento da battaglia rimaneva stranamente semplice: mazze e lance con la punta di selce fino al Medio Regno. Tutto ciò cambiò drasticamene nel Nuovo Regno. Posti di fronte alla necessità di combattere molto più seriamente contro gli eserciti bene equipaggiati dell' Asia occidentale, gli Egiziani ne presero in prestito tecnologia e tattica e sembra abbiano organizzato per la prima volta un esercito stabile di soldati e ufficiali in servizio permanente.......

..a causa della natura particolare dell'amministrazione egiziana, in sostanza un nucleo esteso di centri di attività potenzialmente rivali tra loro, non sembra che quanti svolgevano una “professione” si sentissero parte di un gruppo con interessi comuni e quindi, almeno potenzialmente, detentori di potere politico. Probabilmente anche la classe sacerdotale non costituiva un'eccezione; l'esercito, però poteva esserlo....

....Il militarismo, però, non era ben visto da tutta la società colta egiziana. L'esercito e l'imperatore, alla fin fine, dipendevano dall'amministrazione civile, dalle cui file provenivano anche persone di elevato potere politico. A scuola, per mezzo dei testi che servivano come modelli da copiare, si insegnava ai giovani scribi a disprezzare ogni professione, fuorché la propria. Questo giudizio era esteso anche alla carriera militare e ci si burlava dei soldati e degli ufficiali carristi che prestavano servizio all'estero.....

 

 

roberta.maat
00mercoledì 26 gennaio 2011 23:27
[SM=g999097] , e poi [SM=g1619698] ,un grazie alla maniera anglosassone.
-Kiya-
00giovedì 27 gennaio 2011 00:04
Nel testo di Clauss, "L'antico Egitto", Rensi viene indicato come "Sovrintendente ai beni demaniali della Residenza Reale", ma potrebbe trattarsi di un altro degli innumerevoli titoli che si accostavano all'incarico di Tjati, colui che per comodità definiamo anacronisticamente Vizir. Il fatto che Rensi si recò in udienza davanti al Re, potrebbe confermare questa ipotesi.
Quella del Tjati era una carica molto antica, che riscontriamo già durante l'Antico Regno, ed è lecito supporre che esistesse già precedentemente, seppur con diversa connotazione.
In quell'Epoca soltanto un componente della famiglia del Re poteva essere elevato a divenire il braccio destro del sovrano ed occupare la posizione che era al vertice della gerarchia burocratica, seconda solo a quella del Re. In tal senso, mi sorgono inevitabilmente interrogativi su Imhotep e le sue origini, tenuto conto che egli era il Tjati di Djoser, sovrano della III Dinastia.

Col passare del tempo, tuttavia, anche questo incarico fu soggetto a cambiamenti ed evoluzione, tanto che già durante la VI dinastia il legame con i componenti della famiglia Reale cominciò ad allentarsi. Durante il Medio Regno, intorno alla XII Dinastia, quando i Sovrani reagirono contro il potere dei Principi dei Distretti, sia le competenze che l'autorità della figura del Tjati aumentarono esponenzialmente. Una posizione di privilegio mantenuta fino alla XVIII Dinastia, quando gli incarichi, a causa della loro mole, dovettero essere ripartiti tra due figure: un Tjati in carica nell'Alto Egitto e un'altro nella zona del Delta.

Nel Nuovo Regno l'esclusiva riconosciuta a componenti della famiglia Reale venne definitivamente meno e qualunque scriba avesse saputo evidenziarsi per capacità, avrebbe potuto ambire al posto di Tjati. Si ritiene, inoltre, che l'incarico potesse essere assegnato anche a persone di origine straniera (è ciò che si ritiene fosse Aper-el, il tjati di Akhenaton, che - stando al nome - potrebbe aver avuto origini semitiche). E' probabile che per buona parte della storia Egizia la carica mantenne carattere ereditario e venisse tramandata di padre in figlio. E', almeno, quando si può dedurre dai rilievi funerari della tomba di Rechmira, Tjati del Sud sotto Thutmosi III e Amenhotep II, i quali ci riferiscono che suo nonno, suo zio e suo padre erano stati vizir, prima di lui.
Ancora Rechmira è testimone del grande orgoglio nutrito dal Tjati per la posizione che occupava. Lo denotiamo con chiarezza nelle sue parole:


"Io sono l'illustre, il secondo dopo il Re colui che è determinante nel tribunale di ambedue i compagni; uno che, nell'udienza privata, sta davanti; colui che è continuamente lodato; colui che è al di sopra delle parti nel giudizio sugli uomini.... Io fui chiamato di nuovo davanti al dio perfetto, il re dell'Alto e Basso Egitto(Thutmosi III).... Sua Maestà aprì la bocca e mi parlò... 'Tu devi agire in conformità di quello che io ti dico; allora la Maat riposerà al suo posto'... Io agii secondo i suoi ordini...".



Altri dettagli importanti emergono da questo testo, primo fra tutti l'importanza della Maat, principio che non incarnava soltanto l'equilibrio e l'ordine, ma anche la giustizia. E' la sua piuma infatti che spicca al collo del tjati, che era anche ritenuto "giudice supremo", a simbolo del dovere che doveva compiere in vece del Re. Egli era dunque a capo di un "Consiglio superiore" presso il quale si riunivano tutti coloro che volevano udienza. Sottoposti ad esso erano i "Consigli locali", dislocati nei vari distretti, a cui facevano capo dei funzionari amministrativi abilitati al ruolo di "arbitro" nelle controversie giudiziarie.


Esistevano dunque giudici ed esisteva il corrispettivo di un Tribunale. Esistevano leggi, che secondo il testo già citato erano stilate in forma scritta e comprendevano circa 40 rotoli di papiro. Esisteva la pena di morte, che veniva comminata a chi commetteva i reati più gravi, come ad esempio, le ruberie nelle tombe dei Re defunti. Ma esistevano anche le percosse, adottate come punizione nel caso che qualcuno non assolvesse al pagamento delle tasse, il lavoro forzato e le pene corporali.

Per quel che riguarda l'esercito e i militari, durante il regno di Horemheb un decreto si pronunciava a sfavore di chi commetteva delitti contro il popolo, stabilendo pene specifiche. Nei casi più gravi i colpevoli venivano banditi in una città di guarnigione, posta ai confini orientali del Paese, non prima che gli fosse tagliato il naso.


Il Re, dal canto suo, quale anello di congiunzione tra gli dei e gli uomini, era ritenuto il garante della Maat e, in quanto tale, era intoccabile.
Merytaton62
00giovedì 27 gennaio 2011 21:14
[SM=x1764359] Ringrazio sentitamente quanti hanno cercato di colmare questa mia lacuna! [SM=x822748] [SM=x822748]
emilioraffaele
00venerdì 28 gennaio 2011 18:45
Cara Mery, è il sottoscritto che ringrazia. A parte L'Oasita Eloquente di cui ricordavo, la restante parte l'ho appresa scartabellando affannosamente i libri in mio possesso e poi c'è sempre Kiya, che completa e riordina lo scaffale delle nostre idee, da buona Libraia (L maiuscola)...
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