| | | OFFLINE | | Post: 7.073 Post: 6.865 | Registrato il: 12/02/2006 | Colei/Colui che siede alla destra della Sacerdotessa | Capo del Tesoro | - ShemsetRa - Architetto Reale | |
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24/06/2006 12:25 | |
Posto qui questo messaggio, anche se Kiya ha aperto uno spazio apposito per la discussione su Pharaon Magazine, perché è riferito ad un numero vecchio e perché la rivista è, in questo caso solo accidentalmente indicativa per l'individuazione del libro.
Articolo apparso su Pharaon Aprile 2006, pag. 34.
L’autore riporta uno stralcio dal libro di Cesare Brandi “Il Verde Nilo”, Editori Riuniti.
Si tratta del diario di viaggio di un grande storico dell’arte e teorico della tutela, della conservazione e del restauro del patrimonio storico e culturale.
L’ho trovato interessante e piacevole, anche se naturalmente non posso essere interamente d’accordo con lui.
Le argute descrizioni della natura divertono, ma arrivare a dire che nell’Antico Egitto non ci fu architettura…!
Per forza non sono d’accordo con lui sul severo giudizio che rivolge all’architettura egizia:
“Sia detto senza scandalo che l’emozione per il luogo dove sorge Luqsor, dove sorse Tebe, non aumenta per i templi famosi, troppo famosi”
Ecco una frase che per me non risponde al vero.
Innanzi tutto, e questo va detto in via generale, se la natura avesse sempre fatto tutto e bene per l’uomo questi non avrebbe sentito l’esigenza di modificare nulla, né di aggiungere, né di togliere, mai da alcun luogo.
Ma poi, per quanto la natura sia proprio opulenta dispensatrice di meraviglie, a volte, qua e là, la mano dell’uomo che usa energia fisica ed intellettiva per lodare il suo Dio, apporta davvero al paesaggio meraviglia aggiuntiva.
“Già immagino lo sdegno, lo scoramento o il sarcasmo che queste note sulla non-architettura egizia mi procureranno. Non so che farci.”
Che dire, in fondo va a gusto personale.
Se non capisce e non ama ciò che vede, è solo un problema suo, non certo degli egizi che non seppero o non vollero fare architettura.
Ricordo che al primo anno di università fra i rudimenti dell’architettura ci insegnarono a progettare come prima cosa un oggetto monodimensionale, (una delle tre dimensioni prevale nettamente sulle altre) cioè un diaframma o un percorso; a questo seguì un oggetto bidimensionale, (due delle dimensioni prevalgono sulle altre), cioè un recinto. A questo punto avevamo analizzato i concetti emozionali basilari del “dentro” e del “fuori”. Infine arrivammo all’oggetto tridimensionale, l’involucro, il quale si differisce dal precedente solo per la presenza di un tetto. Già ciò poteva bastare per parlare di architettura.
Di pieni e di vuoti ne abbiamo parlato in seguito, ma non si è concluso mai che un rapporto fra essi differente da quello classico possa determinare oggetti non definibili architettonici!
A me sembra che in tutte le occasioni i nostri egizi abbiano dimostrato di conoscere molto bene la teoria e anche qualche tecnica della progettazione architettonica, proprio a partire dai rudimenti di quest’arte. Non dimentichiamo che in Egitto l’arte fu sempre funzionale, utilitaristica, quindi non deve stupire se eccelsero in quei temi che non prevedevano la necessità di un tetto.
Il clima, la natura e la funzione delle opere evidentemente permetteva di farne a meno.
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