Storia e Mnemostoria dell'Antico Egitto, ossia la storia per come recepita, nel tentativo di comprendere la storia per come stata.
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Canfora insiste: "Il Papiro di Artemidoro è un falso".

Ultimo Aggiornamento: 20/01/2010 13:29
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12/05/2009 15:12
 
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Del Papiro ne parlammo ampiamente a suo tempo, qui:

Il Papiro di Artemidoro

e introducemmo anche la questione relativa alla sua origine.

Con un articolo pubblicato su "Il Corriere della Sera" qualche settimana fa, Luciano Canfora riapre l'argomento, adducendo non una, bensì due ulteriori prove a favore della tesi di falsità.

L'autore riporta i contenuti di due scritti, ripspettivamente di Giambattista D’Alessio (King’s College Lon­don) e Federico Condello (Bologna, Filologia Classica), i quali dimostrerebbero l'impossibilità di attribuire ad Artemidoro il papiro in questione.


A seguire riporto quanto si legge dall'articolo, pubblicato lo scorso 29 aprile sul quotidiano:


D’Alessio sintetizza così il risultato della sua indagi­ne: «Si trattava di sezioni autonome. La prima rielabo­rava un estratto di Artemidoro. La seconda era una 'lo­de della geografia' e non c’è nessun motivo di pensare che debba trattarsi di Artemidoro: si tratterà di un au­tore più tardo, più goffo e involuto. Quale fosse stata l’iniziale funzione del rotolo resta largamente da spie­gare». E poco prima prospetta l’ipotesi di «un falsario più recente». Condello, per parte sua, spiega che di falso è lecito parlare di fronte a questo stralunato prodotto, anche perché vulnerabile, come Condello dimostra, per i molti anacronismi (non ultimo il fatto che il vero Arte­midoro aveva visto della Spagna atlantica molto meno di quel che presenta l’autore del falso papiro).

Ci son voluti circa tre anni perché la verità e il buon senso si facessero strada. Ora che dal mondo anglosassone, di norma così prudente, viene un chiaro segnale intorno all’impossibilità di attribuire ad Artemidoro lo strano oggetto, è giovevole, sul piano del metodo, ripercorrere molto sommariamente questa istruttiva vicenda.

Al principio ci furono veri e propri errori di fatto, che si spiegano solo in parte con la fretta. Ma non mancarono nemmeno momenti divertenti, come quando all’ostinato rifiuto di prendere atto che porzioni del testo presente sul papiro altro non sono che brani di un autore molto tardo, quale Marciano di Eraclea (che, vissuto vari secoli dopo Artemidoro, ne aveva fatto un riassunto), tenne dietro una disinvolta piroetta, consistente nel dire «ma è ovvio, quello è Marciano!». Fu battuta anche la strada chimica per dimostrare l’ovvio: che cioè il supporto (il papiro) su cui è scritto il testo è antico, anzi del I secolo a. C. o al più del I d. C. Strada suicida: come avrebbe potuto un testo del tempo, mettiamo, di Costantino (o addirittura di Giustiniano) trovarsi su di un supporto di quattro secoli prima? Come trovare una poesia del Manzoni su di un quaderno appartenuto al Petrarca. Fu anche prospettata, alla fine del 2007, una ipotesi che poteva aspirare ad essere salvifica: che cioè lo stralunato papiro contenga un coacervo di estratti. Lo prospettò Bärbel Kramer alla fine del 2007. Ma fu per così dire «azzittita» e indotta, come si diceva in un tempo ormai lontano, all’autocritica, nel quadro della triste festa berlinese dello scorso 13 marzo 2008. Ora il D’Alessio in sostanza ripropone siffatta ipotesi: essa scardina la possibilità stessa di attribuire il tutto all’innocente Artemidoro. E magari, maturatisi i tempi, avrà un qualche seguito tra gli antichi «credenti», non più ancorati all’antico errore.

Nel frattempo Maurizio Calvesi segnalò una fonte certa di codesta «lode della geografia» che taluno, all’epoca, voleva far passare per «lingua asiana» (sic!): ed è una fonte del secolo XIX. Anche questo, del Calvesi, è un contributo che non potrà essere rimosso alla leggera. Tanto più ora che la fede degli antichi «credenti» è scossa irrimediabilmente. Così va il mondo. In certo senso per fortuna. Non diceva forse il grande Tucidide che «la ricerca della verità» è faticosa? In questa stessa pagina il lettore può trovare un notevolissimo contributo in tal senso.

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14/05/2009 00:02
 
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L'argomento è stato trattato nell'odierna puntata di Voyager.

Dieci minuti circa, in cui, durante l'intervista messa in onda, il prof. Canfora spiega le ragioni per cui ritiene che il papiro sia un falso, nonostante le analisi al C-14, ed altre eseguite sul reperto, ne abbiano confermato l'originalità.
Il supporto, in effetti, risulterebbe antico e corrispondente all'epoca di Artemidoro, ma finora non sono stati eseguiti studi a carico dell'inchiostro utilizzato. Alcuni disegni, inoltre risulterebbero di concezione ben più recente, non avendo nulla a che vedere, tanto meno riscontri, con l'epoca in questione.
Il verdetto, secondo Canfora, è soltanto uno: il papiro sarebbe un falso eseguito con grande maestria, come giustificherebbero gli evidenti e numerosi elementi anacronistici (compreso lo stile di greco utilizzato). E l'autore della beffa avrebbe un nome: Costantino Simonidis, un calligrafo greco della metà dell'Ottocento, autore di un certo numero di falsi che ingannarono numerosi studiosi della sua epoca. Simonidis, infatti, oltre che un'elevata capacità nel disegno e nella scrittura, possedeva un profondo interesse per la geografia antica.
[Modificato da -Kiya- 14/05/2009 00:03]
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20/01/2010 13:29
 
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Giallo Artemidoro la polizia indaga

"Perplessità fortissime
sull'autenticità del Papiro"

E’ una foto. Raffigura un’immagine che sembra quasi un’opera d’arte contemporanea: il «Konvolut», l’ammasso papiraceo di poco più di 30 centimetri, il bozzolo da cui si è dipanata la più clamorosa querelle nella storia degli studi papirologici. Secondo i sostenitori della sua autenticità, da qui proviene il Papiro di Artemidoro. Non è di questa opinione Silio Bozzi, dirigente della Polizia Scientifica, da anni noto per l’applicazione delle più sofisticate tecnologie d’indagine non solo all’ambito criminologico ma anche a quello dei beni culturali.

Interessatosi al caso del Papiro di Artemidoro con la lucidità di chi è per mestiere super partes, Bozzi è partito proprio dai suoi elementi visibili nella foto del Konvolut e ha rivelato incoerenze inquietanti tra quest’immagine e quella del Papiro disteso. «Alla mancanza di coerenza prospettica e dimensionale di altri elementi, in particolare della zampa della giraffa, radicalmente diversa dal corrispondente disegno del Papiro, si aggiunge nell’unica foto, peraltro chiaramente scontornata, l’incongruenza clamorosa del sistema di luci e ombre».

Questo Konvolut corredato di scritture e disegni potrebbe dunque non essere mai esistito come entità fisica, e l’immagine essere un sofisticato fotomontaggio? «Sì, moltissimi elementi fanno pensare a una manipolazione. La stessa struttura dell’oggetto raffigurato rende inoltre altamente improbabile che possano esserne usciti due metri e mezzo di papiro più altri 150 frammenti. Non esistendo peraltro documentazione del modo in cui tutto questo è stato estratto e ricomposto, sembra proprio materializzato dal nulla». Si è parlato di «radici infette» del Papiro. «Tutto il lavoro svolto ha portato a perplessità fortissime sulla sua autenticità».

C’è però un nuovo aspetto su cui ora gli studi si stanno concentrando: la misteriosa «scrittura impressa». I difensori del Papiro avevano ipotizzato che lo scriba, arrotolando il supporto man mano che vi scriveva, avesse fatto sì che l’inchiostro fresco si imprimesse sul rovescio, peraltro con uno slittamento di alcuni millimetri. Ma, per «stamparsi», l’inchiostro dovrebbe contenere grafite, un ingrediente conosciuto solo a partire dal tardo medioevo, il che escluderebbe automaticamente l’autenticità del Papiro. Gli esperimenti hanno d’altra parte escluso che l’effetto possa essere stato prodotto dall’umidità. Va presa in considerazione l’ipotesi, prospettata in sede scientifica, di un incidente nel corso di un procedimento litografico? «Misurazioni accurate porteranno a risultati incontestabili sulla scrittura impressa e getteranno ulteriori ombre su un reperto già abbastanza incongruo».

Ma non è paradossale che Bozzi, essendosi occupato così approfonditamente dell’argomento, abbia potuto condurre le sue verifiche solo su foto? «Sì, anche perché poche e non invasive analisi del Papiro porterebbero in breve tempo a risposte definitive su tutti i quesiti fin qui con tanta passione dibattuti. Anzi, dal giornale di Torino, dove questo affascinante reperto si trova, lancio un appello: tiratelo fuori dal caveau, fatecelo studiare e il caso sarà risolto!».

(La Stampa)
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