Una caratteristica peculiare della Regina Nefertiti si è trasformata in un simbolo della Sovranità Egizia?
Tutti gli occhi erano puntati sulla Valle dei Re la mattina del 5 febbraio 2006, quando la nostra spedizione esaminò, in prima istanza, il sito oggi conosciuto come KV63, la prima tomba rinvenuta nella Valle dei Re dopo la scoperta della KV62, appartenente a Tutankhamon, avvenuta nel 1922 ad opera di Howard carter.
La speculazione della stampa, in riferimento alla natura del contenuto, fu sfrenata.
La nostra spedizione avrebbe finalmente trovato le mummie reali appartenenti alle donne della tarda XVIII dinastia, quale la Regina Nefertiti, ritenuta da alcuni la madre di Tutankhamon? O magari le sei principesse nate dal suo legame con Akhenaton, compresa la sposa di Tut, Ankhesenamon?
Le mummie di queste donne a tutt'oggi non sono ancora state trovate o individuate. Esse potrebbero essere state rimosse dalla capitale Akhetaton, quando un re successore del Rivoluzionario, probabilmente Tutankhamon, fece ritorno alla tradizionale Tebe, sita sull'opposta riva del Nilo rispetto alla Valle. Tutankhamon avrebbe pertanto potuto provvedere a riseppellirle in loco?
Dopo aver liberato la zona antestante l'accesso, al termine del pozzo, dalle pietre che ne ostruivano il passaggio, scrutammo all'interno attraverso la stretta apertura.
Riuscimmo a intravedere numerosi grandi vasi e parecchi sarcofagi lignei, alcuni dei quali con i visi dipinti di giallo.
La speculazione giornalistica era errata su tutti i fronti. Non trovammo alcuna mummia in nessuno dei 7 sarcofagi rinvenuti e nessuna iscrizione che potesse suggerirci a chi fossero destinati in origine.
Mentre esaminavamo i sarcofagi, scoprii - negli occhi dei volti di tre di essi - un intrigante collegamento con Nefertiti, la Regina il cui nome significa semplicemente "La Bella che è giunta".
Sebbene nessuno dei sarcofagi rivelò contenere i resti della Regina, gli occhi potrebbero raccontarci qualcosa di inatteso circa la sua celebrata bellezza. O forse poteva trattarsi dell'effetto di una sindrome genetica?
Se non una tomba reale, cos'era la KV63? I ritrovamenti comprendevano, oltre ai 7 sarcofagi, un piccolo cofanetto dorato, grandi vasi di alabastro, ghirlande di fiori, cuscini, natron e molte ceramiche.
La sensazione fu quella di trovarsi di fronte a un deposito di materiale per imbalsamatori, inutilizzato o salvato dalle tombe depredate, riservato a individui appartenenti ad un ceto elevato, ma non a una casata reale.
Anche se la KV 63 non ci ha reso le mummie di Nefertiti, Ankhesenamon e il resto, è comunque legata all’epoca di Tutankhamon. I sigilli rinvenuti là si accordano perfettamente con alcuni di quelli scoperti nella tomba di Tutankhamon, che , peraltro si trova nelle immediate vicinanze. La KV 63 dovrebbe, quindi, appartenere all’epoca di Re Tut, ma si ha incertezza a riguardo di un’eventuale associazione fra le due tombe. Forse sarà possibile ottenere maggiore certezza a riguardo dell’epoca di appartenenza dopo aver esaminato il contenuto delle restanti 16 giare, su 28 totali; giare che contiamo di aprire durante la stagione in corso.
Otto Schaden, direttore della nostra spedizione, mi chiese, in qualità di membro dello staff di indirizzo storico artistico, se fosse possibile trarre informazioni dai sarcofagi al fine di ridurre l’intervallo di tempo da contemplare, quale epoca di appartenenza dei medesimi. Iniziai col quarto sarcofago che presentava il volto dipinto di giallo. I sarcofagi della KV 63 risultarono quasi totalmente distrutti dalle termiti, ma i volti furono fortunatamente lavorati separatamente. Era infatti uso comune provvedere a coprirli con uno strato di intonaco o gesso, posto come base alla doratura o alla verniciatura (esattamente come nel caso della KV63). Sembrerebbe che le termiti prediligano il legno non trattato, pertanto i sarcofagi sono quasi totalmente consumati, ma il gesso dipinto dei volti si è salvato.
I canoni artistici del Vicino Oriente, compresi quelli Egizi, prevedevano che i soggetti femminili fossero generalmente rappresentati con la pelle più chiara rispetto a quelli maschili. Sulla base di tale criterio era ammissibile ipotizzare che i sarcofagi con il volto dipinto di giallo fossero approntati per delle donne?
Eravamo però in possesso di due sarcofagi simili, facenti già parte di collezioni museali, recanti iscrizioni riferite a defunti di sesso maschile. Inoltre, abbiamo ben presente un dipinto rinvenuto in una tomba Tebana (TT181) che illustra i sarcofagi di Nebamun e Ipuky, scultori sotto i Regni di Amenhotep III e di suo figlio Akhenaton, completamente neri, tranne nell’area relativa al volto, anche in questo caso giallo.
Di conseguenza si potrebbe invece ritenere che, piuttosto che per distinguere i sessi, tale convenzione fosse stata adottata per simulare la brillantezza dell’oro, riservato ai più ricchi.
In assenza di iscrizioni e con l’ambiguità legata ai volti dipinti di giallo, approfondii l’analisi, esaminando le altre caratteristiche, nel tentativo di individuare utili dettagli, come ad esempio la forma e i particolari dei visi. Fu allora che notai le forti similitudini che collegavano gli occhi rappresentati su ben tre sarcofagi , i quali riportarono alla mia mente quelli di Nefertiti.
Nefertiti ci è nota attraverso il famoso busto di Berlino, rinvenuto ad Amarna. Le sue origini non è ancora state comprovate, tuttavia molti egittologi ritengono potesse trattarsi di una delle figlie del potente cortigiano Ay, il quale succedette a Tutankhamon sul trono d’Egitto.
Tornando ai sarcofagi della KV 63, il volto di quello identificato come “A” si differenzia rispetto agli altri 3 con cui condivide la caratteristica del volto dipinto (“B”, “F” e “G”); presenta ,infatti, gli occhi bordati con vetro blu in forma consueta e tradizionale.
Sarcofago “A”
Ciò che accomuna invece gli occhi dei restanti tre sarcofagi, oltre al fatto che sono interamente dipinti, è che l’angolo interno – quello posto verso il naso – discende bruscamente, attribuendo al volto sembianze asiatiche.
Sarcofago “B”
Sarcofago “F”
Sarcofago “G”
Il busto di Nefertiti illustra questa forma dell’occhio assai meglio di qualsiasi descrizione:
Entrambi, sia l’occhio completo a destra, che l’orbita vuota sul lato sinistro, riprendono questa forma. Quale potrebbe essere il significato in essa celato?
L’arte del periodo Amarniano, all’epoca del Regno di Akhenaton e Nefertiti, ci è nota per i caratteristici dipinti che riproducevano la natura, con piante e animali, ma soprattutto per il realismo delle scene di quotidiana vita famigliare. In base a tale realismo potremmo ipotizzare che gli occhi di Nefertiti possano essere stati riprodotti per come effettivamente apparivano.
Una delle prime insolite apparizioni relativa agli occhi di Nefertiti si può individuare su una stele che mostra la famiglia reale, rinvenuta ad Amarna e attualmente esposta al Museo di Berlino. Un’iscrizione la daterebbe ad un’epoca compresa tra l’8° e il 12° anno di Regno di Akhenaton, o intorno al 1350 a.C. Sulla medesima gli occhi di Akhenaton sono rappresentati come di consueto, normali. Così non è per Nefertiti.
Ciò potrebbe lasciar presupporre che la stele riporti una condizione fisica reale.
Nefertiti potrebbe aver presentato quello che viene definito epicanto, una malformazione congenita della palpebra che consiste in una piega che copre l’angolo interno o esterno dell’occhio. Conformazione tipica degli asiatici. L’epicanto (o plica mongolica) non è però soltanto una caratteristica somatica delle genti asiatiche, può anche essere la conseguenza presentata da individui colpiti da un certo numero di sindromi differenti
[1], alcune delle quali presentano carattere genetico. Parte di esse sono debilitanti, altre meno, altre ancora si trasmettono esclusivamente di madre in figlia.
Attualmente si sta approfondendo in proposito, al fine da appurare se gli occhi di Nefertiti riflettono una tale condizione fisica di fondo, ma senza poterne esaminare i resti non può essere avanzata alcuna diagnosi attendibile. Inoltre c’è da tener conto che eventuali prove potrebbero essere andate distrutte col processo di mummificazione.
Se una caratteristica fisica di ordine genetico sta alla base di questa peculiarità, Nefertiti la tramandò alle sue figlie e questo venne forse registrato in forma artistica? Le immagini che riproducono Nefertiti mostrano sovente tale tratto e lo evidenziano assai più che in ogni altro ritratto Amarniano. Il team tedesco che operò in loco nel 1912 rinvenne molte rappresentazioni di Nefertiti e delle sue figlie tra i resti della bottega dello scultore Tuthmosi, compreso lo stesso famoso busto di Berlino. Molte di esse sono incomplete e riproducono varie fasi di lavorazione, ma torna facile notare gli occhi che le distinguono.
Dettaglio degli occhi del busto incompleto rinvenute nella bottega di Tuthmosi – Cairo Museum
Ciò è, in effetti, particolarmente evidente in un rilievo, che ora si trova esposto al Brooklyn Museum, che potrebbe riprodurre Meritaton, la figlia primogenita della Regina.
Ad oggi non è possibile escludere definitivamente che Nefertiti possa essere stata la madre di Tutankhamon. In caso affermativo, non deve sorprendere che sia stato rappresentato con gli occhi di forma similare ai suoi. Caratteristica che anche in tal caso è riscontrabile, ad esempio, nella scultura che riproduce il giovane Sovrano come nascente da un loto, rinvenuta nella Sua tomba.
Un’altra spiegazione logica a giustificare tale “comunanza” contempla che Tut non fosse figlio di Nefertiti, ma di un’altra donna appartenente alla famiglia reale, che gli trasmise tale caratteristica. E’ ancora possibile inoltre che Tut non presentasse tale peculiarità, se sua madre fosse stata un’altra donna o se l’ipotetica sindrome, come già detto, fosse trasmissibile esclusivamente di madre in figlia. Nell’uno o nell’altro caso, tuttavia, il giovane Re potrebbe essere stato così rappresentato comunque, semplicemente per continuazione artistica.
Se lo scultore Tuthmosi è da ritenersi responsabile della registrazione (ossia della rappresentazione particolare a cui ci stiamo riferendo) e quindi egli vada inteso come “iniziatore/creatore” di tale forma dell’occhio (per riprodurre la realtà), non è possibile escludere che abbia esteso tale caratteristica non solo a chi effettivamente ne fosse “colpito”, ma anche ad altri componenti della famiglia reale, quasi a volerne simboleggiare lo status e quale “marker” per poter distinguere le immagini dei sovrani e di alcuni nobili prescelti. Ciò giustificherebbe la medesima rappresentazione dell’occhio visibile anche su Amenhotep III, padre di Akhenaton, raffigurato in posizione rilassata accanto alla sua Teye su una stele rinvenuta ad Amarna e attualmente esposta al British Museum. Essa probabilmente fu scolpita successivamente alla morte del sovrano e la particolare forma dell’occhio forse serviva proprio a datarne l’esecuzione.
Riscontriamo ancora tale caratteristica durante la XIX dinastia, in rappresentazioni del faraone Seti I ad Abidos e di Nefertari, consorte di Ramesse II.
Tutto quanto finora illustrato ci riconduce alla KV63 e ai sarcofagi “nobili” in essa rinvenuti. Come i volti dipinti di giallo, a simulare la doratura, possiamo forse concludere che la particolare forma dell’occhio, propria di Nefertiti, fosse nient’altro che una convenzione adottata per sottolineare l’appartenenza reale?
Non è al momento possibile trarre delle conclusioni definitive, tuttavia pare possa esserci un’alta probabilità che Nefertiti fosse soggetta ad epicanto, o , quanto meno, la forma dei suoi occhi avesse questa particolarità del canto interno discendente. Certo una tale caratteristica non passò inosservata all’epoca e non possiamo escludere che fu ereditata dalla prole reale. Inoltre, nel culto solare promosso da Akhenaton e Nefertiti, essi erano gli unici attraverso i quali le preghiere potevano essere rivolte ad Aton, unici tramiti tra il dio del Sole e il popolo. Questa condizione divina , o semi-divina, potrebbe essersi tradotta in quella particolare forma oculare, trasformata in convenzione artistica e adottata poi da alti funzionari e successivi regnanti.