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Storia e Mnemostoria dell'Antico Egitto, ossia la storia per come recepita, nel tentativo di comprendere la storia per come stata.
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L'arte della Scultura Egizia

Ultimo Aggiornamento: 30/04/2011 18:02
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EgiTToPhiLo/a
Suddito
16/04/2011 03:27
 
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Completamente d'accordo con i concetti espressi fino ad ora.
Benchè di statuaria egizia io non conosca molto (perlomeno in maniera approfondita e organica) ho sempre pensato che quella che Merytaton definifisce rigida e statica sia da considerare unicamente la statuaria "ufficiale" , pressochè quasi sempre fedele ad un preciso canone artistico.
Al di sotto di questa invece, bellissimo esempio la birraia di cui sopra, mi piace pensare sia esistita una scultura più popolare e variegata (come i diorami della tomba di Kemhotep per intenderci, che di statuaria forse hanno ben poco, oppure le statuine di Bes, che si trovano in molte forme diverse).
E credo che questa doppia corrente sia da trovare in ogni campo dell' arte egizia, anche nella pittura. La splendida scena della caccia sulla barca di Nebamun o la volta della tomba di Sennefer non avremmo mai potuto vederle in una tomba reale credo.

Visto che avete postato una statua che vi colpisce, mi aggiungo anche io:



Ps. Scusate l' OT dei dipinti, ma era per rendere l'idea del mio concetto.
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Sacerdotessa
di ATON
Thiatj

- ḥtm mr r ry.t '3.t
wts rn n ՚ḫ n itn,
S3t n m3't -
16/04/2011 16:17
 
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La mia preferita..... :)
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Scriba
30/04/2011 18:02
 
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Sto proseguendo nella lettura del libro Antico Egitto di Barry Kemp, che trovo scritto e tradotto molto bene, eccezionalmente interessante e pieno di informazioni nuove per me. Le considerazioni sono esposte con continuità e sono molto condivisibili. Credo che stia diventando difficile reperire il libro in commercio, pertanto, sperando di fare cosa gradita ai più, riporto ancora una volta alcune sue considerazioni sul modo di comprendere la cultura visiva formale egiziana – dell'architettura come dell'arte – e della notevole omogeineità, durata tremila anni, che risiede nel concetto di “tipo ideale”.

 

Nel secondo capitolo, si approfondisce il concetto di “dinamica della cultura” e si formula l'ipotesi che la ”grande cultura” - quella tramandabile – non è stata una creazione spontanea dell'uomo comune. La grande cultura ha origine e si rafforza nelle corti. Essa richiede un patrocinio e organizzazione del lavoro. Ricchezza grandiosità, splendore, abilità artistica e innovazioni intellettuali fanno parte degli strumenti del potere. Una grande tradizione, quando è formalmente stabilita e stabile, può avere un'influenza percepibile in tutti gli strati della società. Ma per raggiungere questo livello, deve svilupparsi a spese di altre tradizioni; deve colonizzare le menti della nazione. Ciò che non soccombe, diventa cultura popolare. La cultura dell'Antico Egitto è tra le più antiche grandi tradizioni culturali del mondo.

 

All'inizio essa aveva un fine piuttosto ristretto: gli oggetti erano di piccole dimeensioni e, probabilmente, anche di numero assai limitato. Essi esprimevano le aspirazionidi una nuova generazione di signori, nonché gli inizi del tentativo di sistematizzare la religione.

 

I sovrani della I dinastia girarono forse un interruttore culturale che immediatamente illuminò tutto il paese. Esisteva la volontà, o i mezzi, o anche l'interesse a convertire tutta la nazione a tale prospettiva intellettuale? Per rispondere a questa domanda, bisogna cercare di capire come la cultura di corte si sia espansa a detrimento di altre tradizioni locali e considerare non soltanto le più antiche opere d'arte, ma anche tutta quella documentazione archeologica generale in cui si possono trovare tracce di “cultura popolare”.Convenzionalmente lo storico dell'arte ignora questo sistema. Egli seleziona i pezzi migliori e trova che questo materiale, proveniente per lo più da necropoli d'elite, gli fornisce la documentazione di uno sviluppo continuato, in cui è anche preminente l'omogeneità geografica.

 

Dai tempi preistorici , si può seguire una linea ininterrotta di progresso, partendo dalle culture tardopredinastiche dell'Alto Egitto, passando per il periodo protodinastico e terminando con la piena fioritura della cultura faraonica dell'Antico Regno. Le realizzazioni artistiche del tardo Predinastico ci giungono come una serie di oggetti isolati, di piccole dimensioni e di espressione individuale. Prodotto culminante è la Tavolozza di Narmer. Da questa fase di crande creatività emerse un'arte visiva accademica che, con grande successo, ha influenzato il moderno apprezzamento nei riguardi dell'Antico Egitto.

 

Quanto esposto dall'autore, trova piena conferma nelle pagine successive, specie quando si racconta dei ritrovamenti archeologici presso Coptos, sito a 38 Km a nord.est di Tebe. Flinders Petrie portò alla luce l'area templare nel 1894, rivelando i diversi interventi tecnici apportati nel corso dei secoli dai Faraoni succedutisi. Purtroppo non fu rinvenuta alcuna traccia di architettura più antica. Ma nel terreno sotto ed intorno al tempio, Petrie scoprì una serie di figurine, in pietra o in scadente terracotta, che si debbono considerare prodotto di un'altra tradizione locale preformale di offerte votive. Gli oggetti più importanti, sono i frammenti di tre statue colossali di uno o più dei della fertilità, che impugnano un bastone ligneo, o un oggetto simile (ora perduto), in una mano e nell'altra il pene eretto (scolpito separatamente in pietra ed anch'esso perduto). L'altezza originale delle statue sarebbe di 4,1 metri, il che implica un peso di circa 2 tonnellate. Le immagini recano solo un'alta cintura e presentano sul lato destro, una serie di simboli in rilievo, su un pannello leggermente rialzato. Questi ultimi comprendono una strana varietà di figure: una testa di cervo; conchiglie pteroceras; il cosiddetto fulmine, emblema del dio Min, issato su un palo; un elefante; una iena e un toro, entrambi con le zampe posate su colline.

 

Se usiamo l'arte faraonica come metro su cui misurare queste statue, esse ci appaiono estremamente bizzarre e primitive. La testa rasata, il volto pesantemente barbato e l'alta cintura a pieghe, appartengono ad una tradizione diversa da quella faraonica. Le proporzioni appaiono sbagliate, come se la statua avesse la forma allungata di un cilindro leggermente schiacciato. Anche la serie di segni incisi sui fianchi appartiene ad un vocabolario simbolico differente, per la maggior parte, da quello che affiora nella scrittura geroglifica e nell'arte di corte. La tecnica di esecuzione deve aver compreso piccoli lavori secondari, per lisciare le irregolarità lasciate dal martellamento usato nelle fabbriche delle statue, anche se la superficie rovinata le fa apparire oggi assai più rozze di quanto dovessero essere all'origine. Eppure, a modo loro, esse comunicano una forte impressione e costituivano, per i loro creatori ed ammiratori, un motivo di soddisfazione emozionale ed estetica assai diversi da quelli che procuravano le opere analoghe contemporanee e successive visibili alla corte dei faraoni.

 

Il caso delle statue colossali, rappresenta il modo in cui gli argomenti scientifici spesso si auto cancellano. Se vengono considerate da un punto di vista storico-artistico, è difficile collocarle dopo gli inzi della I dinastia, semplicemente perché la serie di opere scultoree databili a un'epoca più tarda, è tutta in stile faraonico. Possiamo anche osservare un dato stilistico particolare: il modo schematico di rappresentazione del ginocchio ha un parallelo nella Tavolozza di Narmer, anche se la sottolineatura delle gambe e della muscolatura del ginocchio, si trova ancora, per esempio, nei pannelli del re Gioser della III dinastia dalla piramide a gradini. Tuttavia le statue di Coptos non sono soltanto opere d'arte, sono anche grandi massi di pietra, portati da distanze notevoli; se poi le consideriamo dal punto di vista della storia della tecnologia della pietra in Egitto, dobbiamo attendere fino alla fine della II dinastia per trovare paralleli di opere di estrazione e lavorazione della pietra su scala tanto ampia. Possiamo controbattere questo argomento, citando il caso ben noto dei colossi di Pasqua nell'Oceano Pacifico, cavati ed eretti da genti la cui tecnologia e la cui organizzazione non differivano molto da quelle del tardo Predinastico egizio.

 

Elemento fondamentale è la volontà di compiere l'opera: la tecnologia semplice e lo sforzo comune fanno il resto. Proprio come sono oggetti eccezionali per noi i colossi di Coptos, dovetterlo esserlo per i loro creatori. Anche se poniamo il momento della loro creazione verso l'inizio del Protodinastico, risolviamo solo parzialmente il problema. Dovremmo infatti anche sapere per quanto tempo le statue furono oggetto accettato di venerazione. L'atmosfera conservatrice dei templi locali dell'Alto Egitto, a giudicare dalla documentazione archeologica, potrebbe averle mantenute in carica, fino a quando un editto regale ne ordinò la sostituzione. Il contrasto stilistico era spiegabile mediante la diffusa sopravvivenza, continuata a lungo, nel popolo, di un'arte primitiva indigena , accanto ad un'arte ufficiale, l'arte dei padroni in via di sviluppo, introdotta dal piccolo gruppo di invasori originari dell'Egitto Faraonico, che si pensava avessero portato con sé le idee essenziali dell'antica Civiltà Egiziana. Anche se la teoria dell'invasione, formulata dal Capart, non trova molto consenso, essa conferì, per lo meno, a questo materiale un peso , in, seguito comunque perduto. L'approccio strettamente formale al disegno, che consideriamo faraonico in tutta la sua essenza e che sostituì le creazioni più intuitive e meno disciplinate del Predinastico, arrivò lentamente in alcuni angoli provinciali dell'Egitto dinastico.

 

I motivi del lento e frammentario processo di trasformazione possono certo aver avuto, come concausa, limitazione nei beni della corte., per lungo tempo concentrata sulla costruzione delle piramidi e dei cimiteri dei cortigiani; inoltre la creazione di una nuova immagine divina era un atto di estrema importanza, tanto che casi singoli erano solennemente registrati negli antichi annali come uno dei pochi avvenimenti significativi di un determinato anno di regno. Un altro motivo fu certo, il grande lasso di tempo. Il periodo dinastico deve essere iniziato intorno al 3100 a.C, l'Antico Regno terminò intorno al 2160 a C.. In alcuni siti, il perido interessato durò circa un millennio, Il che significa che, per circa un terzo della sua storia, l'Egitto faraonico fu un paese con due culture.

 

La chiave per la comprensione della cultura visiva formale egiziana e della sua notevole omogeneità durante tremila anni, risiede nel concetto di “tipo ideale”. Questa è una caratteristica universale della mente umana. Tutti noi abbiamo un'immagine, nei termini della nostra esperienza culturale, di quello che, ad esempio, dovrebbe essere un re, o una dimora gradevole, ovvero un luogo adatto al culto. Il modernismo nell'arte e nell'architettura è stato orientato verso la distruzione dei tipi ideali e verso ila dimostrazione che nell'immaginario non devono esistere stereotipi. Nell'Islam troviamo un tentativo differente di annullare gli stereotipi. Dio non deve essere mai raffigurato e lo si deve evocare ripetendo un'infinità di nomi. Gli egiziani si trovavano all'estremo opposto. Il tipo ideale, l'immagine di ciò che costituiva la forma perfetta, era innalzato ai più alti fastigi del desiderio intellettuale ed estetico, era un ideale che, nella corte, si auto perpetuava, selezionando e promuovendo automaticamente quegli artisti in possesso di un'attitudine naturale ad assorbire nella propria coscienza creativa, la serie di tipi ideali ed anche della capacità di tradurli nello stile grafico preciso, tanto apprezzato. Si tratta di quella combinazione di attitudine mentale e di abilità che, nel mondo moderno, va per la maggiore nell'arte commerciale.

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