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Il Re: il cuore pulsante dell'Egitto

Ultimo Aggiornamento: 15/08/2011 15:11
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Sacerdotessa
di ATON
Thiatj

- ḥtm mr r ry.t '3.t
wts rn n ՚ḫ n itn,
S3t n m3't -
15/08/2011 12:44
 
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Il Re: il cuore pulsante delle Due Terre


"Salute a te, o KhaKhauRa, nostro Horo NeterKheperu
Che proteggi il Paese, che allarghi i suoi confini,
che pieghi i paesi stranieri con la tua corona,
che abbracci le Due Terre con le tue braccia,
che [sorreggi] i paesi stranieri con le tue spalle,
che massacri i Nove Archi senza colpire con la mazza,
che lanci la freccia senza tendere la corda.
[...]
Com'è grande il Signore della Sua Città!
E' da solo un milione, sono miserabili gli altri.
Com'è grande il Signore della Sua Citta'!
E' una diga che trattiene il fiume nei suoi straripamenti.
Com'è grande il Signore della Sua Città!
E' una sala fresca dove ognuno può dormire a mezzodì.
Com'è grande il Signore della Sua Città!
E' il muro che protegge Goscen.
Com'è grande il Signore della Sua Città!
E' L'asilo dove nessuno può essere inseguito.
Com'è grande il Signore della Sua Città!
E' il rifugio che salva il timoroso dal suo nemico.
Com'è grande il Signore della Sua Città!
E' l'ombra nella stagione dell'inondazione, è il bagno fresco in estate!
Com'è grande il Signore della Sua Città!
E' un angolo caldo e secco nella stagione d'inverno.
Com'è grande il Signore della Sua Città!
E' una montagna contro il vento, nel tempo della tempesta nel cielo.
Com'è grande il Signore della Sua Città!
E' Sekhmet contro i nemici che calpestano le sue frontiere."[1]



Circondato da un'elite che componeva il p't, ovvero la classe dirigente del Paese di cui facevano parte sacerdoti e nobili di alto rango, il Re stava al vertice dell'amministrazione civile, era il supremo Comandante dell'esercito e il Gran Sacerdote di ciascuna divinità del Regno. Ogni offerta veniva fatta in suo nome, per tramite di un sacerdote che agiva in sua vece.
Il Re era un "simbolo divino dotato di una realta' fisica e di una natura umana"', per usare le parole del Prof. Alessandro Roccati[2].Compito del Sovrano era quello di realizzare la Maat, ovvero garantire l'Ordine Universale stabilito al momento della Creazione, distruggendo Isfet, la controparte negativa nel rispetto di quella dualità che ha sempre caratterizzato il Credo Egizio. I suoi ruoli erano complementari, ognuno di essi contribuiva a costituire la metafora del corretto funzionamento del Cosmo.
Per un antico Egizio, Sovrano era sinonimo di Stato. Il Re occupava la posizione di tramite tra l'umano e il divino, posizione giustificata dalla radicata convinzione che Egli fosse il discendente di una stirpe divina, avente immagine divina e, quindi, essendo un dio a sua volta.
Si riteneva che il Sovrano fosse un'incarnazione di Horo, il dio-falco concepito da Aset (Iside) e Wsir (Osiride), dopo la morte di quest'ultimo, avvenuta per mano del fratello Seth. Il mito narra di come Horo sconfisse il proprio zio per vendicare il padre e guadagnare il suo legittimo posto sul trono delle Due Terre.

Per gran parte della storia Egizia il termine comunemente utilizzato per riferirsi al Sovrano era nsw, "Signore". Il titolo "Faraone" è, dunque, posteriore e ci è noto grazie ai testi Ebraici del Vecchio Testamento. Trae origine dall'egizio pr-'3 (per-aa) che significa "la Grande Casa", una designazione del Palazzo, della "Regalità Sacra", che entrò per la prima volta in uso, come identificativo dell'istituzione Reale, durante la XVIII Dinastia, divenendo etichetta per il Sovrano soltanto nei secoli a seguire.
A partire dal tardo Antico Regno, tuttavia, ogni monarca possedeva cinque nomi che costituivano la sua Titolatura e che erano definiti rn wr (ren ur), "Grandi Nomi". Di questi, il primo era ḥr (heru), il "Nome-Horo", inscritto originariamente (Periodo Arcaico) all'interno di un segno che rappresentava la facciata di un palazzo. Si trattava del Serekh, sormontato dal falco Horo, patrono della Monarchia.


Serkh di Re Djer
Il secondo nome era il Nebty, "Le Due Signore", che associava il Re alle due divinità tutelari dell'Alto e del Basso Egitto. Il terzo era "Horo-d'oro", ovvero bik-nbw (bik-nebu), sul cui significato si sta tutt'oggi dibattendo.
Durante i primi secoli di storia Egizia il principale mezzo di designazione del Re era il suo "Nome-Horo".
I tre nomi esaminati finora, tuttavia, furono quelli meno utilizzati a beneficio dei restanti due, i quali divennero consuetudine - ossia la maniera abituale di nominare uno specifico Re - sia in via formale che informale. Entrambe questi nomi avevano la prerogativa di essere contenuti in quello che noi oggi usiamo definire "cartiglio". Gli Egizi lo chiamavano Snw (shenu) e si tratta del segno costituito da una doppia corda chiusa su sé stessa, a circondarne simbolicamente il dominio.
Il primo dei due nomi racchiusi nel cartiglio è oggi indicato come "Prenomen", l'antico nsw-bity (nesu-biti), convenzionalmente reso con "Il Re dell'Alto e Basso Egitto", ma più correttamente traducibile con "Il Re duplice". Talvolta nsw-bity era sostituito da nb-tawy (neb-taui), "Il Signore delle Due Terre", in riferimento alla Valle e al Delta del Nilo. Come i precedenti tre, il "Prenomen" veniva composto al momento dell'incoronazione e, pressoché invariabilmente fin dalla sua comparsa, incorporava il nome della divinità solare, (Ra).
In ultimo vi era il "Nomen", originariamente S3-Rˁ (Sa-Ra), "Figlio di Ra", oppure nb-x'w (neb khau), "Signore delle apparizioni". Abitualmente si trattava del nome assegnato al momento della nascita (tranne per alcune eccezioni in cui questo venne modificato), al quale – specie in Epoca Tarda - era usuale associare epiteti formali quali "Amato da Amon", mry-imn (meri-imen), oppure "Dio e Capo di Tebe", nTr-hk3-w3st (neter-heka-uaset).


Fig. 1 - Il Serekh di Re Djer (Re Serpente), I Dinastia
Prov. Abydos, Museo del Louvre (Cat. E11007)




Titolatura completa di Re Amenemhat III (Medio Regno, XIII Dinastia
Titolo e nomeTraslitterazione (lettura)Traduzione
G5O29G30
ḥr a bawHoro "Grande di manifestazioni"'
G16V15F44N16
N16
nbty iti iwa ta wy (nebti iti iua taui)Le Due Signore "Colui che afferra le Due Terre"
G8V29S34
bik nbw wah ankh (bik nebu ua' ankh)Horo d'Oro "Eterno di vita"
sw
t
bit
t
<
N5N35C10
>
nsw bity n m3ˁ t rˁ (nesu biti nemaatRa)Re dell'Alto e Basso Egitto "Colui a cui appartiene la Maat di Ra"
SPACE<
M17Y5
N35
G17F4
X1
>
s3 Rˁ i mn m h3 t (sa Ra Imenemhat)Figlio di Ra "Amon è in testa"

Fig. 2 - Esempio di Titolatura Reale completa


Il "Nomen" è il favorito dagli studiosi moderni per riferirsi a un Re in forma individuale. Per non generare confusione è stata adottata la convenzione di introdurre la numerazione progressiva, nei casi di frequente omonimia. Un problema che nell'antichità non sussisteva, poiché i Sovrani venivano nominati per mezzo del loro "Prenomen" e del loro "Nomen". Assai raramente, infatti, accadeva che si ripetesse la medesima combinazione dei due per sovrani differenti.
Poiché nella scrittura Egizia non erano previste vocali, la traslitterazione[3] e la pronuncia dei nomi presentano non pochi problemi. Anche in questo caso sono state adottate convenzioni moderne che ne consentano una trascrizione e una pronuncia accettabili. Il problema è stato in buona parte risolto adottando l'introduzione della vocale 'e', come intercalare fra le consonanti. Il più delle volte, poi, si opta per utilizzare la trascrizione dal Greco (ad esempio Dhwty-ms diventa Tuthmosis, ma può anche divenire Tuthmose, laddove si favorisca la presunta pronuncia originale).
La maggior parte delle trascrizioni Greche dei nomi dei Sovrani Egizi sono giunte fino a noi grazie all'opera dello storico e sacerdote Manetone, il quale si premurò di redigere una "Storia Egizia" intorno al 300 a.C. . Purtroppo non ne possediamo una copia integrale, ma è stato possibile ricostruirne parte del contenuto attingendo agli scritti di autori postumi. A Manetone dobbiamo anche la suddivisione dei Sovrani d'Egitto in trenta Dinastie. Un sistema non scevro da problemi, ma pur sempre privilegiato dagli studiosi moderni.
Le Dinastie Egizie vengono abitualmente raggruppate in "Periodi" e "Regni", corrispondenti a distinte fasi politiche del Paese o alla sua evoluzione culturale.

Possiamo ragionevolmente affermare che la Monarchia Egizia mantenne la sua forma pressocché immutata lungo tre millenni di storia. Tuttavia, è altrettanto vero che con lo scorrere del tempo fu soggetta a un certo numero di modificazioni, pur mantenendo saldi i suoi principi fondamentali. Il concetto di fondo era la natura divina del Sovrano, ma i modi con cui questa venne esplicitata variarono considerevolmente. Alcuni Sovrani si limitarono semplicemente a "comunicarlo" tramite frasi stereotipate e motivi riprodotti sui loro monumenti. Altri, invece, preferirono ostentare l'uno piuttosto che l'altro aspetto divino arrivando persino a compiere offerte a sé stessi, come nel caso di Amenhotep III.

Da incarnazione di Horo, mentre era in vita, il Re diveniva un Wsir (Osiride) al momento del trapasso. Il trono d'Egitto passava così al suo erede, che doveva succedergli nel tempo limite dei 70 giorni necessari per la sua inumazione. Era questo, secondo Erodoto, il tempo necessario per preparare il corpo del Re all'esistenza che lo attendeva, affinche' potesse restare integro, grazie all'imbalsamazione, e garantire al suo proprietario la vita eterna tra le divinità. Se il Paese fosse rimasto sprovvisto di un Re per un tempo superiore, Isfet avrebbe avuto la meglio su Maat e il mondo sarebbe ricaduto nel suo caos primordiale.

La successione al trono era regolata da presupposti specifici: essenzialmente il Principe Ereditario era colui che per primo fosse nato dal Sovrano Regnante e dalla sua Sposa principale. In caso di morte precoce del primogenito, vi subentrava il secondogenito. Qualora la Grande Sposa Reale non avesse avuto la fortuna di dare alla luce un maschio, sarebbe stato incoronato il figlio più grande avuto da una Sposa secondaria, la quale assumeva il titolo principale, spodestando la prima, oltre a quello di "Madre del Dio".
Una consuetudine che potrebbe aver avuto particolare rilevanza in termini di successione lascia tutt'oggi molto perplessi, in quanto difficile da comprendere per menti come le nostre, influenzate dalla modernità. Si tratta della pratica dei matrimoni fra consanguinei, tra il Sovrano in carica e una delle sue sorelle o, anche, una delle sue figlie. Un atto che non ha alcun che di anomalo in una società basata sul culto di divinità generate dallo stesso padre e legate fra loro, come fu per Aset e Wsir, capostipiti della Regalità.
Il matrimonio fra consanguinei e il successivo riconoscimento del loro primogenito maschio quale Principe Ereditario, ha indotto alcuni studiosi a ritenere che fosse questa una pratica usuale e che un eventuale erede nato dal Re e da una sposa non consanguinea, forse anche di origini 'comuni' (non Reali), potesse essere ritenuto illegittimo, anche a posteriori. Secondo alcuni sarebbe proprio questo il motivo a monte della cancellazione di alcuni Sovrani e dei loro familiari dalle Liste Reali (come avvenne, ad esempio per Amenhotep IV/Akhenaton). Una teoria che negli ultimi decenni sarebbe però stata smentita, adducendo la scarsa incidenza dei matrimoni fra consanguinei in rapporto all'alto numero di matrimoni contratti con Spose di origini non Reali e sovente anche straniere, che diedero alla luce i futuri sovrani d'Egitto, specie durante la XVIII Dinastia.
Se la madre del nuovo Re non possedeva sangue Reale, quest'ultimo poteva ricorrere ad alcuni "espedienti" che ne avrebbero legittimato la posizione e grazie ai quali il trasferimento dell'essenza divina non poteva essere messo in discussione: il tema della "nascita divina" - adottato, ad esempio, da Hatshepsut, Amenhotep III e Ramesse II - secondo il quale era il Dio in persona a incarnarsi nel corpo del Re e a giacere con la sua Sposa al momento del concepimento, o il riconoscimento e l'investitura da parte di una divinità - come nel caso di Tuthmose III e IV.
Il problema della successione, in alcuni casi, fu risolto dal Sovrano Regnante, che aveva facoltà di ricorrere alla cosiddetta "co-reggenza", ovvero alla nomina di colui che gli avrebbe succeduto, mentre ancora era in vita. L'applicazione della "co-reggenza" comportava che vi fossero due Sovrani a regnare simultaneamente sulle Due Terre, con medesimi poteri e medesime sfere di competenza, presumibilmente stanziati con le loro corti in differenti città. Tale pratica dovette risultare particolarmente utile nel caso di Sovrani che non ebbero figli maschi a cui passare in modo legittimo la Corona del Paese, ma vi sono riscontri della sua applicazione anche in altre occasioni, pur in presenza di discendenza diretta. Così facendo il Re in carica rendeva scontata la sua successione, favorendo il candidato prescelto e scongiurando i problemi che, con un trono vacante, si sarebbero abbattuti sul Paese.

Con la Cerimonia di Incoronazione del nuovo Re, una nuova era cominciava per Kemet[4], il calendario veniva azzerato e il computo degli anni ricominciava. Purtroppo non possediamo testi antichi che descrivano questa celebrazione, ciò che sappiamo lo si "legge" sui rilievi che adornano le pareti templari dai quali si evince che il Re entrava di diritto a far parte della sfera celeste, mentre Horo e Seth gli conferivano rispettivamente la Corona Rossa (deshret) S3 e quella Bianca (hedjet) S1 del Basso e dell'Alto Egitto. Soltanto dopo aver indossato la Doppia Corona (pschent) S5 e dopo aver ricevuto il simbolo Sma (shema') Sma da Wadjet e Nekhbet, il Cobra e l'Avvoltoio assunti a divinità tutelari del Nord e del Sud, il Re poteva essere proclamato "Signore delle Due Terre". Per prenderne possesso, il nuovo Regnante doveva essere rappresentato mentre eseguiva una corsa simbolica intorno al "Muro Bianco", ovvero le mura della città di Menfi. Al termine del rituale il dio Amon[5] abbracciava il Re, mentre Seshat e Thot (patroni della scrittura) ne incidevano il nome sulle foglie del sacro albero ished, quale augurio di un regno che durasse in eterno.
L'incoronazione del nuovo Re ripristinava l'Ordine primordiale, la Maat era compiuta e le Due Terre tornavano ad essere teatro della Creazione ancora una volta.
I sovrani dell'Egitto festeggiavano ogni anno la ricorrenza della loro Incoronazione, ma soltanto dopo il 30° anno, a cadenza triennale, poteva avere luogo la Celebrazione Heb-Sed, il Giubileo Reale, un rinnovamento rituale delle forze del Re, le cui origini vanno ricercate in Epoca Predinastica.



Kiya (Maria Sansalone) - Tutti i diritti riservati








Note:
[1] Frammenti tratti dall'Inno a Sesostri III. Un tipico esempio di testo di devozione lealista, rinvenuto su papiro a Illhaun, da Sir Fliender Petrie. L'Inno fu scritto in occasione dell'arrivo del Re, poco tempo dopo la sua investitura regale, in una città a sud di Menfi, forse sua residenza (cfr. "Letteratura e poesia dell'antico Egitto", Edda Bresciani – Ed. Einaudi, 1999 pag.212).
[2] Tratto dalla Presentazione del Prof. Alessandro Roccati al testo "Il Faraone", Alessia Amenta – Salerno Editrice, 2006 pag. 7
[3] Traslitterazione: processo di conversione dai geroglifici (o dai loro equivalenti ieratici e demotici) a simboli alfabetici che li rappresentano.
[4] "La [Terra] Nera", il nome con cui gli antichi Egizi si riferivano al loro Paese.
[5] La descrizione della Cerimonia si riferisce a rappresentazioni risalenti al Nuovo Regno, a Tebe.



Fonti bibliografiche consultate:
- "The complete Royal families of Ancient Egypt", Aidan Dodson/Dyan Hilton – Thames & Hudson, 2010
- "Il Faraone. Uomo, Sacerdote, Dio", Alessia Amenta – Salerno Editrice, 2006
- "The Oxford history of Ancient Egypt", Ian Shaw – Oxford University Press, 2003
- "Dizionario enciclopedico dell'Antico Egitto e delle civiltà Nubiane", Maurizio Damiano-Appia – Mondadori, 1996
- "Letteratura e poesia dell'antico Egitto", Edda Bresciani – Ed. Einaudi, 1999


[Modificato da -Kiya- 15/08/2011 15:11]
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